Lo Stato - anno II - n. 10 - 10 aprile 1961

(seguito di pag. 15) Era da poco finita la guerra quando la Dichiarazione conclusiva della XX Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, dedicata ai problemi del lavoro, procla– mava, in per.fetta aderenza agli insegna– menti della dottrina cristiana: « I rap– porti dei datori di lavoro e lavoratori vanno orientati verso una più dignitosa partecipazione del lavoratore alla vita dell'azienda, sia col temperare, dove è possibile, il contratto di lavoro con il rum Novarum, lancerà un messaggio che vorrà essere un richiamo alla fede!- contratto di società, sia col pervenire ad una più equa ripartizione dei bene– fici dell'azienda ». Sono passati circa 15 anni ed i cat– tolici, malgrado i continui appelli che da ogni parte, dalle più alte autorità religiose e. da ogni assemblea qualificata, continuano ad essere pronunciati, nulla o ben poco hanno fatto su questa via. Anzi hanno lentamente, ma progressi– vamente, disteso un placido velo d'oblio, un velo che non è stato sollevato, ma speriamo lo sarà al più presto, nemme– no dall'annuncio che il Santo Padre, in occasione del 70° Anniversario della Re- Maturità politica nel Congo tà dei principii ed alla loro applicazione. Tutta la dottrina sociale della Chiesa è permeata da questo ineguagliabile principio della collaborazione, il cui pri– mo gradino risiede, oggi come non mai, nell'azienda, fonte prima di benessere e di ricchezza. Basta scorrere le Encicli– che e i messaggi dei Pontefici. Ma gli uomini cattolici chiamati alla responsa– bilità del governo, o a quella, non certo meno grave, di formare e guidare le forze del lavoro sulla via del progresso sociale, le hanno dimenticate, forse per– ché timorosi di affrontare a viso aperto una battaglia per la quale evidentemen– te non si sentono preparati. E così è restato senza pratica attua– zione il documento leoniano sul diritto alla proprietà ed alla equa distribuzione della ricchezza. Inascoltato il monito <li Pio XI: « ... Nelle odierne condizio- 11i sociali stimiamo sia cosa più prudente che, quanto è possibile, il contratto del 18 bibliotecaginobianco lavoro venga temperato alquanto col contratto di società. Come già si è· co– minciato a fare in diverse maniere con non poco vantaggio degli operai stessi e • dei padroni. Cos1 gli operai diventano cointeressati o nella proprietà o nella amministrazione, e compartecipi in cer– ta misura, dei lucri percepiti... » Trascu– rati o ignorati i principii basilari per cui... « Tanto l'opera altrui quanto lo altrui capitale debbono associarsi in un comune consorzio, perché l'uno senza l'altro non valgono a produ"e nulla» ... e ... « per questa giustizia sociale non può una classe escludere l'altra dalla partecipazione agli utili ... >. Senza eco, come abbiamo detto i ,ri– chiami: tutto ancor oggi allo stato di enunciazione di principii, così come po– stulato dalle successiye settimane socia– li dei cattolici, dai congressi delle ACLI, persino dai Congressi D.C., anche se i più recenti hanno contribuito, tacendo, ad ignorare il problema, che purtuttavia è di importanza vitale proprio nel qua- dro di quella lotta al comunismo ed alle ideologie marxiste che sembra voler ri– manere il terna predominante, non fosse altro come punto di incontro per supe– rare talune ... lotte intestine. Perché è fin troppo evidente che il comunismo si comincia a battere nelle fabbriche. E non attraverso battaglie egemoniche o concorrenziali o sul pia– no, altrettanto infido ed improduttivo, delle iniziative vertenziali intese a strap– pare ritocchi sala,riali da propagandare a rnò di imbonitura pubblicitaria. Si batte soprattutto svuotandolo di conte– nuto pratico, eliminando il falso scopo della lotta di classe, ed evidenziandone contemporaneamente il reale obbiettivo di una sostituzione di poteri, da cui il lavoratore non può trarne alcun sostan– ziale beneficio. Si batte eliminando i termini del problema, così come l'errato sistema economico liberista e la cecità di una larga maggioranza di imprendi– tori l'ha posto, e la stessa improntitu– dine monopolistica di Stato l'ha conva– lidato. Si batte inserendo gradualmente il lavoratore nella vita aziendale, dando– gli piena e giuridica cittadinanza, fa– cendolo partecipare alla conduzione del– l'azienda stessa, alla sua attività produt– tiva, alla ripartizione degli utili, per operare quindi su tutto il corpo della società in modo da portare man mano il cittadino alla comproprietà dei beni e dei mezzi di produzione. Si batte in al– tri termini applicando convintamente e coraggiosamente i principii della nostra dottrina, che in tema di socialità, quella vera, non teme certamente raffronti e che non ha nulla da mutuare da chic– chessia. La diffusione della proprietà è diffu– sione del potere, ed è proprio in questo che risiede il segreto di una vera libertà e di una sana democrazia, che non avrebbe più ragioni di timore o titu– banze, sicura nella sua via e nella for– za di uno Stato garante e protettore insieme della libertà e della giustizia distributiva. Ma oggi lo Stato è avviato su una china ben diversa e pericolosa. Lungi dal favorire questa « diffusione della proprietà », è. divenuto esso stesso ac– cennratore della ricchezza, con il risul– tato palese di esser sovente posto nelle condizioni di dover sottostare agli indi– rizzi ed alle prospettive, del tutto par– ticolaristici, di talune « elites » che man– tengono. il controllo effettivo di gran parte della ricchezza nazionale. E sono

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