Lo Stato - anno II - n. 4 - 10 febbraio 1961
temente negativo. Si trattava di armi di distruzione e non di idee costruttive: valevano per abbattere il Senato ma non avevano la forza di reggere un nuovo edificio statale. · La conseguenza che ne balza eviden– te, è mess·a in luce con la massima chia– rezza: fin dai tempi di Gracco ed in tutti i periodi successivi, tutti gli sforzi <lel moto democratico .finivano per ten– dere in pratica alla instaurazione del potere monarchico. Gracco stesso fu se– .condo il Mommsen un monarca, sia pure per tempo brevissimo e tali ten– <levano ad essere Mario, Cinna Sa– turnino. Nella esposizione e nella interpreta– zione dei pe~sonaggi e dei protagonisti nessuna idea predisposta prende il so– pravvento nel racconto. L'ammirazione che Mommsen sente per Gracco dipinto nelle sue · pagine come una magnifica figura di tribuno e di uomo di stato in– sieme, non si riverbera nei suoi suc– cessori. Cinna e Saturnino sono per lui dei demagoghi sfrontati e inconcludenti, Mario un buon generale incapace di capire cosa fosse la politica per il go– verno dello stato. Di contro, vediamo esa1tata la figura di Silla, il restauratore dell'aristocrazia che fu dittatore suo malgrado ·e che viveva a tal p~nto le proprie idee da rinunziare al proprio personale potere che era in contrasto con esse. Le stesse violenze di Silla, vengono qui descritte come inevitabile conse– guenza delle scelleratezze commesse da Mario e da Cinna durante il loro effi– mero dominio, carpito mentre Silla era in Oriente a combattere la guerra mitri– datica. Ma ancora una volta questa ammira– zione non viene generalizzata: Pom– peo, Catone, Cicerone gli ultimi paladi– ni dell'aristocrazia non trovano grazia presso. lo storico che ne mette spietata– mente in luce le manchevolezze, i difet– ti, le incongruenze. Tutta l'opera si con– clude infine con un gigantesco ritratto di Cesare, demagogo e condottiero, pensatore e uomo di stato, che distrugge Lo STATO bibliotecaginobianco l'aristocrazia e neutralizza la democra– zia, risolvendo la crisi e fondando un Impero.· Siamo dunque di fronte ad una obiettività fredda e lucida, ad una spas– sionata ricerca della verità, libera da preconcetti e scevra dalla schiavitù del– le formule. Non abbiamo tuttavia in Mommsen un avido elencatore di fatti, che sacrifica alb servitù del dato obiet– tivo la propria libera facoltà di inter– pretazione e di sintesi. I fatti vengono al contrario elaborati e collegati in grandi tratti dal respiro ampio e armo– nioso, ed i personaggi vengono contra– stati ed animati, con efficacia che supe– ra talvolta i limiti dello storico per giun– gere alle altezze dell'artista. Ed · è pro– prio in questa capacità di lasciare che i fatti gli parlino, per liberamente rivi– verli con un contratto diretto fra il suo spirito ed il mondo che testi, documenti, iscrizioni gli vanno man mano rivelan– do, proprio in questo equilibrio che gli ~onsente di essere ugualmente libero dall'astrazione dello schema ideologico e dalla passiva accettazione dei dati di fatto, che consiste la vera grandezza del Mommsen. Nelle sue opere non vi è in definitiva una « tesi ». Quella tesi che è la vera tiranna degli spiriti e della quale altri hanno fatto e fanno una spe– cie di letto di Procuste al qllale ade– guano tutto ciò che vedono, che pen– sano o di cui scrivono, allungando o accorciando quando l'aderenza non è perfetta. << La storia dei secoli passati - tro– viamo scritto nella "storia di Roma" - deve certamente essere la maestra del secolo corrente, ma non nel significato comune, come se bastasse semplicemente sfogliare un libro per trovare negli av– venimenti del passato le congiunture del presente e desumere da quelle i sin– tomi e gli specifici della diagnosi e dell'arte di comporre ricette per la po– litica. La storia è soltanto istruttiva in quanto l'osservazione delle antiche cul– ture rivela in generale le condizioni or– ganiche della civilizzazione, le forze fondamentali dappertutto eguali e la connessione delle medesime dappertutto diversa, e invece della spensierata imi– tazione, dirige e sprona piuttosto a creazioni secondarie indipendenti». La grande forza di Mommsen sta nell'aver saputo stabilire questo prin– cipio e nello stesso tempo nell'aver resi– stito alla tentazione opposta: quella cioè di interpretare la storia dei secoli p-assati alla luce delle idee - o peggio, delle « ricette » - del secolo corrente. Egli può così sfuggire alle due sug– gestioni nefaste che dominavano il suo tempo, e che dominano ancora in gran parte il nostro: il determinismo ed il progressismo. La sua opera sfugge al– l'imperio della meccanica delle forze impersonali - economiche o storiche - che si pretende muovano gli uomini e i popoli, senza lasciare n1arg-ini alla vita– lità, alla personalità, all'iniziativa. E nello stesso modo esclude contempora– neamente la dinamica di un indefinito e costante progresso. Il contrario, in tut– ta la sua descrizione dei secoli della romanità vi è la malinconia ispirata da un mondo che invecchia e lentamente decade, da una giovinezza che sfiorisce e si allontana, da una antica potenza che si indebolisce e si perde. La sua ammirazione per i romani na– sce proprio dalla convinzione che essi abbiano saputo creare la lol-o opera grandiosa, condurre la loro titanica fa– tica, mentre qualcosa di prezioso e di insostituibile irrimediabilmente scompa– rivà. « Cesare - ci dice Mommsen - .,i mise a edificare sulle rovine e con rovine, e fu contento di accomodarsi alla meglio, e con la maggiore possibile sicurezza entro gli spazi stabiliti, vasti ma limitati ». E' un'opera questa, che va letta e stu– diata con uno spirito particolare: libero cioè da preconcetti .e da schemi, come libero ne era colui che la scrisse, lascian– do cioè, che attraverso la parola e le immagini di un grande interprete la realtà del passato giunga fino a noi, nella sua integra e libera forza. ENZO ERRA 29
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