14 DAL MESSICO "Nel lago c'è fuoco". Con questa litania mi sedetti sulle gradinate. I dimenticati ultras gridarono: "La lucha proletaria no es parlamenaria!" e furono subissati dalla consegna "Unità! Unità!". Calava la luce e le macchine fotografiche sulla pedana della stampa sembrava che mirassero alla pole position di una corsa di formula uno. Nessuno voleva perdere la partenza del Gran Premio di Aguascalientes. Una voce invisibile annunciò l'arrivo degli zapatisti e la stampa mobile, che non dipendeva da un treppiedi, corse intorno al tavolo della presidenza. I contadini mangiavano semi e un veterano del '68 parlava del "nuovo spontaneismo". Quando l'informale vitalità del momento sembrava sfiorare il caos, il, comandante Tacho e il sottocomandante Marcos presero posto sul podio. A Oxolotan, Tabasco, avevo visto il Teatro Campesino cancellare i limiti fra dramma e pubblico; la rappresentazione del Vangelo incominciava sulla sponda di un fiume, passava per le strade e le case dove !agente proseguiva i propri lavori e giungeva infine a una radura nella boscaglia dove si compi va la crocifissione. Qualcosa di simile avvenne ad Aguascalientes. Il comandante Tacho annunciò la sfilata della "forza segreta" del' EZLN. Miliziani con bazooka? Tutt'altro: uomini, donne e bambini, con il volto coperto da fazzoletti e un bastone in mano, avanzavano con lentezza teatrale. "Costoro sono quelli che hanno conservato il nostro segreto, quelli che ci hanno portato le pannocchie e i fagioli mentre eravamo nascosti", disse Tacho. Poi sfilarono i combattenti, con bandiere bianche infilate nelle canne dei fucili. Marcos spiegò il gesto: "Significa, come tutto qui, un paradosso: fucili che aspirano a essere inutili". L'EZLN ha una statura media di 1,55, un'età media di 20 anni e obsoleti fucili da caccia. "Non hai visto le truppe scelte", mi disse un esperto che non le aveva viste neanche lui. È difficile immaginare un esercito più precario. Forse il 31 dicembre arrivarono ai villaggi del Chiapas su autobus commerciali, vestiti da civili, per iniziare la più casereccia delle nostre ribellioni. "Pensavano di morire - afferma Hermann Bellinghausen, che da gennaio vive nel circo zapatista - e improvvisamente si sono scoperti vivi e famosi; allora hanno capito di rappresentare qualcosa." La sollevazione sarebbe stata soffocata come tante altre se non fosse stato per la capacità comunicativa di Marcos. La moltitudine aspettava il suo discorso con un'attesa che nella cultura di massa può competere solo con una riunificazione dei Beatles. Il suo messaggio sarebbe stato geniale o non sarebbe stato. Il sottocomandante sapeva che quella era la sua notte suprema e con voce ricca di pause offrì un pezzo magistrale di retorica politica. Il fondo morale dello zapatismo si trova nella rinuncia al potere: "Lottate per renderci innecessari, per cancellarci come alternativa". Il suo fine più alto è la propria estinzione, il ritorno nella notte, nel mondo senza volto dei morti: "Non è il nostro tempo, non è l'ora delle armi; facciamoci da parte, ma non andiamocene. Aspetteremo finché l'orizzonte si schiuda o finché non saremo più necessari, finché non saremo più possibili ... Lottate senza stancarvi. Lottate e sconfiggete il governo. Lottate e sconfiggetevi". Non si tratta di un discorso di sinistra, perché i suoi postulati sono molto più generici: democrazia, giustizia sociale, dignità umana. Un repertorio di idee anteriore e posteriore ali' utopia socialista, che riscatta parabole indigene e cristiane e le inserisce nella frammentaria realtà di fine millennio.L'eloquenza zapatista detesta i luoghi comuni e opera con efficacia simultaneamente su indios choles e tojolabales, giornalisti e politici induriti in mille meeting. Ma bisogna anche sfumare l'entusiasmo suscitato dal Tucidide della giungla. Il culto della personalità del sottocomandante passa per la letteratura. Vederlo soprattutto come scrittore, sequestrarlo nel terreno della fiction, rappresenta un doppio attentato: ai suoi obiettivi politici e alla letteratura. Marcos non è un poeta lirico, né un rappresentante del realismo magico; la sua beatificazione letteraria contribuirà solo ad allontanarlo dalla zona in cui deve rendere conto; i morti e la guerra sono reali; non si tratta di un bohémien decadente, che fuma la sua pipa nelle montagne del Sud-est. Inoltre, il discorso che funziona efficacemente dal podio può essere cattiva letteratura; anche nell'eccezionale testo di Aguascalientes ci sono impeti di dubbia poesia, come "l'insensata e tenera furia dei senza volto". Nella venerazione letteraria del sottocomandante si compie la stessa operazione riduttrice della "letteratura compromessa". Un romanzo che si limiti al proselitismo è inutile quanto un discorso politico che si percepisca come una successione di metafore. Al termine del discorso sembrava difficile scendere alla realtà burocratica delle assemblee. Come avrebbero fatto gli esperti di mozioni e di battaglie intestine a portare avanti la trasformazione retorica del Messico? La presidenza cercava i I modo per procedere con ordine quando incominciò a piovere. Le allusioni all'arca di Noè e alla nave nella selva di Fitzcarraldo, la descrizione delle cento sedie della presidenza come "ponte di comando", il saluto "benvenuti a bordo" prepararono i convenzionisti a trasformarsi nella massa tripudiante che l'ora richiedeva: "Questa nave non affonda!". Poi il vento rinforzò, il telone si gonfiò come una vela in delirio e le lanterne si orientarono verso l'alto, come se volessero sostenerla con colonne di luce. Ciò che seguì fu lo strepito, lo schianto del cielo, l'uragano nella selva. Dopo Marcos, il diluvio. La terra smossa di recente si trasformò in una valanga di fango, i tronchi che servivano da sedili si slegarono e ci fu gente che rotolò per venti metri in mezzo a zaini e sacchi a pelo. Nella biblioteca, insieme a un centinaio di rifugiati, ascoltavo la mitraglia della pioggia sul tetto di lamiera. Improvvisamente, due mascherati apparvero alla finestra.Uno di loro si mise la lanterna sul petto e illuminò il suo passamontagna. "Marcos!" gridò qualcuno. I mascherati scomparvero. "È un profeta" commentò a bassa voce un uomo coi capelli inzuppati. "Cinque giorni fa promise che Aguascalientes sarebbe diventata una nave pirata." Dal poeta "cum laude" eravamo passati a un'altra idolatiia, il profetico San Marcos. Il carisma è sempre una semplificazione, un appiattimento della contraddittoria persona che lo sostiene. Ad Aguascalientes il sottocomandante crebbe come il ciclopico monumento a Kim Il Sung. La maschera e l'apertura del suo discorso permettono che ciascuno gli assegni il suo destino preferito. Il problema è che l'unica valvola di sicurezza contro questo eccesso è lo stesso Marcos. Dispone della tempra eccezionale per sopportare il peso della propria leggenda e sparire come è arrivato, senza soccombere ai flash della riconoscenza? Noi che credevamo che la biblioteca fosse il nostro habitat naturale fummo corretti dagli elementi; la pioggia non smetteva e una voce convinta che il ricatto fosse la forma più efficace di proselitismo domandò: "Non vi vergognate a stare al riparo mentre gli anziani tremano di freddo? Come volete cambiare il paese
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