Linea d'ombra - anno XII - n. 97 - ottobre 1994

46 VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE freddo, crudele e distruttivo della razza bianca, che ha annientato tutto". In alcune formulazioni si ha l'impressione di trovare una sorta di religiosità post-religiosa della Weil, una specie di Cristianesimo post-cristiano. Nel senso che nel suo pensiero convivono sia (a) l'esigenza della fede piena (si veda la "Professione di fede" finale), sia (b) una visione del sapere religioso in chiave critica, da storico e antropologo delle religioni e delle culture: per cui si possono fare affermazioni sulla verità di religioni che non si sono conosciute e vissute dall'interno, anche ammesso che si sia potuta vivere dall'interno e pienamei;iteuna religione data per sradicata e alienata come lo stesso Cristianesimo che la Weil descrive. Ad un certo punto leggiamo: "Credo che per un uomo cambiare religione è altrettanto pericoloso che per uno scrittore cambiare lingua. La cosa può avere successo, ma può anche avere conseguenze funeste". Frase molto acuta, da cui si possono ricavare diverse conseguenze. Anzitutto l'idea che nella religione c'è qualcosa di naturale, nativo e materno, per cui, per esempio, la conversione religiosa in età adulta può essere già qualcosa di artificioso, può portare a un rischio di falsificazione. Non si può uscire dalla lingua, diciamo così, della propria cultura, e quindi dalla forma religiosa (o irreligiosa) che apprendiamo da questa originaria linguacultura nella quale siamo nati e cresciuti, dentro cui abbiamo imparato a vivere. Da questo punto di vista, data lamancata incarnazione dello stesso Cristianesimo nella cultura europea profana (legata a culture pre-cristiane, dice Simone Weil), anche l'esperienza autenticamente religiosa dentro il Cristianesimo è dubbio che sia stata e sia possibile. Una religione sradicata, e che produce per secoli frutti di sradicamento, come può permettere al suo interno delle autentiche esperienze religiose? Non si deve considerare tutta l'esperienza religiosa dei cristiani come un artificio inautentico? La verità religiosa cristiana (nel senso di "spiritualità") non poteva diventare vera esperienza quotidiana, esperienza incarnata: era una finzione, una forma, diciamo, di falsa coscienza, di coscienza intimamente scissa e obiettivamente ipocrita. Il che è l'opposto della fede. Mancherebbe quindi nello statuto culturale e sociale del Cristianesimo il presupposto (l'incarnazione storica) perché una fede piena sia possibile. Perciò, dato che non si incarnava nella vita quotidiana profana delle società europee (soprattutto moderne: borghesi, capitalistiche, liberali, illuministiche, democratiche, ecc.), tutto il C1istianesimo, al di fuori delle parole di Cristo, sarebbe una tradizione estremamente pericolosa: fonte di errori morali e di confusione circa il rapporto fra quello che si crede (per fede religiosa) e quello che realmente si pensa e si fa (per necessità vitale o scelta pratica in una società non cristiana). Se questo è vero, nessuno che sia cresciuto per così dire nel Cristianesimo ha davvero vissuto un'esperienza religiosa, ma solo il suo fantasma, il suo surrogato. Come è possibile capire, allora, le verità religiose delle altre religioni, delle quali si ha conoscenza solo attraverso i libri, l'informazione moderna e profana, le traduzioni, gli studi accademici e specialistici, e un turismo culturale e morale più o meno appassionato? Se lo stato del Cristianesimo, il suo statuto storico, è quello che la Weil descrive, allora in Occidente l'esperienza religiosa è preclusa. È immaginaria, velleitaria, ipotetica. O dobbiamo crederla possibile come è possibile parlare una lingua che non è la nostra, una lingua appresa come seconda lingua: fermo restando che noi europei, dal punto di vista religioso, non abbiamo una prima lingua, perché le nostre precedenti "prime lingue" le abbiamo perdute con l'avvento del Cristianesimo. Quanto a religione, siamo privi di lingua, siamo muti o sradicati. Le nostre cosiddette esperienze religiose somigliano a delle più o meno ben riuscite protesi culturali. Si tratta di trapianti. Che, come dice la Weil per i cambiamenti di lingua, possono avere successo, possono riuscire. Ma non è escluso che, più probabilmente, abbiano "conseguenze nefaste" (tra cui l'ipocrisia, l'ottusità o l'irrealtà morale di cui soffre il Cristianesimo moderno). Un'altra (forse ancora più radicale) conseguenza che possiamo ricavare dal discorso di Simone Weil è questa: che il nostro stesso modo di capire e interpretare le altre religioni è probabilmente mutilo e falsato all'origine. Chissà che cosa possiamo capire, per esempio, del Taoismo o del Buddismo, che sono lingue religiose straniere particolarmente elaborate e remote, se anche la nostra prima lingua cristiana è perduta. Letta in questo modo, forse eccessivamente conseguenziale, la Lettera a un religioso presenta un tragico paradosso: l'esperienza religiosa è dalla Weil detta urgente e necessaria nel momento stesso in cui molti dei suoi argomenti più forti e originali la mostrano impossibile. Come è possibile infatti, sul piano storico, culturale, sociale, rimediare allo sradicamento europeo avvenuto col Cristianesimo venti secoli fa? Il Cristianesimo ha reso se stesso irreale nel suo sradicarsi dalle precedenti culture religiose, e nel negare le altre con cui è venuto in contatto, più tardi, nel resto del mondo. Ha distrutto altre culture, dunque, rendendo irreale se stesso. È stato questo il prezzo della sua nascita come religione specifica, religione-Chiesa. Entrare nellaChiesa significherebbe quindi entrare nella falsificazione religiosa, abbracciare un fantasma, una funesta illusione. Per questo Simone Weil sente che la sua vocazione è restarne fuori: essere cristiana fuori della Chiesa. Ma allora il suo Cristianesimo non può avere altro fondamento che una fede di tipo mistico: fondata interamente, cioè, su una diretta e individuale esperienza della realtà e verità di Cristo. Il quale Cristo è a sua volta Dioniso, Krishna, Prometeo, Osiride, ecc. Il fondamento della certezza e dell'autenticità religiosa sarà questa esperienza (perfetta attenzione a qualcosa di perfetto). Ma come uscire da questa dimensione e rendere di nuovo (o meglio: per la prima volta) socialmente reale un Cristianesimo ridotto ad un atomo di spiritualità, che può assumere come lingua di espressione il simbolismo cristiano o quello di molte altre religioni? Il paradosso religioso della Weil appare, credo, in una luce tragica, come una situazione senza via d'uscita. La rovina dell'Europa ha prodotto Hitler e Stalin, il culto della forza e una falsa, disastrosa idea della grandezza storica (si vedano le pagine suHitlerragazzo nell' Enracinement). L'Europa deipartiti politici, dell'oppressione operaia, dell'alienazione scolastica, non può avere la salvezza nel recupero di valori liberal-democratici. L'ateismo umanistico europeo ha abolito il senso del limite, dell'ordine cosmico, dell'ordine necessario della realtà naturale. Ha prodotto l'idea e l'idolatria del;la produzione

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