Lo Stato - anno II - n. 4 - 10 febbraio 1961

M!l!l\\\~ I~~·,.-..,,~ -~ W)~m~~~ ~~ ~ LE MASCHERE 1 >H\~~\~~>~H\\\\\\\W{f /i I ~~...:..4:1~~---s:x:.i~~~-4J~~~ )S~S)))> TEATRO I BUFFONIRAFFINATI Tra i mali che affliggono gli ambien– ti intellettuali italiani è noto il com– plesso d'inferiorità verso le mode e le • I correnti culturali che si impongono ol- tre con~ne, e poi scendono a successive ondate nella Penisola, sempre pronta da parte sua ad accogliere queste rituali invasioni, in attesa - chissà quando - di invertire il flusso. Altra malattia, più recente, è il complesso d'inferiorità nei confronti di qualsiasi manifestazio– ne del pensiero marxista. !Dall'addizione di questi due mali è cresciuto e si è consolidato nei nostri ambienti teatrali il mito di Bertolt Brecht; un mito che si sarebbe miseramente spento sul na– scere se non fosse stato soffiato dalla massiccia organizzazione culturale co– munista e se non avesse incontrato sul– la sua traiettoria raso terra la vuotaggi– ne dei critici e di certi registi italiani. Ma la fiducia nel mito è ormai così cieca che il Piccolo Teatro di Milano - dopo averci apparecchiato il mine– strone agro-dolce de « L'opera da tre soldi» -. ci offre adesso un lavoro par– ticolarmente brutto come « Schweyk nella seconda guerra mondiale », fino a ieri rimasto sconosciuto e che forse lo stesso autore - se fosse ancora vivo - avrebbe sconsigliato di mettere in scena. Non è gui il luogo d'aprire sul teatro di Bertolt Brecht un vasto discorso ( del quale peraltro non ci sarebbe bisogno se le coscienze non fossero cloroformiz– zate). Basta rilevare che anche in que– sto lavoro postumo il drammaturgo te– desco non si libera dai suoi fondamen– tali equivoci. Innanzi tutto l'intenzione di calare a tutte lettere sulla scena la ideologia marxista con le sue formulette da ripetere come leit motiv ad o~ni piè 30 bibl1otecaginobianco sospinto, è quanto di più anti-teatrale si possa immaginare perché denuncia subito l'impotenza dell'autore a far fio– nre e vivere dall'interno della sua creazione le idee che egli vuole dram– maticamente esprimere. Ancora più ingenuo è il secondo equivoco che discende dal primo: un teatro marxista non può essere che po– polare nei suoi modi di espressione, ed ecco quindi i rozzi personaggi brech– tiani, le innovazioni didascaliche, il ritmo da opera dei pupi, gli intervalli canzonettìstici; ma è sempre l'elabora– zione di un intellettuale figlio della raf– finata crisi espressionistica tedesca, e non c'è dunque neanche un soffio di quella spontaneità indispensabile per mantenere la promessa. L'opera di Brecht, insomma, sta ad un vero teatro popolare come un museo folcloristico alla vita che animò gli oggetti ora im– bachecati. Roba da interessare altri in– tellettuali annoiati e disperati o, più giustamente, gli uomini di partito e le folle intruppate nel Teatro di Berlino– Est, in mancanza di meglio. << Schweyk nella seconda guerra mon– diale» è forse il peggior esemplare della produzione brechtiana, proprio perché ne esaspera le premesse. Il protagonista è un povero cecoslovacco coinvolto nel ·turbine finale della tragedia nazista, che lo conduce fino all'inferno di Sta– lingrado. E' uno sciocco, tanto sciocco ed acquiescente che mette in imbarazzo gli stessi nazisti e li ridicolizza. L' as– sunto è semplice: un protagonista eroi– co avrebbe peccato di individualismo e quindi sarebbe stato inefficace da un certo punto di vista ideologico, mentre un non-eroe tipicizza il popolo - unica realtà - che sopporta tutto ma soprav– vive ai suoi oppressori, ed anche nella sopportazione vanifica i loro sforzi. La tesi è quella che è. Mentre sul piano politico-ideologico la si discute, tradot– ta faticosamente in termini teatrali si afloga da sola in un guazzabuglio di gratuite sciocchezze. Schweyk è un personaggio creato da un romanziere boemo che ebbe una cer-' ta notorietà nell'altro dopoguerra, Jaro– slav Hasek; ma secondo la critica mar– xista tanto l'autore quanto la sua crea– tura erano affetti da un inguaribile anarchismo, e pertanto Brecht - po– nendo mano ad un rifacimento come per « L'opera da tre soldi >> - ha mu– tato i tratti di Schweyk dando un pre– ciso carattere alla sua melensaggine ed una scopertissima simbologia ai ·fatti che gli accadono. Ancora una volta, insomma, la premessa della semplicità viene tradita ed il risultato è grottesco. Il protagonista è un buffone che non riesce ad essere né simpatico, né com– movente, né spiritoso; i fatti sono nar– rati come in una specie di fumetto sto– rico per bambini tardi vi. Naturalmente per realizzare l'impresa della messa in scena il Piccolo di Mi– lano aveva tutte le carte in regola, es– sendo addestrato alla perfezione a co– prire con la raffinatezza il vuoto di un certo mondo culturale. La fantasia di Strehler si è potuta sbizzarrire dando risultati soddisfacenti pour épater les bourgeois soprattutto nella seconda parte, fra tormente di neve, fantomati– che apparizioni di carri armati e voragi– ni di fuoco. Lo spettacolo è stato quello che doveva essere: una rappresentazio– ne pseudo-popolare con strizzata d'occhi allo sceltissimo pùbblico milanese, uno sterile e fastidioso divertimento fra in– tellettuali che non perdono occasione per confessare la nullità .ed il vassal– laggio della cultura di sinistra. FA USTO GIANFRANCESCHI

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