Linea d'ombra - anno XII - n. 97 - ottobre 1994

16 DAL MESSICO MANY MEXICOS MASCHEREELEZIONI MarcoNifantani Le prime elezioni "pulite" in Messico hanno dato un risultato inequivocabile: vince il Paitito Rivoluzionai·io Istituzionale, perde la sinistra rappresentata dal Paitito della Rivoluzione Democratica, si rafforza la destra del Paitito Azione Nazionale. Una conferma di quanto andavano promettendo i sondaggi e qualcosa in più: una nemesi storica che sembrava lontana dalla realtà di un paese che invocava o lasciava trasparire la voglia di un cambio significativo e di vasta po1tata. Vince il paitito della tradizione, il colosso nato dalla Rivoluzione del 1920, il più anziano tra i pachidermi pseudo-ideologici di questo secolo. Soprattutto vince nel momento in cui ogni condizione sembrava essergli avversa. In gennaio l'offensiva in Chiapas dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, in marzo l'assassinio di Luis Donaldo Colosio, candidato alla successione priista, lungo tutto il '94 i segni di una recessione economica e dell'esaurimento della politica neo-liberale del presidente uscenteCarlos Salinas deGortari e, infine, la folla di osservatori nazionali e stranieri che metteva a prova la consumata abilità del regime nella manipolazione del voto. Una vittoria che legittima il partito-Stato agli occhi della comunità internazionale e al tempo stesso disarma e riduce la cai·ica montante delle opposizioni mettendole sotto il naso un risultato numerico che ha l'enorme valore simbolico di un suffragio popolare vasto, relativamente libero, relativamente regolare, ma soprattutto capitalizzabile da paite del paitito che da 60 anni gestisce il potere con metodi notoriamente "sporchi". Una legittimazione che giunge insperata e inattesa, soprattutto per la composizione del suffragio: 50% al Pri, 30% al Pan e 17% al Prd, il che segna una netta sconfitta della sinistra rispetto alle precedenti elezioni dell'88, e un esempio per l'intero continente quanto ad affermazione di politiche tecnocratiche, a respiro economico schiettamente neo-liberale e liberista e a controllo politico mai·catamente autoritai·io. Una forte enfasi propagandistica sulla illusione consumista e primomondista delle classi medie e medio-basse, la compressione degli spazi di critica interna a vantaggio di una stabile e consolidata pace sociale ancorché evidentemente dubbia, il ricompattamento di un paitito in paite ErnestoZedillo durantelo compo_gnoelettorale. Fotodi Donnemiller/Sobo-Réo/Controsto disorientato dalle recenti vicende, il corporativismo e patrimonialismo come concezione guida del rapporto paitito-Stato di fatto costituiscono l'asse portante della vittoria di Ernesto Zedillo in Messico come degli altri "regimi" democratici latino-americani da Menem a Fujmori. Ernesto Zedillo, uomo di Salinas, come lui formatosi negli Stati Uniti, alfiere di un neoliberismo radicale di fronte al quale la politica del presidente uscente rappresenta una opzione e una scelta di ragionevole moderazione, si appresta a far entrare un paese, che più di altri conosce vaste ai·eedi luce e ombra, nel terzo millennio. Alle spalle rimangono otto mesi letteralmente tellurici per la vita del paese, che di fatto hanno prodotto prima la crisi del regime e poi come diretta e decisiva conseguenza la forzata correzione democratica sfociata nel la accettazione degli osservatori nazionali e internazionali a garanzia di un processo elettorale trasparente. Il che non ha impedito la reincidenza dei vecchi vizi manipolatori del Paitito rivoluzionario, dalla compra diretta dei voti e delle credenziali alla intimidazione, alla esclusione immotivata, alla scomparsa dei voti di intere sezioni, inmolti casi solo bellamente dissimulati da una pratica più attenta e meno grossolana e in altri acuita dalle nuove virtù del calcolo cibernetico. Ma di fronte alla vittoria del Pri, fo1temente voluta dai mezzi di comunicazione, tutti legati a doppio filo al paitito (le poche eccezioni sono però molto significative) in una battaglia assolutamente impari con gli sfidanti esancitada un voto sorprendentemente numeroso e comunque, anche nella sua frangia di destra rappresentata dal Pan, non avverso al pachiderma priista fino a configurare una vera e propria alleanza strategica contro la sinistra del Prd, passano in secondo piano le evidenti irregolarità con cui è stata viziata la campagna elettorale, tanto prima quanto durante le giornate elettorali. Possono cambiare i numeri, seppure in modo non sostanziale tranne che in alcuni Stati come il Chiapas dove la situazione è più che mai incandescente, rimane il dato incontrove1tibile d'una vittoria elettorale che evoca la celebre definizione di Mario Yargas Uosa del sistema messicano come di una "dittatura pe1fetta" oltre ogni dire. Ma mascherate, occultate e nascoste, permangono le contraddizioni che hanno retto la politica e la società messicana degli ultimi anni e degli ultimi mesi. La metafora della maschera Il 1 ° gennaio 1994 un esercito di campesinos indigeni occupa alcune delle principali città del Chiapas, la zona sud del Messico: la stampa nazionale, e internazionale, ma soprattutto quella nazionale dà un rilievo inusitato alla cosa. Televisa, la emittente dominata da Atzcarraga, il Berlusconi italiano, sempre estremamente reticente rispetto a tutto ciò che non è conforme alla politica priista, mette in campo prima i fatti poi le ipotesi: ai·mi dalle guerriglie centroamericane, dagli ultimi conati di marxismo truffaldino e sentimentale, qualche teologo della liberazione attempato, forse una buona pai·te dell'intera comunità gesuitica, forse uno straniero o un gruppo di stranieri alla guida del movimento. Intanto aiTivano i primi comunicati del sub-comandante Marcos ai pochi mezzi di informazione indipendenti: il quotidiano "La Jornada" e il settimanale "Proceso". Di fatto l'attenzione della stampa stronca ogni tentativo di repressione militare immediata della ribellione. Delegittimazione dello Stato, uso della violenza ingiustificata e infine, estrema codardia, la maschera, il passamontagna, diventano il leit-motiv di una campagna cinica e feroce contro gli zapatisti condotta dai mezzi di comunicazione allineati al Pri. Come si permettono di sfidare l'autorità dello Stato, uno Stato che è anche disposto a perdonarli per ciò che coscientemente hanno fatto, per aver sollevato un popolo solitamente così egregiamente obbediente e sottomesso, per aver provocato tanta preoccupazione nei mercati internazionali appena rassicurati e blanditi dalla firma del Trattato di Libero Commercio con Stati Uniti e Canada? E quella maschera, poi, che nasconde? Quel nome, Marcos, comandante Marcos, chi nasconde? Un colto intellettuale del centro del paese che ha vissuto a Città del Messico, probabilmente nella colonia Condesa, simbolo della comunità intellettuale? Un gesuita? Un qualche avventuriero al soldo di qualche uomo politico avverso al presidente messicano? Risponde Marcos sulla "Jornada", unico giornale disposto a concedere spazio agli zapatisti: chiede se debbano essere perdonati lui e il suo esercito indio per non voler crepare di fame, per non avere i più elementai·i servizi

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