Linea d'ombra - anno XII - n. 97 - ottobre 1994

18 DAL MESSICO spazio a Colosio e così l'uomo finisce per apparire una figura di modesto rilievo e di secondo piano come probabilmente non è. Colosio si ribella, decide di sovraesporsi, comincia forse a togliersi quella maschera che ancora gli pesa di uomo subordinato a Salinas, comincia a parlare di separazione tra Stato e partito, di revisione dell'apparato priista, di cose che a molti non piacciono all'interno del Pri. Infine, pochi giorni prima dell'assassinio, arriva anche la pace con Solfs e la pace deve avere una qualche piattaforma comune. Forse si tratta semplicemente di una sovraesposizione retorica più che politica, di una antica abitudine alla promessa, alla dichiarazione cui non corrisponde una reale volontà politica. Forse la volontà politica si scontra con gli interessi ancora troppo forti dell'apparato, i cosiddetti "dinosauri" del partito in un partito in cui si punta a diventare in fretta dinosauri potenti, temuti e inamovibili. Forse qualche oscuro legame tra narcotraffico e potere vede in Colosio un nemico da abbattere. Qualche sua mossa per individuare e stroncare i rapporti tra il Cartello del Golfo e uomini del governo lo sovraespone fatalmente. Forse. Luis Donaldo Colosio muore in un giorno della seconda quindicina di marzo nel Nord del paese, mentre tiene un comizio protetto da più di cento guardie del corpo. Ucciso a revolverate da un uomo solo che gli si avvicina e gli spara a sangue freddo. Sul futuro presidente è calata di nuovo una maschera: non si sa cosa volesse davvero, non si sa perché sia morto e chi l'abbia ucciso. Certamente non un uomo solo, questa l'unica certezza. Il · resto, ciò che importa, è diventato un enigma. Ma la morte di Colosio colpisce profondamente il paese. Ai funerali di Colosio la tensione è palpabile ma il rito, oltre a essere religioso, è anche politico e a subirne le conseguenze è Camacho Solfs, contestato dalla folla priista che vede in lui l'antagonista di Colosi o nella successione presidenziale e anche in modo molto improbabile uno dei possibili mandanti, quando invece la pace fra i due era più probabilmente un patto contro quegli stessi mandanti. Anche la sua attitudine eccessivamente morbida nei confronti di Marcos e degli zapatisti viene contestata così come il protagonismo con cui l'ha condotta, cercando in essa l'occasione di un rilancio nell'orbita presidenziale. È una specie di condanna politica quella che subisce l'ex ministro degli Esteri, poi nominato commissario speciale per il Chiapas, a cui segue dopo poco il ritiro spontaneo dalla vita politica. Il Pri è in questo momento un partito allo sbando, la sua debolezza è palese, i candidati "forti" sono spariti. Salinas deve cercare un nuovo successore e lo trova in un uomo dal profilo non particolarmente significativo, che anche nella compagine di governo ha rivestito un ruolo non di primo piano secondo le strategie scacchistiche che precedono la designazione del re: Ernesto Zedillo, ministro dell'Educazione, di origini popolari, di scarsa estroversione e profilo politico, capo dell'ufficio per la campagna elettorale di Colosio. Un economista essenzialmente, come Salinas, ma senza la sua capacità comunicati va. Nel I' apri le del '94 inizia la sua campagna elettorale, che si concluderà ad agosto con l'elezione alla presidenza e con il giubilo dell'apparato che lo ha sostenuto e che si appresta a divenirne lo strumento. Intanto, nei giorni che precedono le elezioni, appaiono nelle strade di Città del Messico manifesti di un fantomatico gruppo che si firma "Escuadrones para la defensa de la fé catolica y la paz en Mexico". I destinatari delle minacce di morte sono i gesuiti messicani, al cui ordine appartiene Samuel Rufz, vescovo di San Cristobal de las Casas, indicato dagli organi del regime come uno dei fiancheggiatori della rivolta zapatista nel Chiapas, a cui il nunzio apostolico in Messico, Domenico Prigione, aveva chiesto formalmente la rinuncia all'incarico nei primi mesi dell'anno. Di fatto è un'ulteriore iniziativa dei gruppi della destra cattolica affinché venga ristabilita l'ortodossia ali' interno della Chiesa messicana minacciata dalle posizioni estremiste della Provincia della Compagnia di Gesù in Messico. Ortodossia su cui si basa l'avvicinamento tra lo Stato messicano, ufficialmente laico, e la Chiesa, sancito da tanti viaggi di Giovanni Paolo n e più concretamente dalle abili strategie di Salinas e del nunzio apostolico Prigione. Avvicinamento a sua volta contrastato dal lamassoneria messicana che nel Pri ha un punto di appoggio notevole e contro la quale la strategia di Salinas deve cercare, ottenendoli, nuovi appoggi. Infine, nei primi giorni di agosto, una vera e propria bomba giornalistica. Eduardo Valle, uno dei dirigenti della Procura Generale della Repubblica, ritiratosi dall'incarico, rilascia