Linea d'ombra - anno XII - n. 97 - ottobre 1994

VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE 71 Ken Loach ha costruito il suo film in modo efficace, e un po' partigiano però: alla fine, si esce con la certezza che i cattivi del mondo sono stati finalmente smascherati. Sono loro, i servizi sociali. Le temibili assistenti sociali. Ce1tezza che non può che essere confermata, anche qui da noi, dalla lettura dei giornali. Il nuovo mostro è lei. Si annida in uffici più o meno squallidi, ha occhi dappertutto, e una sfilza di tabelle per il controllo dei parametri: qualità della vita, livello di autonomia, adattamento sociale, ecc. ecc. Se sei fuori parametro, attenta a te, mamma-coccinella. Ti piomberà addosso e ti ruberà i bambini.L'immagine dell'assistente sociale che ruba i bambini è entrata talmente nelle cronache e nella testa della gente che Stefano Cirillo, noto psicoterapeuta che da anni si occupa di affidamento e di maltrattamento, di famiglie e di operatori addetti alle famiglie, l'ha usata come titolo del suo ultimo bellissimo libro (che consiglio a tutti gli operatori sociali) scritto in collaborazione con Maria Valeria Cipolloni: L'assistente sociale ruba i bambini? (Raffaello Cortina Editore 1994). Quello che nel film di Loach non c'è, e c'è invece nel libro di Cirillo e nell'esperienza di tutti quelli che lavorano nei servizi sociali è la sensazione, drammatica e spesso lacerante anche per la "cattiva" assistente sociale, di non riuscire a conciliare gli aspetti contraddittori di un lavoro di aiuto che ha, anche e irrinunciabilmente, una funzione di controllo sociale. E di una relazione in cui chi è "aiutato" (o assistito) contemporaneamente trova giovamento nell'aiuto ma ne è in qualche modo segnato, fino a non potersi più liberare da quel segno che indica incapacità e quindi inettitudine, a tempo indeterminato. I bambini rubati dalle assistenti sociali sono quasi sempre figli di madri "aiutate". Aiutate anche molto. Spesso troppo. Da troppo tempo. Nelle storie di queste madri, risalendo di generazione in generazione, Cirillo e i suoi collaboratori scoprono altri aiuti, dati a' nonne, a zii, a fratelli, a cugini. Un oceano di aiuti. Per anni. Per decenni. Aiuti che non hanno prodotto quasi nessun cambiamento, o cambiamenti momentanei, incerti, che non sono riusciti a radicarsi, a diventare guarigione vera dal disagio sociale. Quando tocca ai bambini dell'ultima generazione diventare gli emissari di quel disagio, cosa può significare aiutarli, loro? L'intervento di buon senso, logico, quello che in apparenza dovrebbe essere accettabile anche agli occhi dei buoni borghesi, è certo la difesa estrema. Difenderli da madri - da genitori - sbadati, inetti, pericolosi. Toglierli, subito, da un ambiente in cui altri aiuti non sono stati ben utilizzati, in cui tutta la dedizione dell'assistente sociale non è bastata a guarire dalla cronica incapacità di diventare rispettabili. Tutto bene, allora? Abbiamo salvato almeno loro, i teneri, i minori, dai rischi di una vita squallida e insufficiente. Soddisfatti? Macché. A questo punto, l'occhio del buon borghese diventa umido. Colpa - o merito - dei giornali, che balzano sul caso senza scrupoli e senza conoscenze, dipingendo a colori generosi il fosco dramma che si sta consumando, lì, guardate, CrissyRockinterpretedi Ladybird,Ladybird. bambini in lacrime attaccati al collo della mamma, e l'assistente sociale, affiancata se necessario dal poliziotto, inflessibile e algida, nella sua certezza di agire "per il bene del minore". In istituto starai bene, vedrai. Vestitini puliti e alle cinque non il tè- siamo in Italia - ma sicuramente un succedaneo dellaNutella, abbastanza buono tutto sommato. Inonidite, mamme d'Italia. Vedete come piange il piccino? E come piange la mamma che, certo, sfigata lo è, basta guardare come è vestita, e che faccia, chi lo direbbe che ha solo trent'anni, come si lasciano andare, sarà magari tossica, o alcolizzata. Ma insomma sempre mamma è, e i figli, si sa, so' piezz' 'e core. Cattiva, cattiva, assistente sociale. "Mi sento sempre come nella storiella del padre, del figlio e dell'asino" mi diceva qualche giorno fa un'assistente sociale. Me lo diceva arrabbiata: aveva appena visto il film Lady bird, aveva appena letto un mio libro recente' ("Anche tu te la prendi con le assistenti sociali!"), e come se non bastasse aveva appena concluso un colloquio con una madre in difficoltà che, dopo aver accettato una momentanea sistemazione del figlio in unacomunitàdi pronto intervento (richiesta dalla madre stessa, per motivi di salute) le aveva detto: "Tanto lo so che va bene più a lei che a me: non è vero che prendete 5 milioni per ogni bambino che mettete in comunità?". Aveva ragione ad essere arrabbiata. Proprio come nella storiella a cui alludeva, l'assistente sociale può stare ben certa di una cosa: qualunque cosa faccia, qualcuno le dirà che doveva fare il contrario. O comunque qualcos'altro. È inevitabile: nel dilemma "chi è il cattivo" diventa impossibile muoversi. È buona una famiglia che trascura i bambini? È buona una assistente sociale che per eccessiva compassione non fa niente di decisivo per bambini trascurati e forse maltrattati? che fa finta di non vedere e di non sentire pernon essere costretta a rubare i bambini? E cosa scriveranno i giornalisti, se invece della scena del furto - di bambini si troveranno a portata di penna un bel drammone di maltrattamento, o di incidente dovuto all'incuria e alla trascuratezza? Magari un bell'incendio, con tanto di bambini bruciacchiati, proprio come nel film? In realtà, il dilemma nasce dalla contraddizione di cui si

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