. . . VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE 65 Foto di Giovanni Giovannetti. scrive che il futuro multiculturale dipende dallafrantumazione dei paradigmi e dalla capacità di stare a cavallo fra due o più culture presentando una nozione di etnicità come contraddizione più che come opposizione. D'altronde, la parte monografica è dedicata alla questione dei confini e nell'articolo di Portelli si legge che bisogna riconoscere il limite e sapere dove fermarsi. L'identità etnica in una società multiculturale è dunque un confine o un diritto? Ci sono confini e limiti, anche se sono mobili e valicabili. Le mie possibilità non sono ristrette dal fatto di essere unmaschio, romano, intellettuale, laziale. È un confine in cui tutti possono entrare mache mi consente, se vuoi, di chiudere la porta. Il confine lo decidi tu. L'etnicità è una scelta. Anzaldùa si definisce di una certa cultura e sessualità. Al tempo stesso però sa essere universale. È questa la forza di Ellison. Al contrario, un etnicismo normativo va combattuto. Può degenerare nel fondamentalismo. Sono le egemonie interne ai gruppi che impongono confini. L'identità come costruzione personale, come dato continuamente valicabile e permeabile è un concetto che la rivista potrebbe sollecitare. La cultura degli anni Sessanta ha sottolineato un'identità concepita per opposizioni binarie. Il nero era l'opposto del bianco, l'autenticità etnica era contrapposta alla dimensione tecnologica emetropolitana. Al contrario, inAmerica e nell'Occidente multietnico, gli autori e i teorici post-coloniali riflettono, oggi, sul potenziale dialogico dell'identità "meticcia" degli immigrati. Gayatri Spivak e Houston Baker pongono il problema di un sapere che si faccia incrocio. Il meticciato è una possibilità, ma può essere anche il risultato di un'invasione. Malcolm X scrive: "Odio il sangue bianco che mi ritrovo addosso". Se guardiamo alla letteratura indiana americana non si può non cogliere la durezza dell'esperienza del meticciato. Il meticcio è isolato. Paula Gunn Allen dice del tremendo dolore di essere un "ponte". L'ibridazione non va romanticizzata, come avviene spesso nel discorso post-coloniale. Gran parte del meticciato deriva da stupri. È un fatto storico. A chi le dice: "Hai un poco di ogni cosa dentro di te", la Corregidora di Garyl Jones risponde: "Non ce l'ho messo io". D'altra parte c'è la possibilità di una molteplicità di orientamenti. Io prevedo che il multiculturalismo passa per il conflitto e si costruisce nel tempo, consiste nell'essere preparati a litigare con i propri vicini e vivere nello stesso palazzo. Questo permette di avere conflitto più che lamolteplicità pacificata. Le liti fra vicini fanno capire che il confine è rilevante, che bisogna lavorare insieme per definirlo senza averne paura. L'esperienza post-coloniale in America diviene spesso anche diretta testimonianza di una diversa prospettiva su una cultura bianca e WASP che è sempre stata egemonica. Se il discorso critico è testimonianza, diventa sempre più importante per il critico scrivere in prima persona, far prevalere la sua prospettiva non neutrale. Come cambia la scrittura critica a contatto con il persona) criticism e la critica etnica statunitense di Trinh Minh Ha e Alzaldùa? Se la storia non è neutra anche il linguaggio non lo è. Ci vuole molta autorità per far convivere critica e autobiografia. Il saggio di June Jordan che abbiamo in preparazione e la poesia di Grace Paley È responsabilità che apre il primo numero di "Acoma" vanno però in questa direzione, essendo entrambi ricchi per varietà di genere e di idee. Anche qui è difficile porsi problemi di confine. Grace Paley è poetessa, narratrice, saggista, o tutte queste tre cose messe insieme? L'INEFFABILEILSUORACCONTO lA POESIAMODERNA SECONDOBERARDINELLI PaoloGiovannetti Leggere con piacere e con passione, con adesione non solo intellettuale ma anche estetica, il recente libro di Alfonso Berardinelli, La poesia verso la prosa. Controversie sulla lirica moderna (Bollati Boringhieri 1994, pp. 234, Lire 32.000), significa forse inverarne le più funeste analisi.L'autore lo sa del resto benissimo, e a un certo punto del volume - non a caso proprio verso la fine - ce lo dice a chiare lettere: "Quando q1,1alcunomi chiede se scrivo ancora poesie, o perché non ne scrivo più, rispondo: le mie poesie degli ultimi anni sono i miei saggi" (p. 203). Ma un saggio istituzionalmente, oggettivamente, prosastico che parla di poesia e che insieme possa o debba venir letto come poesia èqualcosa di lievemente paradossale: suggerisce una prassi nominalistica della lirica, ovvero (per parafrasare Berardinel li che parafrasa Pasolini che parafrasaDante) suggerisce l'esistenza di un'inquietante "poesia in forma di idea". Una poesia che c'è ma non si vede, ovvero che non c'è ma che dobbiamo sforzarci di vedere, accanendoci a definirne forme e ragioni anche làdove queste, con ogni evidenza, non simanifestano. Ma appunto - ci dice lo stesso Berardinelli - da circa un secolo a questa parte la poesia da fenomeno reale, positivamente riconoscibile, si è fatta sempre più spesso un ente astratto, un mito praticato soprattutto dai poetologi, oggetto estraneo alla percezione dei lettori, fantasma che sopravvive solo nelle pagine della teoria
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