6 ITALIA'94 POVERAITALIA STRATIFICAZIONE SOCIALE EBENESSERE ECONOMICO SaverioGazzelloni Ho' avuto di recente l'occasione di discutere con un serio studioso della povertà sull'utilità e sull'opportunità che sociologi e statistici continuino ad assolvere all'austero ed arido compito di "contare" i poveri, di individuarli statisticamente per poter ragionare su numeri e percentuali e cercare di capire l'evoluzione di un fenomeno che, invece, ha una complessità e una multiformità di dimensioni che ben diffici I mente si lasciano ricondurre nello scarno linguaggio delle cifre. Problemi di ordine metodologico si intrecciano e si confondono con problemi di ordine concettuale: usare il reddito o la spesa come parametro? Quali fonti di dati utilizzare? È giusto effettuare confronti in serie storiche su dati ottenuti con metodologie diverse? Esiste una povertà assoluta o i riferimenti devono essere relativi ai contesti spaziali e temporali? E ancora: la povertà va considerata come un processo sociale o individuale? È una situazione cumulativa (in cui le varie povertà si autoalimentano a vicenda) o può essere considerata in una sola dimensione quale è quella economica? Si può effetti vamentedefiniredall' esterno oè una condizione puramente soggettiva? Di fronte a simili questioni la conclusione sembrerebbe scontata: è ora di smettere di contare i poveri, le metodologie sono diverse, i risultati non confrontabili e il surplus conoscitivo è ben poca cosa di fronte alla multidimensionalità del problema. Eppure ritengo che il "semplice" conteggio dei poveri continui e continuerà ad avere una funzione ben precisa (pur con tutti i limiti e ,ischi che una simile operazione porta con sé): l'individuazione statistica della pove11à (che origina dall'utilizzo del reddito o della spesa media delle famiglie e che, quindi, privilegia la dimensione economica del fenomeno a scapito di tutte le altre) serve quanto meno a ricordare che la "pove11à sta lì", che esiste ancora nuda e cruda nella sua essenza di scarsezza di risorse economiche e che non va confusa con quelle "nuove povertà" (tanto alla moda) che negli studi sociologici comprendono situazioni e bisogni che, nonostante rappresentino oggettivamente "privazioni di qualcosa", risultano essere altro dalla pura e semplice privazione materiale (anche se con quest'ultima stabiliscono ovvie correlazioni). "Una riduzione del concetto di povertà alla sola dimensione economica porterebbe una salutare chiarezza nella terminologia oggi in voga che, includendo ogni forma di disagio sociale nell 'onnicomprensiva categoria delle nuove 'povertà', ha finito per generare una grande confusione, svuotando di significato il concetto, a tutto svantaggio dei poveri che si trovano mescolati e confusi con portatori di bisogni affatto diversi" 1 • Mentre le "vecchie povertà" sono ancora ben visibili nel Paese.,.un eccessivo (e sospetto) "afflato conoscitivo" tutto concentrato sulle "nuove povertà" potrebbe (o vuole?) far dimenticare le vecchie. Le situazioni legate al disagio di anziani, di minorati fisici e psichici, di nomadi ed extracomunitari, di persone relazionalmente isolate possono continuare, nella loro gravità e pregnanza, ad essere chiamate con il proprio nome: "Non è necessario che tutto ciò venga chiamato povertà, mentre è necessario che la povertà non sia dimenticata" 2 • La povertà economica, che riguarda allo stesso tempo situazioni antiche di privazione materiale e che attualmente sempre più si lega alle dimensioni dell'età, del sesso, della residenza e dell'etnia dando luogo alla formazione di una sorta di "proletariato post-industriale" 3 , rimane quindi perno centrale di qualsiasi studio sulle condizioni di disagio della popolazione e, sul piano metodologico, autorizza a considerare il livello di benessere economico delle famiglie come uno dei più importanti indicatori (per quanto "antico") per lo studio della povertà. Il benessere economico delle famiglie è un indicatore che si presta essenzialmente a due tipi diversi di lettura: la prima, che mette in evidenza il piano diacronico dell'analisi, consideragli incrementi o i decrementi in senso assoluto (in lire costanti) in un arco di tempo definito, mentre la seconda, che propone la comparazione di due misurazioni sincroniche in due momenti definiti, permette di far luce sulle differenze "relativamente" al reddito medio nazionale del momento considerato. Sul piano della lettura diacronica il benessere economico delle famiglie nel l991 risulta globalmente più elevato rispetto a quello del 1981: i dati relativi al reddito del '91 mettono in evidenza un aumento complessivo della disponibilità economica delle famiglie pari a circa il40% dei redditi dell'8 l (tab. 1).Il posizionamento delle famiglie in base all'appartenenza ad una specifica fascia di benessere economico è quindi "slittato" notevolmente in avanti, modificando sostanzialmente, in termini di potere di acquisto, i redditi delle diverse tipologie di famiglie 4. Tutto ciò non sta però a significare un immediato aumento del benessere complessivo delle famiglie in quanto, ad una crescita media indifferenziata del reddito disponibile, corrispondono situazioni estremamente differenziate perciò che ,iguarda la soddisfazione dei bisogni necessari, di quelli voluttuari, la capacità di risparmio e di investimento: è sulliciL'llll' n,,cr\'arc i dati relativi alle spese totali Tab. 1 Redditi e spese delle famiglie nel 1981 e nel 1991 (inc. % calcolati su valori assoluti in lire 1991) Redditi 81-91 (inc.%) Povertà estrema 41. 4 Povertà 40. 3 Disagio 40.7 Livello medio-basso 40.3 Livello medio-alto 40.2 Benessere 40.0 Benessere elevato 39.6 Ricchezza 41.4 Fonte: elaborazione Censis su dati 1STAT Spesa mensile 81-91 (inc.%) 63,0 56,0 33,6 35,7 36,5 36,5 37,9 34 2 Tab. 2 Livelli di benessere economico nel 1981 e nel 1991 (% di famiglie) Povertà estrema Povertà Disagio Livello medio-basso Livello medio-alto Benessere Benessere elevato Ricchezza Totale 1981 5,1 6, l 16,0 27,9 27,7 9,9 5,6 1,7 100,0 Fonte: elaborazione Censis su dati ISTAT 1991 4,1 6,0 20,1 29,1 26,0 8,6 4,6 1,5 100,0
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