stra un significativo "slittamento" delle professioni di livello medio-basso che confluiscono sul livello più basso del capitale professionale. Parallelamente, tra il 1981e il 1991 le famiglie con scarso capitale culturale hanno fatto registrare uno scivolamento consistente dai livelli medi del benessere economico sull'area del disagio vero e proprio. Stesso fenomeno, ma in misura più contenuta, si è verificato per le famiglie con il più alto capitale culturale: anche in questo caso si è registrato nel corso di dieci anni un "movimento verso il basso" (diminuiscono infatti le quote di famiglie posizionate sui livelli medio-alti e alti della stratificazione per benessere economico e aumentano quelle posizionate nella zona del disagio e del livello medio-basso). Si inizia perciò a percepire una sfasatura nuova (e inquietante) tra le relazioni che intercorrono tra capitale professionale e capitale culturale da un lato e, dall'altro, tra quest'ultimo e il livello di benessere. L'investimento in cu !tura, strettamente legato ali' habitat culturale del la famiglia di provenienza e tradizionalmente riconosciuto come tratto fondamentale nei processi di distinzione sociale e di carriera lavorativa, inizia a mostrare qualche incrinatura, e laddove non sia legato a condizioni di privilegio accumulato e di "anzianità di classe" esso comincia ad offrire sempre meno garanzie e certezze per i percorsi di vita degli individui. Ma gli aspetti più interessanti di questa correlazione tripla (tra cultura, professione e benessere economico) emergono qualora essa venga analizzata nella tripartizione territoriale del Paese. Infatti, se nel Nord e nel Centro si registra uno spostamento verso la fascia bassa delle professioni delle famiglie con alto capitale culturale, al Sud la situazione si inverte: diminuiscono le famiglie che non riescono ad investire l'alto capitale culturale posseduto ed aumentano, specularmente, quelle che fanno "fruttare" l'alto capitale culturale posseduto spostandosi sui livelli più alti della gerarchia delle professioni. Da questo punto di vista la situazione meridionale presenta quindi un maggiore dinamismo, mentre al Centro e al Nord è probabile che una maggiore selettività e una saturazione del mercato contribuiscano a spiegare l'aumento delle famiglie che, pur in possesso di un alto capitale culturale, si situano sulla fascia bassa della stratificazione per professione. Se però all'analisi del rapporto tra cultura e professione si associa quella tra cultura e livello di benessere la configurazione subisce un 'ulteriore differenziazione. Considerando le famiglie i1 cui capitale culturale si situa sul livello più alto, nel Nord si registra un rigonfiamento delle fasce medie del livello di benessere, al Centro è individuabile uno spostamento significativo verso livelli di benessere elevato e ricchezza, mentre al Sud, anche in presenza di un '"ascesa" nella gerarchia professionale, si registra uno scivolamento non irrilevante nell'area del disagio economico. Ciò che quindi si è rilevato per il contesto nazionale (la sfasatura esistente tra cultura e professioni da un lato e cultura e benessere economico dal l'altro) risulta ancora più evidente per il Sud del Paese: l'investimento in cultura realizzato dalle famiglie meridionali se da un lato rende più dinamico lo scenario relativo alla gerarchia professionale, dall'altro non si concretizza ancora in un reale miglioramento delle condizioni di vita che, al contrario, stanno peggiorando indirizzandosi verso l'area del disagio economico. Avviare una riflessione su tali fenomeni sociali vuol dire allora prendere in considerazione il fatto che, al di là di una sempre maggiore selettività del mercato e di una saturazione dei posti di lavoro, l'inadeguatezza del sistema formativo (che ha contribuito alla creazione di capitali culturali familiari che sembra incidano sempre meno sulle professioni e sul benessere economico) rispetto alla domanda presentata dal mercato rimane ITALIA'94 9 uno degli scogli più importanti da superare per lo sviluppo e per la riduzione drastica delle sacche di povertà economica, di quelle "vecchie" povertà la cui presenza non va disconosciuta da sofismi e artifici intellettuali che originano dalla "complessità delle società del benessere" (quali sono le società non complesse?), e il cui grado di estensione (che merita senz'altro di essere studiato e tenuto sotto controllo, nonostante le dispute e/o le incertezze metodologiche) testimonia in maniera inversamente proporzionale del livello di civiltà e convivenza che una società è riuscita a raggiungere. Note I) G. Sarpellon, in Secondo rapporto sulla povertà in Italia, F. Angeli 1992. 2) ID., in Gli studi sulla povertà in Italia, F. Angeli 1991. 3) Come sottolinea Massimo Paci, pur lasciando aperto il problema di considerare il "terziario povero" e il lavoro irregolare come una situazione perenne (e che può quindi assumere progressivamente i connotati di classe sociale) o, al contrario, come una situazione di "transito temporaneo", in Le dimensioni della disuguaglianza, Il Mulino 1993. 4) Tutti i dati che vengono presentati in questa sede fanno riferimento ad uno studio del Censis in cui si sono elaborati i dati Istat sui "Consumi delle famiglie- 1991". Il criterio per la determinazione della soglia di povertà è quello della "International standard poverty line" (per cui si definisce povera una famiglia di due persone che ha un reddito inferiore al reddito medio pro capite). Per la definizione di tale soglia si sono utilizzati i dati di reddito disponibili nella suddetta indagine dell'Istat. 5) P. Guidicini, in Gli studi sulla povertà in Italia, F. Angeli 1991. 6) P. Bourdieu, La distinzione, Il Mulino 1983.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==