- 50 VEDERÉ,LEGGERE,-ASèOLTARE. :1~ ..- _" __~: - . • - _ • t :.'.,l ingenuità o irrigidimenti, da volontarismo e illusioni, da esasperazioni e chiusure, non può stupire chi abbia conosciuto l'amabile testardaggine con cui Merli perseguiva il proprio lavoro di storico. Forse ciò che più l'atterriva era che alla storia del socialismo non si potesse dare senso e coerenza, che stesse scomparendo un finalismo che considerava indispensabile per ogni attività di impegno e partecipazione politica. Il desiderio di sottolineare i percorsi tortuosi e non sempre chiari e lineari di un "socialismo etico", proprio negli anni in cui il nome del socialismo sembrava identificarsi sempre più con comportamenti arroganti e cinici, era improntato a una sorta di volontà di riscatto dell'intellettuale impegnato contro una classe politica che aveva del tutto abbandonato proprio il terreno dell'onestà intellettuale e del rigore morale. L'interesse con cui andava studiando negli ultimi tempi un personaggio come Silone, il più isolato e sconfitto, ma spesso anche il più lucido e profetico tra i tanti intellettuali che hanno accompagnato in questo secolo la storia del movimento operaio italiano, rappresentava forse, e finalmente, la sintesi di quel "filo rosso" ricercato e analizzato per lunghi decenni: un filo rosso in cui il primato del momento etico e il rispetto della verità non potevano venir sacrificati sull'altare del realismo e della politica se non a prezzo di compromessi della coscienza ma anche, inevitabilmente, di fallimenti politici. La vitalità del socialismo, allora, se ancora il termine ha un senso in questa fine secolo, Merli la rintracciava non più in questa o quella tradizione minoritaria e sconfitta, ma in una posizione etico-politica globale, non certo riconducibile alla realtà istituzionale e organizzativa cui Silone aveva dato il suo appoggio. C'è un secondo aspetto del lavoro di studioso di Merli che si è sempre intrecciato con quello sopra accennato, che l'ha influenzato e a cui voleva offrire un sostegno e un approccio più oggettivo e, in qualche modo, scientifico: quello dell'analisi della classe operaia nel suo farsi, nel suo costruirsi, nel suo modificarsi prima e accanto al formarsi e al rafforzarsi delle proprie organizzazioni sindacali e politiche. C'è un lavoro in cui Merli ha riversato anni di studio, di ricerca archivistica, di analisi testuale, di confronto con la storiografia italiana e straniera, di tentativo di sistematizzazione metodologica; un lavoro che costituisce a tutt'oggi l'opera fondamentale e il punto di riferimento per chiunque voglia affrontare la questione della nascita e dello sviluppo della classe operaia in Italia: è Proletariato difabbrica e capitalismo industriale. Il caso italiano 1880-1900 (La Nuova Italia 1972). Fu un'opera che, al suo apparire, suscitò un'ampia discussione, anche accesa se si considera l'argomento non immediatamente traducibile in polemica politica. Una discussione che si svolse su tre piani: i dati statistici che Merli utilizzava e che costituivano una rilettura critica dei dati utilizzati dalla maggior parte degli studiosi e considerati fino allora "oggettivi" e incontrovertibili; le caratteristiche della composizione sociale della classe operaia e del suo inserimento nel sistema produttivo; il rapporto tra la realtà oggettiva della classe, la sua coscienza, le forme della sua organizzazione. La lentezza con cui, in Italia, si costruì una classe operaia marcatamente distinta dal mondo contadino, con la conseguente e peculiare permanenza della figura dell'operaio-contadino, costituiva un elemento centrale nel valutare le tappe della formazione di una solidarietà e coscienza di classe. Altro aspetto importante dell'analisi storica era poi comprendere come proprio la formazione della coscienza avvenisse sulla base di legami sociali e non solan1ente ideologici e organizzativi, attraverso forme di rappresentanza unitaria - le Camere del lavoro-che anticipavano altre modalità di organizzazione istituzionale della classe operaia. Proprio a proposito della camera del lavoro, considerata da Procacci come l'organo di avanguardia della lotta di classe, quasi prefigurazione di un autogoverno dei lavoratori, Merli sottolineò i limiti corporativi che, soprattutto nei primi anni, caratterizzarono la vita di questa fondamentale istituzione operaia. In polemica con un altro storico marxista, Manacorda, che aveva ritenuto il Partito operaio italiano- I' antecedente storico del PSI- troppo ancorato ad una visione radicale della democrazia, Merli ne valutò invece positivamente l'impatto proprio nella politicizzazione che riuscì a diffondere tra le masse radicalizzando la combattività operaia e legando diritto di sciopero e lotta anticapitalistica. Il centro del dibattito storiografico non fu comunque rivolto in prevalenza ad un giudizio sugli esiti politici e istituzionali della prima lunga fase di gestazione del movimento operaio; ma invece ad inidividuare le caratteristiche che esso ebbe attraverso la sua composizione sociale e la sua collocazione dentro il sistema produttivo. Merli sostenne il diritto di parlare già di un proletariato-analogo a quello industriale di massa -anche quando nel paesaggio italiano prevalevano le industrie manifatturiere e rutigianali, rifiutando una derivazione meccanica tra livello della rivoluzione industriale e coscienza del proletariato di fabbrica. Proprio per questo egli vide nella questione sociale e nel pauperismo l'altra faccia di uno sfruttamento selvaggio della forza-lavoro operaia, non una fase separata e antecedente del processo di industrializzazione e modernizzazione. Pur risentendo, e non poteva essere diversamente, del clima politico e culturale dei p1imi anni Settanta, e del dibattito storiografico che, soprattutto in campo marxista, cercava di dare coerenza e identità al passato e al presente del movimento operaio, Merli riuscì a costruire, con Proletariatodifabbricae capitalismo industriale, un affresco di grandi proporzioni e un'analisi di vasta portata, dando vita a un'opera tra le più importanti di tutta la storiografia italiana del dopoguerra. Il risultato di una passione di studio che si alimentava e si intrecciava, quasi senza soluzione di continuità, con la passione per le vicende e il destino del proprio oggetto di studio: quel movimento operaio e socialista che appare oggi, alla vigilia del terzo millennio, il terreno di una riflessione storica che ci si augura possa essere ormai pacata e slegata dalle vicissitudini del presente, ma non dal bisogno di "eticità" che tanto stava a cuore a Stefano. Stefano Merli era nato nel 1925 in provincia di Piacenza. Ha collaborato con G. Bosio e successivamente, negli anni Sessanta, ha diretto insieme a Luigi Cortesi la "Rivista storica del socialismo" e lavorato all'Istituto R.Morandi conGiovanniPirelli e Raniero Panzieri. Ha insegnato nelle Università di Venezia eMilano. Dal 1968 hadiretto per quindici anni la rivista "Classe". Tra le sue opere principali: L'Italia radicale. Carteggio di Felice Cava/lotti, Feltrinelli I959; La Rinascita del socialismo italiano, Feltrinelli 1963; Fronte antifascista e politica di classe, De Donato 1975; L'altra storia, Feltrinelli 1977; li partito nuovo di L. Basso, Marsilio 1981; Dimenticare Livorno (con S. Sechi), Sugarco 1985; L'Archivio di G. Faravelli, Feltrinelli 1990; I socialisti, la guerra, la nuova Europa 1936-1942, Fondazione A. Kuliscioff 1994. Ha curato gli scritti di R. Panzieri: Alternativa socialista. Scritti /944-56, Einaudi 1982; Dopo Stalin, Marsilio 1986; Lettere 1940-1987, Marsilio 1987.
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