Lo Stato - anno II - n. 9 - 30 marzo 1961

1 M E N T o Ebbene_. se ne aspetti deUe altre. Il "dico a non dicendo" che è l'essenza del metodo moroteo, solu– zione dei problemi mediante la decomposizione dei medesimi, è un metodo che può andar bene in un Consiglio nazionale composto tutto da "iniziativa democratica " : ma è un metodo umanamente e po– liticamente insostenibile ed è destinato a essere ra– pidamente e revulsi,vamente rigettato, non appena che da quel particolare " chiuso" si passi a un luo– go più aperto. L'invettiva lamalfiana, non giustifica– ta da un motivo di tattica politica ma da un molto umano "non poterne più" è un'esperienza che l'ono– revole Moro farà molte volte, man mano che il do– roteismo verrà liquidato politicamente ( ed è questa una conseguenza ed un obiettivo diretto della poli– tica deU'on. Moro) e l'omogenea maggioranza di Fi– renze verrà, come è inevitabile, al suo termine, Il Risorgimento come prolegomeno alla Resistenza Per i comunisti, il Risorgimento è un prolego– meno alla Resistenza. Questa è in sostanza la conce– zione del Risorgimento illustrata dall'on. Togliatti nel suo articolo sull'« Unità». Avevamo già detto nel numero precedente che i comunisti non potevano in– terpretare iL Risorgimento e l'unità che come condi– zione previa del proletariato e del partito comunista. Non può esistere, per i comunisti, una idea del Ri– sorgimento: esso non può essere visto che come un insieme di espedienti pratici, tendenti a consentire le condizioni di esistenza ana vera ideologia ed alla ve– ra politica. Tutto ciò che c'è di valido nella storia. passata si esaurisce inevitabilmente neU'ideologia e nella po– litica attuale del partito comunista. La storia non ha, per questi storicisti né misteri né idee. Essa vale sol– tanto come apologia del presente. Ma se i comunisti non .ci dànno un discorso sul Risorgimento che nel chiuso ripetersi della loro apo– logia, nessun'altra forza politica ci ha dato di più. Se poi è già cosa sterile vedere nel Risorgimento il precursore del Partito comunista, è cosa ancor più sterile vedervi il prolegomeno alla Cassa del Mez– zogiorno. Niente è dunque più deprimente che la povertà deUe idee che presiede alla commemorazione della unità, E quanto più impegnative sono le manifestazio– ni, tanto più si sente il peso di questo vuoto. La dottrina cede il passo alla retorica, quando non ana speculazione personale e di parte. Una ce– lebrazione severa e contenuta sarebbe stata forse, data la presente condizione dello spirito pubblico, la commemorazione più degna e avvincente. lioecaginobianco Saragat dixit Sunt lacrymae rerum. Quando ripenso in chia– ve po/.itica questa bellissima espressione pagana, un po' banalizzata dall'uso, mi occorrono ana mente i so– cialdemocratici. I socialdemocratici sono veramente il pianto del– le cose, Convinti di essere per assioma la giusta po– sizione politica, cadono poi nel rompicapo di capi– re perché essi hanno così pochi voti: e come livello di spiegazioni, non andiamo mai troppo oltre " il de– stino cinico e baro" del '53. Per questo essi riten– gono che il popolo italiano debba pagare il prezzo di questa sua impreveggenza, peggio, di questa sua ingratitudine nei confronti deH'on. Saragat, rima– nendo neH'instabilità politica fino a quando non. a– vrà riparato al malfatto. L'on. Saragat è persona così convinta deU'impa– reggiabile ruolo suo e del suo partito nella politica italiana, che non fa mistero di questa sua decisione : convergenza, sino a che il popolo italiano non ab– bia dato più voti ai socialdemocratici, consentendo così loro di cacciare fuori dai piedi i malagodiani, loro sgabello sino al giorno della giustizia, al gran Giubileo saragattiano. La mancanza di serietà deU'on. Saragat si nota nel variare dei suoi giudizi sul PSI. Il PSI, dicendo presso a poco le medesime co– se, diventa più o meno democratico in funzione degli umori o dei calcoli politici dell'on. Saragat. Si direb– be che l'on. Saragat consideri il PSI come l'Io fich– tiano considera il non Io: come una negazione che deve consentire la pienezza deU'auto affermazione. Prima si fanno con il PSI più giunte possibili: poi, dopo il fatto, si considera il PSI "un partito ana deriva". Ora i fermenti autonomistici diventa– no una realtà così consistente da avallare la colla– borazione politica: domani, non c'è più niente da fa– re, tranne che riparare la decennale ingiustizia e portare il PSDI a 30 dep·utati (cosa che l'elettora– to italiano sembra persistere a non voler fare). E poi chi crede mai che, se il destino, la prossi– ma voLta, fosse barato ed avessimo i trenta saragat– tiani a Montecitorio, ed anche in Senato ci fosse la maggioranza DC PSDI, che i socialdemocratici col– laborerebbero quieti ad un governo? Per carità: ci si ricordi il '48-53 quando la Dc era da sola mag– gioranza e poteva governare con il PSDI: il PSDI era meno quieto che mai e provocò due crisi e due rimpasti. Ma credere che la stabilità delle nostre istituzioni e dei nostri governi passino per il numero dei àe– putati saragattiani è veramente uno di quelli che Bacone chiamava educatamente un "idol·um fori". E poi è democratico imporre agli elettori gli esa– mi di riparazione? I nostri democratici puri non finiranno mai di riservarci dene sorprese fondate suU'interruzione del regno della logica minore.

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