Lo Stato - anno II - n. 4 - 10 febbraio 1961

le porte dei meandri dell'intimità e met– tere in evidenza il fondo opaco, libe– rare le immagini nate da una fantasia troppo libera e non controllata e da una sensuali~à esasperata - attraggono ed avvincono il lettore fino a trasportarlo a contatto di personaggi sotto la cui c'1lma apparente si nasconde il dram– ma, la tragedia che una vita monotona e grigia non spegne ma che, invece, alimenta sempre più. La malattia - un male inguaribile che è l'impossibilità di conoscersi e di àominarsi - accompagna, dal giorno della nascita a quello della morte, i personaggi di Svevo e li spinge verso un comportamento illogico ed impre– vedibile; le loro azioni non rispondono mai ad alcuna finalità precisa, ma essi le compiono lo stesso come trascinati da un poter e misterioso che li rende ciechi e vieta loro· di vedere chiaramen– te. Ma, forse, essi vedono ed è pcrcioò che il loro dramma è tremendo in quan– to, possedendo una lucidità di analisi sorprendente, sono in grado di capire la loro condizione di nullismo e d'im– _potenza, ma sono altresì consci di non avere quella volontà, quella forza, quel coraggio sufficienti per ribellarsi ed im– porre un saldo dominio su se stessi. Dal loro comportamento pare, anzi, che desiderino la condizione di mediocrità cui soggiaciono, che rifuggano dalla grandezza o soltanto di vivere degna– mente e che provino, pur nel dolore, una grande voluttà ad immiserirsi e ad essere incoerenti. Perché è proprio l'in– coerenza più assoluta, che rasenta l'as– surdo, che li domina. Un cammino a ritroso « La coscienza di Zeno » racconta la storia di un commerciante triestino, Ze:-noCosini, il quale afflitto da molti complessi, posseduto da mille manie, e intossicato dal fumo, decide, dopo aver sperimentato tutte le cure tradizionali, di affidarsi ad uno psicanalista per, fi. nalmente, guarire. Zeno, per consiglio del medico, si pone a tavolino, raccoglie le trame dei suoi giorni passati, va alla « ricerca del tempo perduto », si spinge a cercare in se stesso l'origine del suo male da cui ha tentato vanamente di liberarsi. Ma ci si accorge che egli non ha mai v?luto Lo STATO bibliotecaginobianco guarire realmente, che anzi si ~ompiace della sua malattia: la sua vita non è stata che una contraddizione tra ciò che voleva fare e ciò che ha fatto, si è svolta sul piano della finzione, dell' espe– diente, senza concludere mai nulla d-i risolutivo. Si è attuata sempre in modo contrario da come egli l'avrebbe voluta. Dovendo prendere moglie ha sposato delle tre sorelle che ha conosciuto, Ada, Alberta, Augusta, la meno bella, una ragazza strabica, priva di bellezza e già un pò appassita che, poi, tradirà proprio quando, per la dedizione e la bontà di– mostratagli, ha cominciato ad apprez– zarne le doti. E' questo un episodio in cui Svevo passa da un realismo minuzioso, quello che adopera per rappresentare l'ambien– te della casa Malfenti, dove abitano le tre ragazze, ad un tono patetico e più lieve, per finire poi nel grottesco. Con l'amante sarà lo stesso, di lei non. gli importerà niente fin quando non si vedrà soppiant~to da un altro corteggia– tore. E che dire del suo desiderio di ~mettere di fumare? Ogni giorno si propone di non acquistare più sigarette ma non riesce a togliersi di bocca il gu– sto di nicotina e continuerà a tenere tra le labbra il rotolino di carta ripieno di tabacco. Questo Zeno è, dunque, un povero uomo anormale, un individuo clinica– mente patologico che sa di essere am– malato ma che ricade, senza via d'u– scita, nel suo male. E della stessa pasta sono fatti i protagonisti di « Senilità » e di_ « Una vita ». In ciascuno dei suoi romanzi Italo Svevo pare abbia voluto, guardando freddamente ed oggettiva– mente ai suoi personaggi, analizzati con una lente d'ingrandimento, mettere in rilievo la loro incapacità di aderire alla esistenza, la passività che li getta in balia del destino, la loro inconcludenza, il perdersi in una serie di atti inutili e di azioni dispersive. Ma nel suo intento non c' é ombra di condanna e di giudizio morale: egli si sente particolarmente vicino all'umani– c.\ che descrive, ederisce al loro compor– tamento con un sentimento di pena, di sgomento e di compassione; li compian– ge ma Ii ama; in loro ritrova, se stesso. E ritrova un essere chiuso nella sua in– dividualità di nomade, la cui sola im– maginazione, che tende a deformare gli avvenimenti della realtà esterna, gli permette di ricostruire il fluire inces~ sante della vita e di captare ]e sensa– zioni esteriori e di riproporle modificate a se stesso. Il dramma della solitudine Ed è così che Svevo adopera la tec– nica del monologo interiore (il mezzo espressivo usato da Proust nella « Ri– cerca» che si avvalse dell'intuizione bergsoniana del tempo) che -gli consen– te di riportare alla luce una materia in– candescente di residui della memoria che riemergono, dalla coscienza buia, sotto gli stimoli del ricordo dove erano caduti in dimenticanza. Nel trascriverli l'autore dimostra d'indulgere ai mali che descrive e di non riuscire, che ra– ramente, a distaccarsi dalla materia au– tobiografica, di per sé opaca, che è l'og– getto del suo racconto. Soltanto nelle opere più mature, per'altro non impor– tanti, si scopre una nota ironica, un u– morismo quasi divertito di fronte alle azioni grottesche dei suoi protagonisti; ma nell'economia dell'opera sveviana so- . . ne• ran momentt. I romanzi di Svevo si presentano co– me documento di quella condizione di esasperato individualismo, di asocialità che sono tipiche caratteristiche dell'uo– mo moderno che ha rifiutato la coscien– za come valore e come metro di giudi– zio. Un uomo mediocre che vive tri– stemente i suoi giorni e non ha occhi per guardare davanti a sé, non ha b forza per procedere sulla strada, cospar– sa di difficoltà, dell'esistenza, stanco, vile, sofferente nella personalità.· Un uomo ammalato, si dirà, afferma Svevo, inguaribile che durerà fin _quan– dc il mondo. E di simili personaggi. di– strutti nel fisico e nell'animo, le pagine della letteratura moderna, che·_si svilup– pa nel clima della << crisi », d'ora in avanti, saranno ricolme. A cominciare da quel Filippo Rubé, creato da Borgese, un intellettuale, che non riesce offrire alla sua vita - dopo aver perso fiducia negli ideali in cui aveva creduto - un ordine ed un fine, brancola alla vana ricerca di qualcosa cui aggrapparsi fin quando morrà, tra– volto dalla folla inferocita, in un tu– multo politico. Una morte che assurge a simbolo di un destino chiuso ad ogni speranza. GIAMPAOLO MARTELLI 25

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