Lo Stato - anno II - n. 5 - 20 febbraio 1961

sone lungo il corso di una giornata e di una festa notturna, acquista anche un valore emblematico, vuole essere un « ritratto » del nostro tempo; come per « La dolce vita » di Fellini, ogni epi– sodio implica il giudizio su una sto– ria ben più ampia. E' lo stesso Antònioni a fornirci, nel– la sequenza iniziale, la chiave del suo tc·ma: il « letterato » - un uomo di profonda cultura, un saggista - giace agonizzante sul letto <li una clinica di lusso, non può nulla contro il suo ma– le, solo • « evadere » saltuariamente ri– correndo ;illa morfina per attendere la fine; sua madre lo assiste quasi indif– ferente leggendo l'ultimo numero del f Mondo». In un'altra camera della clinica c'è una giovane maniaca .che cerca di « catturare » gli uomini che passano nel corridoio. Violenza, indif– ferenza, istintività -animalesca in un mondo ovattato e confortevole, costrui– to sull'llusione che la gente possa star– ci bene, gremito di belle infermiere che non sanno far altro che sorridere. Il « segno » del film è la noia, la stanchezza, ·specie per chi ( - come lo scrittore - protagonista) ha il compito di meditare e non sa perché, e non sa su che cosa. Questa diagnosi non com– porta un giudizio negativo sulle per– sone: c'è una diversità abissale fra le « orge » di Fellini e la festa notturna in casa dell'industriale descritta anali– tirnmente ne « La notte »: qui son tutti fatui ma in fondo tutti bravi: l'indu– striale che si è fatto da sè, l'altro che ha parlato con Hemingway, la signora futile ma perfetta padrona di casa, la giovane ereditiera che ha capito tutto dalla vita e si diverte a inventare nuovi giochi volutamente cretini. Poco im– porta che tutta questa gente si chiami buona o cattiva, intelligente o stupida: è un mondo che s'annoia, un mondo Lo STATO bibliotecaginobianco senza problemi che può sopravvivere atrofizzando uomini come l'intellettua– le Pontano, affogando nel successo la meditazione; un mondo di isole che galleggiano nel panorama straordinaria– mente affascinante di una Milano ric– ca, veduta attraverso gli schemi di Mon– drian, orchestrata intorno al volto tri– ste e un pò sfatto di Jeanne Moreau. Nel corso di un giorno e di una notte Lidia cerca di « parlare » a suo marito, ma con scarsi risultati: un dia– logo sbocconcellato in battute di gergo che, come quello dei sordomuti, ha bi– sogno di simboli, di strumenti che non siano vere parole: il ricordo di un pae– saggio di periferia, una telefonata, una vecchia lettera, un insulto. Alla fine, quando la notte si è ·trasformata in un'alba, i due si ritrovano in un'unio– ne fatta d'istinto, che si spezzerà prima di essere riuscita soltanto a incrinare la solitudine. Sorge spontaneo il confronto fra que– st'ultimo Antonioni e « La dolce vita » di Fellini; eppure l'ispirazione dei due registi è agli antipodi: Fellini è un mo– ralista, un provinciale sanguigno che trasfigura la realtà in grandi disegni allegorici: per Fellini la «città», cioé la comunità umana, è popolata di de– moni e di streghe, è una sorta di pae– saggio da incubo. Un mondo agitato in cui l'angoscia r,uò agire ancora da lievito: il simbolo, la possibilità di in– tc-rpretare, di vedere in due modi ogni fatto, è l'espressione di una doppia realtà, da un lato quella banale e mate– riale, dall'altro quella trascendente che si rivela anche nel fatto: ci si può com– muovere per un pagliaccio che suona la tromba, ci si può convertire per un finto miracolo, anche l'occhio turgido e patetico di un pesce mostruoso può suonare giudizo e condanna. Sé Fellini è un m1st1co capace di bestemmie, Antoniani è un ateo, il suo mondo è senza fremiti: non ci sonq dannati e angeli, l'anatomia sostituisce la diagnosi, .il simbolo non ci apre la strada ad una realtà trascendente ma esaspera lo squallore di un particolare dandogli up significato generale e irre– vocabile. Dopo tante esperienze formali anche bislacche - la « nouvelle vague » insegni - « La notte » è forse il primo film che, attraverso una inconsueta raf– finatezza di linguaggio, sia riuscito a cogliere con esattezza il clima e la so– stanza di certa letteratura contempo– ranea. Compiuta espressione di una « poetica » oggi _molto diffusa, questo « racconto lungo » sulla giornata uma– na conclude con l'impossibiltà di tro– varvi un senso, dato che questo senso probabilmente non esiste: ciò che sem– brava una ricerca non è dunque che un rifiuto, una cosciente rinuncia a rendere più radicale la propria doman– da, un credere più al modo pregevole di fissare certi quadri che alle cose che si vorrebbe dire. Perciò è questo lo strano: che un film raffinato e intelligente come « La notte», un'opera da festival e da pre– mi, non ci dia nulla, non ci dica nulla, chiuso nei limiti dell'aneddoto banale colto in ~n mondo banale e senza gran– de interesse. Antonioni si appaga dell'at– timo e si stupisce di non trovarvi un senso. Egli non comprende che il sen– so è nel tempo, nella logica superiore che lega gli attimi e li trasforma nella << storia » di un uomo. Ed anche il giu– dizio non può essere chiuso nell'attimo, deve partire da una gerarchia di valori che non si trova nella cronaca e nel vuoto formalismo delle impressioni. Lucio DANI 31

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