Linea d'ombra - anno XII - n. 97 - ottobre 1994

62 STORIE/ CASSÉ suonando vennero a zig zag fra le macchine due motociclisti della polizia stradale, e smontarono con un ampio arco dei gambali dalle motociclette e aprirono con bruschezza il cerchio: "Largo. Largo. Fate largo. Che è successo?"; e spingendo la gente una sull'altra entrarono nella folla. Informati, dal centro vuoto del cerchio si volsero e comandarono alla folla di disperdersi: senza darle per andarsene via ragioni migliori di quelle che aveva finora avuto, e non se n'era andata, eccetto che il loro ordine, e le loro giacche di cuoio nero, e le loro bandoliere di tela bianca. La folla lentamente girandosi indietro riluttante esitante malvolentieri si disperse, a raggera, con inconsci pensieri: C'eravamo prima noi. Siamo venuti prima noi. Arrivate voi per ultimi e vi mettete a fare i padroni. Gli agenti rimasero soli col bambino, che senza vedere e udire sempre piangeva. Essi si piegarono su di lui toccandolo piano con le mani: "Basta, sù?" sussurrarono. Si sedettero accanto a lui sulla striscia erbosa rialzata e gli offrirono una caramella due caramelle tutto il rotolino di caramelle una chewing gum un bicchiere d'acqua una corsa in motocicletta un casco da motociclista gli occhialoni da motociclista - "Cretini," disse il bambino, continuando a piangere racchiuso nel suo cane, - una sigaretta, - "Cretino," disse l'altro vigile al vigile della sigaretta, - minacce: "Sai che ti possiamo portare in prigione, se continui così?" "E portatemi," disse il bambino, "che me ne importa, oh, che me ne importa". Essi si guardarono sopra le sue spalle singhiozzanti: bagnato e tremante il bambino piangeva disperato, e non aveva paura di nulla. Gli batterono sulle spalle le mani con pietà, di nuovo chini: "Sù, non fare così. È morto, non c'è niente da fare. Comportati da uomo, non fare più il bambino. Hai pianto abbastanza, ormai, ora basta, sù? lascialo andare". Il bambino singultavae piangeva, scuotendo la testa, ed essi senti vano le lacrime nascere dentro di sé. "Sù, perché fai così? piangere non serve a nulla. Non essere irragionevole, sii uomo, smetti di piangere." "Andatevene," rispondeva il bambino. "Andatevene, lasciatemi stare." "Dicci almeno come ti chiami, e noi ce ne andiamo. Eh? Dove sta la tua mamma?" essi provavano a chiedere. Il bambino non rispondeva; disperatamente continuava a piangere, Flicò, Flicò, Flicò, ripetendo. Contadini passavano, di tanto in tanto: "Nessuno conosce questo bambino?" essi chiedevano. Tornavano a rannicchiarsi e a chinarsi sul bambino: "Di dove sei? perché non vuoi dircelo?". Gli battevano una mano sulla spalla e gliela stringevano. "Sù," riprendevano, "fai il bravo ometto. Alzati, lascialo andare". Provavano a distaccarlo dal cane con pazienza: il bambino gli si stringeva con più forza e con più disperazione, e gridava e piangeva con più strazio. I due agenti si guardavano l'un l'altro e non sapevano che fare: "Telefoniamo dalla cantoniera per un 'ambulanza," disse uno dei due. "Non c'è altro sistema, direi." Si alzarono in piedi e guardarono il bambino rannicchiato informe. Il bambino stringeva rannicchiato il cane e piangeva e lo baciava e lo chiamava e piangeva: lentamente il sangue si seccava e si induriva fra i grani di terra con cui era stato riempito nella pozza e poi spalato sul bordo della strada, e cani e gatti di passaggio si fermavano ad annusare, e qua e là a mangiare scuotendoli piccoli mucchietti informi cosparsi di terra: e si seccava e si induriva sul corpo del bambino, sulle gambe e sul viso e sulle mani e sulle braccia, e tra le braccia; e il corpo del cane si raffreddava, e le membra rotte si fissavano, nelle loro spezzate contorte deformi posizioni. "Dove abiti? Come ti chiami? Sù, non fare così. Dove