negli Stati Uniti, dove si è rifugiato per motivi di sicurezza, dichiarazioni che suonano come accuse contundenti a precisi uomini del governo. Secondo Valle furono i narcotrafficanti del cartello del Golfo e i loro referenti politici, in particolare il ministro per i Trasporti e le Comunicazioni, direttamente citato da Valle con l'implicita allusione a più alti livelli, a decidere la morte di Colosio così come probabilmente quella dell'arcivescovo di Guadalajara mesi prima, per aver cercato per la prima volta di affrontare il problema spinoso delle complicità tra trafficanti di droga e uomini politici in un paese chiave per i flussi negli Stati Uniti. Dentro la maschera Nonostante nessuna abbia mai veramente creduto alla possibilità di una guerra interna alle frontiere messicane, la metafora della guerra e della violenza ha costituito uno dei fili rossi di questa campagna elettorale. In qualche misura la percezione collettiva, cinicamente guidata dai mezzi di comunicazione, ha individuato da un lato il partito della sicurezza nella continuità, dall'altro il partito del cambiamento e della confusione. Nel mezzo una destra che obiettivamente ha tirato la volata al partito della continuità, il Pri appunto. La sinistra, forte di un movimento diffuso e dell'aperto sostegno di molti intellettuali, ha sentito di potercela finalmente fare, prescindendo dalle proprie contraddizioni che vanno dal caciquismo interno, al leaderismo di Cardenas, alla scarsa organizzazione interna, allo scarso radicamento urbano, soprattutto nel Nord del paese, alla scarsa consistenza programmatica (peccato che peraltro condivide con i suoi antagonisti). Ed è stata sconfitta, come forse era più ragionevole credere. Sconfitta da un paese multiforme e a tratti invisibile che ha manifestato la propria presenza in un rito simbolico autoevocativo. Many Mexicos è il titolo di un libro famoso in queste latitudini e anche una chiave interpretativa non secondaria della realtà messicana. Controllo centralista con discrete prerogative formali agli Stati, presidenzialismo che accoglie la tradizione dispotica azteca e coloniale, scarsissimo potere delle due Camere, accentuata divisione economica e culturale nord-sud con un centro che funge da baricentro geografico e politico, vocazione retorica latinoamericana e business con i capitali dei vicini del Nord, retorica indigena e razzismo classista, anarchismo e burocratizzazione. Ad ognuno di questi aspetti il Pri è andato costruendo una serie di risposte empiriche che lo rendono di fatto patte inscindibile del corpo stesso della società messicana e delle sue trasformazioni, capillare struttura di raccolta e sostegno del voto, agenzia incaricata del controllo del mercato del lavoro, macchina teorico-propagandistica. Inscindibile e imprescindibile per intendere il Messico contemporaneo. Dalla fine del Pri sono usciti i suoi oppositori, a cominciare da Cuauhtémoc Cardenas, e i suoi martiri, da Obreg6n a Colosio. E continuano a uscire i suoi presidenti a cui il partito da sessant'anni si asserve per sei anni, garantendosi così una grata sopravvivenza. Riusciranno Marcos e la sua maschera, la società che si sforza di organizzarsi senza maschera, e le molte forze che manifestano la propria insofferenza contro il dispotismo corrotto del dinosauro, a incrinarne l'egemonia? E per quale via? Subito dopo le elezioni alcuni segnali sembrano permettere una lettura comune. In Chiapas la sfida di Marcos continua e il confine tra tensione e violenza in conseguenza di un risultato elettorale estremamente dubbio, che assegna al Pri la vittoria, sembra essere particolarmente vicino. I vincoli tra narcotraffico e politica sembrano ancora una volta esorcizzati dalla incapacità del potere giudiziario di agire con una benché minima autonomia e le dichiarazioni di Valle sono già state squalificate come inconsistenti dagli esponenti del partito-Stato. Le richieste di destituzione di Samuel Rufz da vescovo di San Cristobal, avanzate dalla Santa Sede, indicano la volontà di spezzare i vincoli tra le rivendicazioni degli zapatisti e qualsiasi organico rapporto con le istituzioni. L'euforia priista del dopo-elezioni sembra di fatto andare nella direzione di una compressione degli spazi di critica interna con l'eccezione della destra del Partito Azione Nazionale, che appare sempre più come un sostegno importante del regime, per essere esponente di quella tradizione cattolica e di quei valori legati alla famiglia che costituiscono una delle anime più importanti della società messicana. 1 capitali stranieri e statunitensi, intanto, cominciano di nuovo ad affluire in virtù della continuità politica Salinas-Zedilloedel progetto di lungo termine di cui sono rappresentanti, sulla cui bilancia peroraci sono più multimiliardari ma anche più poveri.

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