paese non lodiventisemprepiù,di fronteallenotizieche riguardano i più miserabili tra i miserabili, così come di fronte ad ogni conferma delle deformazioni teratologiche operate sull'immaginario infantile, sarebbe necessario provare quella vergogna di cui parlava P1imoLevi ne I sommersi e i salvati e ne La tregua: "La vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la suavolontà sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa". Il giusto, dice Primo Levi. Certo, come fare a definirsi tali senza incappare in urtanti presunzioni? Non so. Ma so bene che questo non può in ogni caso costituire un alibi. E altrettanto bene soche chiunque siainqualche modo preposto alla trasmissione del sapere- se non anche alla "educazione" - di almeno un dovere sidovrebbe dotare,senzaeccezione alcuna: il dovere di contribuire a costruire conoscenza. La coltre di ignoranza in cui tutti noi gagè siamo avvolti deve essere strappatavia,perché è undolorosoattod'accusa riguardante l'essenza profonda della nostra stessa funzione, nonché un documento di certificazione della nostra individuale dignità. E poi bisogna risarcirli, i bambini. Perché è intollerabile che li si sia portati a temere i "figli del vento" e non invece, per esempio, l' "omino di burro". E si potrebbe o dovrebbe cominciare dalle fiabe, magari raccontandogliele riuniti intorno a un qualche fuoco connotato da vera vigorìa. In italiano, oltre al già ricordato libro di Diane Tong, sono facilmente reperibili almeno Il rametto dell'Albero del Sole. Fiabe zigane, di Jerzy Ficowski (e/o), Il vampiro riconoscente. Fiabe, leggende e miti della tradizione zingara, di Francesca Lazzarato e Vinicio Ongini (Mondadori), I quattro fratelli. Fiaba zigana, a cura di Marie Voriskovà (Sonda), La nascita dell'unicorno e altre leggende dei nomadi scozzesi, di Duncan e Linda Williamson (Mondadori). Inoltre è sperabile che venga riproposto un libro pubblicato una decina d'anni fa dalle Edizioni Gruppo Abele e ora esaurito, In viaggio con Raf, di Carla Osella. Un libro che voglio ricordare qui perché è una delle poche narrazioni sugli zingari rivolte ai bambini, e si connota quindi come uno strumento importante, anche se richiede considerazioni critiche diverse e non racconta fiabe. Si potrebbe o dovrebbe cominciare dalle fiabe anche perché esse potrebbero essere utili come antidoto alle menzogne, alle scorciatoie semplificatorie, agli sproloqui. Tra questi ultimi abbondano quelli provenienti da quel rigoglioso Museo Teratologico che è il Ministero della Pubblica Istruzione, e tra questi spicca, pernon far che un esempio, l'insistita sollecitazione a "avviarsi verso l'Europa". Ebbene, pur ritenendolo uno sproloquio, propongo che lo si assuma davvero, nelle scuole di ogni ordine e grado, e lo si persegua secondo quella che, almeno fino ad ora, mi sembra l'unica indicazione davvero concreta e riconoscibile. È contenuta nell'articolo di Giinther Grass già citato, e dice: "Lasciate che mezzo milione o più di Rom e di Sinti vivano fra noi. Ne abbiamo bisogno. Potrebbero aiutarci a scompigliare un po' il nostro ordine così rigido. Potrebbero insegnarci quanto prive di significato sono le frontiere: incuranti dei confini, i Rom e i Sinti sono di casa in tutta Europa. Sono ciò che noi proclamiamo di voler essere: cittadini d'Europa. Forse ci servono proprio coloro che temiamo tanto". BAMBINIALL'INFERNO UNROMANZODIADANZ\AN\EENZAD Paola Splendore Un villaggio africano assediato dalla fame e dalla guerra. Una notte, quando tutti sono allo stremo, arrivano i soccorsi. Arrivano dal cielo, sganciati da aerei che volano bassi. Ma gli abitanti del villaggio li scambiano per bombe. Un bambino racconta: "Una delle bombe cade poco lontano da noi. Non scoppia. Non fa rosso. Non fa fuoco. Non fa morte. Sta semplicemente lì, buttata, come un grosso sacco di iuta. Ma è un grosso sacco di iuta ... Arriva anche un'infermiera a vedere se ci sono degli ammalati. E arriva anche un giornalista dal mondo dei bianchi. Che però è nero ... e questo mi confonde le idee" (p.145). È possibile scrivere un libro "divertente" sulla fame, la morte, la tortura? Il romanzo di Adam Zameenzad, Il mio amico e la puttana (Giunti 1994, pp. 280, Lire 24.000, traduzione di Rosa Rita D' Acquarica), sembra riuscirci pur sbattendo sotto il naso del lettore atrocità e orrori di ogni tipo, le stesse che la televisione ci ha abituati ormai a guardare con indifferenza e il conforto della distanza. Zameenzad ci introduce nella drammatica attualità del terzo mondo, qui emblematizzata in un anonimo villaggio africano, con un romanzo dall'impianto semplice come una favola ma forte e diretto nel suo messaggio di denuncia, in un libro mosso dalla rabbia per le ingiustizie del mondo, scritto chiaramente per un pubblico• occidentale e diretto anche ai lettori più giovani. L'impianto è quello del viaggio iniziatico, della scoperta del mondo e la perdita dell'innocenza. Immaginiamo dei fratelli di Huckleberry Finn e di Tom Sawyer dalla pelle nera, éhe si aggirano nell'inferno di un paese del terzo mondo, devastato dalla guerriglia, dal terrorismo e dalla carestia. Uno di quei paesi continuamente sotto l'obiettivo del fotografo occidentale. Ma loro non sanno nemmeno cosa siano le macchine fotografiche: sono solo un altro tipo di armi, "pistole fatte in modo strano", una specie di bombe mai viste che invece di sparare emettono solo un clic, e poi le immagini che ne vengono fuori raccontano le storie e i dolori dei loro corpi. Il tentativo
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