è la tua mamma?" essi si curvarono e sussurrarono. Il bambino appoggiava la gota alla testa morta del cane, e lo accarezzava e singhiozzava e piangeva senza fine. "Sì, telefoniamo per un'autoambulanza," essi si raddrizzarono: "chi lo tira fuori dal cane, se non c'è un dottore". Uno degli agenti inforcò la motocicletta; il motore rombò e si allontanò. L'altro restò fermo e in piedi, davanti al bambino. Le macchine passavano senza fermarsi e senza rallentare; solo con un rapido sguardo notando disattente la motocicletta nera e lucida diritta, e il vigile in piedi accanto, la sua giacca di pelle, i suoi stivali rigidi, il suo casco rotondo tamburato; e lo strano mucchio avanti a lui sull'erba del margine, rannicchiato e sporco. Il bambino continuava a piangere e ad accarezzare il cane, sconsolatamente singhiozzando; l'agente lo guardava e passeggiava imbarazzato avanti e indietro, "Sù," chinandosi a dirgli di tanto in tanto: pareva impossibile che egli avesse pianto tanto, e piangesse ancora: "sù, calmati, ora, basta, ora". li primo vigile tornò; con un semicerchio veloce girando attraverso la strada inclinato e strisciando un piede per terra passò da un lato all'altro della strada, e tornato diritto venne a fermarsi dietro l'altra motocicletta. Rassicurò con un cenno della testa il compagno, "Fatto," aggiungendo; "Novità?" chiedendo sottovoce col mento verso il bambino. "Niente," rispose l'altro. Si fermarono in piedi dinanzi al bambino seduto rannicchiato, e lo guardarono. Gli si accovacciarono davanti, un ginocchio più giù, un ginocchio più sù; un braccio appoggiato sul ginocchio più sù; l'altro braccio teso verso il bambino, e ripresero a parlargli, toccandolo sui capelli, con pietà: "Via, non devi fare così. Non serve a nulla fare così". "Lasciatemi stare," gridava il bambino. "Lasciatemi stare, andatevene via." Si sedettero accanto a lui, uno da un lato, uno dall'altro, comprimendosi per riuscire ad entrare nel suo spessore, circondandogli le spalle con un braccio e chinandosi a parlargli accanto al viso. "Sù, ti capiamo. Ma a che serve fare così? Ormai è successo; rassegnati; che altro c'è da fare. Piangere non serve a niente, consolati, che ci puoi fare. A tanta gente muoiono tante persone care, e si rassegnano, - perché tu no." "Lasciatemi stare," protestava piangendo il bambino. "Lasciatemi stare; perché vi siete attaccati a me. Perché non ve ne andate via per i fatti vostri." "Perché vogliamo aiutarti," rispondevano essi pazienti: "Non vuoi farti aiutare? non vuoi che facciamo qualcosa per te?". "NO," urlava il bambino. Singhiozzava, con la faccia dentro il pelo indurito ispido del cane. "Andatevene. Oh Flicò Flicò oh Flicò." Essi si chinavano su di lui pieni di commiserazione, battendogli sulla spalla: "Sù, non fare così. Così sei cattivo, ragiona. Va bene, era i I tuo cane: gli volevi bene: ma ora, a che serve piangere? Ragiona. Cerca di rassegnarti: non c'è altro da fare. Rassegnati, non pensarci più. Dicci come ti chiami. Eh? Non vuoi?". Aspettavano la risposta. Il bambino abbracciava il cane e affondava la faccia dentro di lui, e non rispondeva. "Non fare il ragazzino," essi riprendevano. "Sù, alzati, lascialo stare. Vuoi?". "No!" gridava il bambino. "Andatevene!" Gli agenti si scambiavano un'occhiata esasperata, poi tornavano a chinarsi sul bambino e a battergli le mani sulle spalle; "Sù," dicendo. Una macchina si fermò davanti a loro. Una donna si affacciò al finestrino, sporgendo un viso pallido e capelli lisci tirati. "Che è successo?" chiese. Seduti accanto al bambino curvi su di lui rannicchiato col cane raccolto sulle ginocchia e tra le braccia, i due agenti soltanto alzarono il viso. "Un'automobile gli ha ammazzato il cane," risposero. La

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