Linea d'ombra - anno XII - n. 97 - ottobre 1994

-- . ' : ·· - · · VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE 69 zione messicano-canadese di medio budget, piena di idee e di passione, generosa, torrenziale. Un film con alcune imperfezioni e qualche ingenuità, qua e là candidamente ideologico, eppure ampiamente giustificato dall'urgenza dei terni che lo attraversano. Intanto Novaro, che finora si era limitata a costruire dei delicati ritratti di donna, non più di uno per film, sceglie qui la strada della grande tessitura narrativa e mette in campo più personaggi, maschili e femminili, messicani, nordamericani, indios e chicani (i messicani d' An:ierica, un ibrido culturale dolorosamente in cerca d'identità e di simboli in cui riconoscersi), bambini e vecchi. Li fa incontrare aTijuana, città di confine tra l'opulenza californiana e l'immenso e desertizzato nord messicano, "città-bordello, città-venduta" - come dice e mostra Novaro - , nata negli anni Venti per capriccio dei ricchi di Hollywood in cerca d'alcool e di stordimenti vietati dalla legge secca del proibizionismo. Una città non a caso iperrappresentata dalla cinematografia nordamericana ogni volta che c'era da descrivere per via di cliché l'esotismo fuorilegge della frontiera più raggiungibile e più permissiva. Nei film nordamericani chi ha problemi con la legge scappa sempre in Messico, zona franca, almeno per i gringos, da Sweet Sweet Ass di Melvin Van Peebles a Thelma e Louise di Ridley Scott .. Nella Tijuana di MarfaNovaro, però, c'è ben altro. Le vestigia degli anni ruggenti sopravvivono concentrate in un'unica strada, chiamata - ironia del caso - Avenida Revolution: bazaar ali' aria aperta di saloon, bordelli, case da gioco, negozi per turisti yankee, inglobato in un tessuto urbano che gli si è sviluppato attorno a ritmi vertiginosi e che conta oggi più di un milione e mezzo di abitanti. Tijuana è infatti un magnete: il denaro circola e il lavoro non manca, l'America è vicina e si sente. Vicina perché tra il suo e il territorio messicano esiste solo un muro di lamiera e filo spinato lungo trenta chilometri (ma sorvegliato a vista dai ranger Usa), facile da scavalcare o da eludere. Un muro che finisce in mare, prolungandosi nell'acqua per centinaia di metri, allo scopo di scoraggiare gli eventuali clandestini, ma che più poroso non potrebbe essere. Vicina perché esiste un movimento intenso e regolare di frontalieri, perché la comunità chicana di California è numerosissima e ha stretti contatti con il paese d'origine, perché soprattutto l'economia nordamericana ha bisogno del lavoro più o meno illegale dei messicani poveri. Vicina perché la macchina culturale e commerciale degli Stati Uniti ha inquinato capillarmente la vita di questo crocevia nel deserto facendolo vivere sugli sgravi fiscali, sulla detassazione dei prodotti, su immense mali aperte ventiquattr'ore su ventiquattro, su un'incredibile circolazione di beni del tutto superflui (vedi la scena del bambino, della vecchia india e delle mucche con il Sony walkman giallo), sul meticciato linguistico, sulla televisione e i miti nordamericani, su una contiguità con il benessere e il consumo che con nulla si possono conciliare se non con l'amnesia e l'accettazione passiva di un modello violentemente omologante. A Tijuana però - e questa è la favola o l'apologo di Novaro - le identità, nonostante tutto, non si perdono e l'umanità non muore. L'inquinamento, l'ibridazione, il pastiche linguistico e culturale non tolgono memoria e possono invece portare a inventare qualcosa di nuovo. Ad esempio un diverso modo di concepire e abitare il pianeta, rifiutando la logica dei confini e dei muri, ma anche quella dell'omologazione. "Se le balene che vivono nelle acque della California vanno a partorire davanti alle coste messicane", chiede una bambina nel film, "i balenotteri cosa sono? yankee omessicani?". Se la natura non ha posto aut aut e funziona, proprio per riprodursi, sul p1incipio della :fluiditàe della pendolaUnascena de // giardinodell'Eden di MorfoNovara. rità, se gli uccelli migrano e le tartarughe marine vanno a deporre le uova lontano dall'acqua, perché gli esseri umani non possono a loro volta adottare una modalità morbida, circolare, giocata con ironia e leggerezza sulla provvisorietà, la stanzialità a termine, soprattutto sulla rinuncia a pensare proprio e per sempre il territorio che si occupa. Logica dell'attraversamento e dell 'utilizzo vs quella del dominio e del possesso. Logica di pace contro logica di guerra. Quella di Novaro è evidentemente una sensibilità femminile e materna, conservativa. Il suo, a differenza di quello dell'Amelio di Lame riea, non è lo sguardo impietrito dall'orrore di chi si ritrova vivo dopo l'apocalisse, bensì quello carico di speranza e di energia di chi sa che molto può essere fatto, che siamo ancora in tempo. Se la nave dei folli di Lamerica è congelata in un movimento immobile, priva di meta ma anche di un luogo a cui fare ritorno, la piccola umanità di El jard[n del Edén può andare e venire, partire e arrivare. Può, innanzitutto, tornare. Senza perdersi. A farle da ancora ci sono radici certe, da difendere e curare amorosamente, con orgoglio e piacere. Il segreto è assumersi la responsabilità di se stessi, uscendo tanto dalla soggezione quanto dal vittimismo. Dove Lamerica è un film dai colori terrosi, monotoni, tetri, i suoi interni caverne sventrate dentro cupi edifici in rovina e gli esterni inaiidite e desertiche terre di nessuno, il confine descritto da Novaro è inondato di luce e di colori, di musica, cibo, bambini, animali, di promesse e di bellezza. E forse sarebbe stato giusto che la regista, invece di preoccuparsi di stringere i tanti nodi narrativi del suo bel film, scegliesse di chiuderlo sull'immagine più folgorante vista quest'anno a Venezia: un'india giovinetta e di bellezza incantevole che, nel luminoso costume di Oaxaca, attraversa le strade di Tijuana portando _sullespalle una grande gabbia piena di uccellini di tanti colori. Il giardino dell'Eden può esistere. Basta non cercarlo fuori da sé. Marco Risi, finora muscoloso autore di film che miravano direttamente alla pancia(daMery per sempre a Ragazzi fuori), con Il branco sembra aver abbassato ulteriormente il tiro. Nel suo mirino ci sono oggi "cazzi e fighe": uomini ridotti al loro, materiale e simbolico, organo genitale; donne ridotte a oggetti usa e getta. Un doppio stupro collettivo che modella due ore di spettacolo giocato voyeuristicamente (altro che pudicamente, caro Risi) sul "non mostrato" e sull' interdetto alla vista. Dunque

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