Linea d'ombra - anno XII - n. 97 - ottobre 1994

52 INCONTRI Saverio Tutino CUBAIERIEOGGI IncontroconFabioRodrfguezAmaya Dalla sua pluriennale esperienza, prima come corrispondente dell'"Unità'' a Cuba e in seguito come inviato speciale di "Repubblica" in America Latina, Saverio Tutino (Milano, 1923) si è deciso, ed era ora, ad affrontare la problematica della rivoluzione cubana (Ciclonoeros. Un racconto cubano. Giunti 1994, pp. 160, Lire 20.000) Rivoluzione frustrata, contraddittoria o fallita - sarà la storia a deciderlo - è comunque l'evento che ha segnato l'esperienza politica più importante vissuta nel continente americano in questo secolo. Di fatti dimostrabili e accaduti nella realt/1 si avvale Tutino per ricostruire una Foto di Giovanni Giovannetti. storia che nonha nullaache fare con il reportage o la testimonianza,ma che rientra inpieno nella categoriadella finzione letteraria o, meglio, del genere romanzesco senza tuttavia restare intrappolata nell'ambito del giallo o del thriller. Cicloneros. Un racconto cubano offre lo spunto per parlare di una realtà bisognosa di svolte e soluzioni. I tempi sonomaturi per riconoscere come dicerie fuorvianti i commenti dei "rivoluzionari da salotto": i rivoluzionari europeiche soloa parole hannosaputoaffrontare il fenomeno di Castro, Che Guevara, Cienfuegos e di tutto un popolo e un paese che, per primo inAmericaLatina, ha raggiunto la dignitàdi nazione.Quasi tutti i giornalisti e gli intellettuali italiani che hanno avuto a che fare con Cuba si sono spacciati per testimoni d'eccezione, protagonisti, guerriglieri, fautori del fenomeno rivoluzionarioe nonhanno fatto altro che servirsidel destino di un popolo per interessi personali e di fama o notorietà. Con Tutino succede il contrarioe con lui si può discutere a fondo e con lucidità del vissuto, del passato e del presente di Cuba. La chiarezza di un personaggio come Tutino che pratica la scrittura e il giornalismo con una fierezza d'altri tempi, consente di ventilare alcuni aspetti per la riflessione su un paese alle porte del disastro, come del resto accade con tutto il subcontinente che, oggi più che mai, vive il momento più tragicodellasuagiovannestoria.Autoree intervistatore,nelledifferenze, oltre ali' amicizia e al rispetto, da anni hannoavviato un profondo rapporto cimentato sul dialogoe sul dibattito ideologico,politico e culturale franco e aperto, non solo su Cuba è chiaro. In quale prospettiva si potrebbe inserire Cicloneros? Io lo vedo come un piccolo esemplare di narrativa sul tema del "come eravamo", negli anni a cavallo fra i Sessanta e i Settanta. Come eravamo non solo io, il giornalista italiano spedito dall "'Unità" come corrispondente ali' Avana, un punto alto della rivoluzione nel terzo mondo, ma come erano anche altri più auterovoli intellettuali amici miei-ricordo Vittorio Foa, Lucio Colletti, Cesare Cases fra i tanti che tifavano con me per il Che Guevara e Fidel Castro. Ecco, come ci eravamo illusi, per capire come poi ci siamo delusi. Il racconto Cicloneros ha cercato di cogliere quel particolare momento in cui la speranza di veder fare a Cuba e dintorni ciò che noi non eravamo riusciti a fare nel nostro angolo europeo si rivela come un sole anch'esso calante. Che magari risorgerà. Ma intanto si avvia verso una notte profonda, di cui cerco di cogliere il presagio. Il libro ha comunque una sua gestazione, elementi politici radicali, tratti autobiografici, di nostalgica visione? Oppure, con il tempo si è decantata una consapevole certezza di ciò che volevate fosse e non fu la rivoluzione con occhi europei? La prima versione di questo racconto, che avevo intitolato Il retrovita, era ancora troppo partigiana e gergale, sorvegliata e quasi criptica nelle sue lente evoluzioni, per poter convincere i lettori più smaliziati come quelli meno esperti. E non piaceva a nessuno: Natalia Gingzburg mi disse che l'eccesso di politica non la interessava, Italo Calvino dichiarò che non mordeva abbastanza. Tommaso Chiaretti, più preveggente, mi consigliò di farlo leggere a un editore giovane, non prevenuto. Invece tenni il manoscritto per me e quando lo ripresi lo riscrissi daccapo, aggiungendo capitoli più evidenti nell'azione e tagliando molte cose troppo inutili, troppo autobiografiche. Ma anche così non piacque. Allora lo riposi nel cassetto. L'ho ripreso in mano dopo che l'anno scorso Giunti mi aveva chiesto se, "per caso", non avessi qualcosa di narrativa da proporgli. Così è nato Cicloneros. Come per certi vini penso che gli abbia giovato l'invecchiamento, che paradossalmente ha aggiornato la storia rendendola più comprensibile, alla luce di quello che accade da qualche anno a Cuba. Da quando, effettivamente, l'URSS che garantiva la sopravvivenza del castrismo, si è dissolta, e il mito di Cuba socialista si è mostrato in tutta la sua misera nudità. Quali sono i ruoli storici di Fide[ e Che Ghevara? Cuba è finita come è finita, sola nel suo dolore, anche perché gran parte dell'intellighenzia di sinistra, soprattutto italiana, ha fornito a Castro una poderosa sponda per condurre la sua politica senza verità, dal '64 ad oggi. Cioè da quando Che Guevara se ne è andato dall'isola, per non condividere il ruolo di Castro - costretto a fingersi capo rivoluzionario del terzo mondo, mentre sviluppava dietro cortine di fumo guerrigliero una politica internazionale moderata perfettamente compatibile con la coesistenza. Storicamente e politicamente aveva torto Guevara. Ma almeno lui, quello che diceva faceva. Invece Castro parlava un linguaggio rivoluzionario mentre operava come un consumato politico, che giocava su tre sponde. Così si guadagnava la sovvenzioni sovietiche, una fama di Bolivar tricontinentale e un tacito consenso al gioco della partita doppia o tripla, da parte di Washington. Quali erano le debolezze del nuovo regime? A Cuba era difficile rendersi conto di questo. Si vedevano le contraddizioni fra le parole e i fatti, ma non era chiaro come sarebbe finito il gioco. Nasceva un regime di tipocaudillistico, ma credevamo che - nelle condizioni di Cuba - fosse inevitabile che esistesse un comando unico. Cadevano come birilli, uccisi dalla coesistenza, tutti quelli che erano passati per l'Avana, a ricevere consigli, prima ancora di andare ad aprire fronti guerriglieri o politiche castriste in Asia, in Africa, in America Latina. Ma sembrava che anche questo facesse parte di un rischio oggettivo, in questo genere di imprese. Invece nessuno moriva in combattimento. Erano agguati di un terrorismo globale, diretti da agenzie internazionali per la repressione di ogni movimento d'indipendenza. Colpivano tutti quelli che non erano protetti dall'Unione Sovietica. Come ha presagito il crollo del socialismo reale? Fu in quegli anni, a metà dei Settanta, che mi accorsi della debolezza sovietica e quindi a maggior ragione di quella di Castro. Ma speravo ancora che da lì potesse partire un grande fronte politico dei

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