Linea d'ombra - anno XII - n. 97 - ottobre 1994

sangue e sussultò e per un momento perdendo il respiro si interruppe: il gruppo fece un passo avanti e guardò, in attesa del cambiamento, proteso, l'operaio ancora chino col secchio inclinato fra le mani: il bambino singultò perdendo il respiro un momento, poi senza ribellarsi senza interessarsi continuò a piangere. "Ancora," il gruppo gridò, eccitato. "Bisogna togliergli il cane." L'operaio lanciò di nuovo un fiotto d'acqua, poi precipitosamente poggiò il secchio, e insieme ad altri due corse a togliere il cane al bambino. Il bambino si afferrò al cane e urlò, alzando la testa contro di loro, spaventoso e disumano, sporco di sangue e d'odio. Essi ritirarono le mani e gli parlarono con voci basse, suadenti, da preti, e tesero le mani e riprovarono ancora: e di nuovo ancora con la stessa violenza il bambino strinse il cane e urlò contro di loro. Provarono a strapparglielo con la forza, e il bambino cadde in un tale accesso di furore e di disperazione abbracciandosi al cane e urlando, che si spaventarono e si alzarono in piedi: pieni di orrore per il viso del bambino, e per aver udito le membra del cane cedere, e staccarsi, sotto le loro mani, e il cane disfarsi: non sarebbero mai riusciti a strapparglielo del tutto, sarebbe sempre rimasto al bambino un pezzo del cane a cui stringersi, testa di J ochanaan, da baciare: testa di Yorik non ancora divenuta teschio, ancora lì le labbra che egli usava di baciare: si guardarono l'un l'altro, senza saper che fare. "L'importante è che non sia ferito lui," dissero, incerti. "Non deve essere ferito lui; è solo il cane," aggiunsero. "Gli passerà," conclusero. "Fa pena, ma gli passerà. Intanto qui ingombriamo il traffico." Altre macchine si erano fermate, ed altre persone erano scese. Dalle case intorno sparse nei campi bambini erano venuti di corsa, lanciandosi richiami monosillabici gutturali eccitati, e dietro di loro adulti, più lenti, ma non meno eccitati; e riempivano la strada. Automobili da tutte e due le direzioni suonavano, chiedendo passaggio, addensandosi verso il centro. Dal centro del cerchio unico faticoso movimento centrifugo fra tutti gli altri centripeti lentissima una automobile prese a spostarsi suonando il clacson, rombò, fece manovra, affacciò la testa al finestrino e urlò a due bambini di scostarsi, girò intorno ad un'altra macchina ferma, si fermò e fece manovra ancora per evitare la pozza di sangue e i grumi; urlò ancora che qualcuno si togliesse di mezzo; altre macchine suonavano, chiedendo di passare, un'altra automobile si mosse, nella direzione opposta, sbattendo gli sportelli e ingranando la marcia; la prima ne approfittò per inserirsi contromano fra proteste di clacson e urli di guidatori e mettendosi di traverso sulla strada girare intorno al sangue; tuttavia imprecando non poté evitare che la ruota destra entrasse nella pozza, e accostasse allontanandosi la sua impronta fresca a quelle già secche della macchina investitrice. Al centro della folla i soccorritori estraevano dal mucchio sanguinoso ora un braccio ora una gamba del bambino, e glielo tenevano fermo e lo passavano con la spugna e lo esaminavano, poi lo lasciavano andare, ed esso tornava a tuffarsi piangendo nel grumo sanguinoso del corpo del cane. Grosse mosche iridate venivano, e si posavano sul sangue della strada e sul sangue che il bambino abbracciava. Intorno alla pozza accovacciati bambini silenziosi e attenti guardavano, scambiandosi cenni e indicazioni, e tuffavano nel sangue zeppetti di legno; con la punta degli stecchi toccavano e muovevano grumi e li spingevano fuori della pozza, tracciando righe semidense sull' asfalto, e si chinavano a osservarli; con la punta delle dita toccavano il sangue e i grumi, e poi se le pulivano sull'asfalto, raccogliendo sui polpastrelli una polvere bianca e cedendo in cambio una striscia scura. Il cerchio intorno al bambino esaurì tutte le possibili membra STORIE/CASSÉ61 e tutte le possibili occupazioni e diventò immobile e silenzioso, consapevole ormai che il bambino non aveva nulla, e che era solo il cane: "Andate via!" sempre protestava il bambino; e alla fine era la sola cosa che si poteva fare; tuttavia essi impacciati si volgevano intorno, e non si muovevano. Il bambino sempre straziantemente piangeva, ed essi lo guardavano; e in fondo sarebbe stato più facile che anche il bambino fosse stato ferito, o solo il bambino: e si potesse dare di lui una diagnosi e una cura e una soluzione esatte, braccio rotto, gamba rotta, gesso e iniezioni, anziché questo. Pieno di pietà il cerchio restava intorno a lui; a tratti ora uno ora un altro si chinava e lo toccava sulle spalle o sulla testa, "Sù, basta, ora, smetti di piangere; rassegnati," mormorando. "È morto, che ci puoi fare. Hai pianto tanto, ora basta. Lascialo stare." Il bambino piangeva e non si rassegnava. Un operaio improvvisamente si staccò dal gruppo e fra la delusione e le proteste dei bambini sulla strada con la vanga di un contadino riempì di ghiaia e di terra la pozza di sangue; tutti nel cerchio si voltarono a seguirlo con gli occhi muoversi e spalare la massa condensata di ghiaia e di terra e di sangue sul margine, finché egli rientrò nel cerchio, e tutti tornarono a guardare il bambino. "Andate via," sempre piangeva il bambino. "Andate via. Che volete. Che state a guardare. Che ve ne importa, a voi. Andatevene! Oh Flicò Flicò oh Flicò." "Non piangere più. Che ci puoi fare. Rassegnati," essi rispondevano. Il bambino scuoteva la testa e continuava a piangere. Le automobili lentamente - ali' altezza del gruppo rallentando e fermando - scioglievano l'ingorgo della strada. Poi fiammeggiando di cuoio nero e di bandoliere bianche rombando e 2/94 Alfonso Berardinelli Il Paese dei Balocchi Ilvo Diamanti La politica come marketing Luciano Canfora Viva la libertà Capire per reagire

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