Linea d'ombra - anno XII - n. 97 - ottobre 1994

12 DAL MESSICO Chiopos, gennaio 1994. Fotodi lehmon/Sobo-Réo/Controsto profanò i I nostro suolo. Per due secoli ilMessico bianco ha celebrato le piramidi per ignorare la miseria e il razzismo del presente. In piena rivolta zapatista, il governo ribadì l'importanza politica degli indios morti. Il ritrovamento del sarcofago di un re nel Tempio delle Iscrizioni di Palenque fu salutato come se l'onore della patria dipendesse dalle notizie provenienti dall'inframondo di Xibalba. Nell'aria rarefatta dalla polvere rossa del cinabro, gli archeologi videro diademi, braccialetti, pettorali, chiavi disperse del mosaico maya. Il loro lavoro non poteva essere più valido, ma fu sfruttato affinché le ossa di 1300 anni fa togliessero dai giornali gli zapatisti. Il mondo degli indios viene di solito percepito come una necropoli fotogenica, fortunatamente indecifrabile. Per questo l'EZLN fa tanti riferimenti al ritorno dei morti. I suoi passamontagna da vendicatori di film di serie B vengono da un passato scomodo. Lo storico Antonio Garcfa de Le6n racconta che la porta di un cimitero chiapaneco ha la seguente iscrizione: "Qui giacciono i m01tiche vivonoaZapaluta". Non è un caso che il Giorno dei Morti si rafforzassero le voci di una prossima sollevazione. Lo scrittore e narratore orale Eraclio Zepeda afferma che il giorno successivo, il 3 novembre, si celebra l'Anima Sola. La gente va al cimitero e porta fiori e cibo ai defunti che non hanno parenti. "È il giorno della democrazia nel Panteon", commenta Eraclio. Il 2 e il 3 di novembre del 1993 si fecero gli ultimi preparativi per la ribellione: i morti si dichiararono d'accordo. Picnic radicale A San Crist6bal c'era il divieto di vendere alcolici e la tequila clandestina animava le conversazioni nelle camere d'albergo; poco si pensava ai delegati rurali che dormivano in cantine senza acqua calda vicino alla Plaza de Toros. Stavamo per intraprendere il safari delle ideologie, il picnic radicale, la Fiera di San Marco nella nuova Aguascalientes. Nel mio caso, come in quello di tanti alt1i,operava il vago protagonismo del testimone: "Io c'ero. Chiamatemi Ismaele". Per il momento, però, l"'espe1ienza dell'alterità" era troppo simile al nostro quartiere. È evidente che c'è un lato frivolo in noi che abbiamo bisogno che il popolo si levi in armi per andare in tenda- il rapido tuffo nel Messico profondo - ma è anche evidente che nessuno era lì senza rischiare qualcosa. I corpi che si alzarono alle quattro del mattino camminarono venti minuti fino alla Plazade Toros, abbordarono un autobus che avrebbe tardato un'eternità, non diciamo ad arrivare, ma a muoversi, accettavano con piacere le scomodità. Forse qualcuno si considerava un martire estetico e ricordava il confronto fra il cadavere del Che e il Cristo del Mantegna, ma nello stesso tempo provava una logica sensazione di temerarietà. Nel micro-bus mi sedetti vicino a Andrés Aubry, ex sacerdote, storico, incaricato dell'archivio della diocesi. Vent'anni fa Aubry decise di vivere nel Chiapas e di imparare a memoria tutte le sue piante, tutti i suoi uccelli, tutti i suoi fiumi. Parlò dello Stato con la perizia di un giardiniere che anticipa lo spuntare di una pianta. Ogni dieci metri era ferma una carovana di 200 autobus. L'organizzazione era pessima, ma era un miracolo che ci fosse. Nel lentissimo tragitto attraverso le montagne verso la valle di Comitan, Aubry parlò delle quattro prede che potevano illuminare tutta l'America Centrale, il petrolio (nel 1977, 1'80%del totale del paese), il caffè, il legname, il bestiame e altre ricchezze che spiegavano l'ambizione di Cervantes di essere governatore di Seconusco. I boschi, le piane fertili, le palme suggerivano un viaggio dalle Alpi ali' Amazzonia, mai da Messico a Messico. Ricordai un fotomurale che nel 1970 adornava la prima linea della metropolitana: una

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