Linea d'ombra - anno XII - n. 97 - ottobre 1994

È come se il narratore si trovasse nella trama sbagliata: dato che Genter, il personaggio che lo saiva, è un regista, il narratore si libera dalla colpa che lo lega a un delitto in cui è coinvolto nella prima parte del romanzo confessandolo sotto la trasparente guisa di una sceneggiatura cinematografica che gli sottopone - sarà questa sceneggiatura che la "confessione" di Genter plagerà. Come a dire che i propri destini letali si pescano nelle pieghe di invenzioni di terza mano - e questo avviene più che mai oggi. Al nruntore che è ormai rassegnato a subire i rigori della giustizia (poetica) e anzi li invita, Genter obietta che sarebbe troppo facile, "come il finale imposto dal censore alla trama di un film", e "la vita non dovrebbe essere come un film" - q"uindi "taglia" la scena dell'esecuzione di Dick. Sarà sempre Genter a spiegare all'attonito narratore quello che è il centrale assunto del romanzo, che cioè la gente perde la testa una volta che abbia attraversato il confine della California, che Hollywood è un manicomio diretto dai propri pazienti. Come si vede dal!' invenzione sociale in cui Dick sarà coinvolto attraverso una conoscente casuale, una tardona divorziata, che ha l'idea felice di inventarsi profeta di una nuova religione basata sulla visione biblica di una nuova Canaan e sulla volgarizzazione di quello che nella realtà di quegli anni fu il piano dello scrittore socialista Upton Sinclair, se fosse divenuto governatore appunto della California, il cosiddetto EPIC (End Poverty in California), che qui diventa, con. verace slancio californiano, il Partito Ecanaanomico. Knight è qui davvero acuto e abile nell'intrecciare al torbido scenario di questo lunapark populista il riaffiorru·e, nel capitolo Così andavano le cose, della natura proletaria del libro (lo stesso Knightaveva radici proletarie) che dice no alla mistificazione: il narratore ricorda il proprio padre, misero raccoglitore di cotone poi uccisoda allevatori di bestiame, che lo portava verso le "dorate" montagne della California nella certezza che "una volta che le avessimo attraversate tutto sarebbe stato diverso e la terra sarebbe stata diversa - come la terra promessa della Bibbia". Questo può spiegare la strana conclusione del romanzo in cui il narratore vede di nuovo le montagne dorate dal suo merci diretto a est e salta giù dal vagone facendosi tantomale da perdere i sensi, per poi risvegliarsi senza sentire più alcun dolore. In effetti, il libro si chiude come esperienza visionaria in punto di morte o addirittura dopo: l'irrealtà californiana raggiunge qui il suo nadir, o, come aveva detto Genter, "l'Apocalisse", la rivelazione finale del deserto del set. Due parole finali sul nruntore: nella sua corsa a perdere - in effetti il libro è sottilmente organizzato intorno a dieci o dodici scommesse o puntate, cioè blocchi di capitoli riguardanti una azione o azioni in cui Dick sfida le probabilità di perdere in modo pertinente al centrale motivo del rosso e nero - Dick, come il protagonista del già citato Aspettando niente di Kromer, aspetta il niente, è un segreto disertore dalla realtà, e non a caso ha disertato dal corpo dei marines, come poi farà il proletario Prewitt di James Jones: non può che morire, secondo la rigida legge della commissione Hays cui neanche Knight può sottrarsi. Il caso vuole che venga (ri)tradotto ora un altro di quei "ragazzi" di cui parla Wilson, Horace McCoy. Il titolo di questo articolo viene da un rigo memorabile del suo romanzo più noto, Ai cavalli si spara (1935), nato dalle "bread lines" della Depressione e scritto anch'esso "là fuori in quella notte nera sull'orlo del Pacifico". Come Punti sul nero, il romanzo di McCoy che parla di serie nere sul Pacifico e dell'ambiente del cinema è questo Avrei dovuto restare a casa (1938) (IlMelangolo 1994, pp. 255, Lire 15.000), un po' più vicino del romanzo di Knight ad essere un racconto specificamente cinematografico nel senso di Viale del tramonto: il suo protagonista vorrebbe fare del cinema, conosce una matura riccona, fallisce. Non è un racconto criminale, è modellato su Ai cavalli si spara, molto meno concentrato di quello e vittima di un compromesso editoriale (nella stesura originale il protagonista si suicida). C'è un abisso fra questo McCoy e il romanzo di Knight: mentre quest'ultimo costruisce lievemente lo smantellamento del suo narratore con una serie di colpi di grazia che sono al tempo stesso puntate tecniche alla roulette e aperture sul mondo storico reale, McCoy ci dà seriosamente già i giochi fatti, anzi sfatti, una povera impersonazione di se stesso (lo scrittore Johnny Hill) nelle proprie latenti tendenze riformiste (visibili in Il sudario non ha tasche, Bompiani 1994, pp. 219, Lire 24.000) e, tutto sommato, l'eroe più soft-boiled della narrativa "boiled" degli anni Trenta. Un consiglio agli editori: non ritraducete il pessimo dei romanzi di McCoy, il logorroico pseudo-freudiano-sofocleo "gangster story" Un bacio e addio. STORIEEFIABEDEGLIZINGARI GiuseppePontremoli "L'Enza è scesa bionda e sporca:/ ha trecce di paglia e miti occhi, I canta camminando, / il suo piede è grande con vene delicate." Così diceva Attilio Bertolucci in L'Enza a Montechiarugolo, una poesia molto bella, del 1934, in cui raccontava questo torrente che, tra roselline bianche e fiori di gaggìa, rotola tra la provincia di Parma e quella di Reggio Emilia. "L'Enza con-eva azzurra/ lungo il tiepido giorno;/ già nell'avanzato pomeriggio/ bambini bruni vi s'immergevano/ con deboli gridi, / e spruzzandosi e ridendo e tremando / godevano di quell'acqua di fiordalisi." Ma quella volta l'Enza era scesa bionda e sporca, dopo che dietro una apparentemente innocua e solitaria nuvola bianca "uno scuro esercito avanzò / e da giorni e giorni tiene il cielo, vincitore./ Tremanti e fradice le rose si sfogliano,/ il frumento si piega, il fieno marcisce, / l'Enza è una fanciulla bionda e povera". Ancora una volta l'Enza è scesa, bionda e sporca; però non era i I maggio di sessant'anni fa, era invece il confine tra l'agosto e il settembre di questo nostro orrendo presente. E sarà stata allora mora e sporca e furente, furibonda a sfogliare e spazzare e piegare. E annichilente, anche, e forse annichilentesi, con le sue vene di fanciulla povera fattesi fragore - anche, forse, a cercar di coprire persino un rimorso che poi comunque a maggio affiorerà pur anche dalla profonda dolcezza di un caldo e fiorito silenzio rinnovato. E sru·àstata ben scura, e furibonda davvero se, nell'immel-

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