8 ITALIA'94 Palermo 1993. Foto di Paolo Titolo/Conlroslo marcato decadimento di quella che è stata la forma familiare più significativa e tipica del contesto italiano, cioè la "famiglia estesa" (basti pensare, a questo proposito, all'importanza che hanno avuto in passato i collegamenti tra microimprenditorialità artigianale ed industriale e persistenza della famiglia estesa nel quadro dello sviluppo economico del nostro Paese). Accanto a tale decadimento la nuclearizzazione delle famiglie si presenta, al contrario, come il fenomeno più caratterizzante l'evoluzione delle convivenze in Italia: nel decennio che va dall'81 al '91 tra le persone che vivono da sole gli uomini passano dal 4,5% al 6,7% e le donne dal 9,5% ad un significativo 15,7%, mentre le coppie coniugali e le coppie con 1 o 2 figli (le due tipologie familiari più numerose) rimangono stabili nel lungo periodo. Rimane da notare, sempre a proposito delle persone che vivono da sole, che ali' interno del 15,7% delle donne "solitarie" ben il 64,6% ha più di 65 anni e il 21% tra i 50 e i 65 anni (su questo fenomeno interviene anche l'incremento delle vedovanze indotto dal divario nel!' allungamento della vita tra donne e uomini), fasce queste in cui è molto facile che alla solitudine si associ una condizione di disagio economico o di vera e propria povertà. La condizione di povertà, che colpisce in media come si è visto il 10% delle famiglie italiane, è particolarmente grave per le famiglie numerose, fra cui quelle povere arrivano ad essere il 26, 1%. Il fenomeno è meno grave per i nuclei di tipo "clan esteso", anch'essi altrettanto numerosi (in entrambi i casi i componenti sono superiori a 4), ma per i quali vi è necessariamente la presenza di qualche adulto con relazione diversa da quella di figlio o coniuge rispetto al capofamiglia. Nei clan, evidentemente, la presenza di più adulti fa sì che aumentino le fonti di reddito per la famiglia, ed è per questo motivo che, a parità di numerosità, i clan subiscono meno l'impatto della povertà delle famiglie numerose. Tutto ciò per quel che riguarda la relazione tra povertà e struttura familiare. Passando a considerare i fattori cultura e professioni non si è però abbandonato un taglio, per così dire, "familiare" dell'approccio: partendo dalla convinzione che cultura e professioni non riguardino esclusivamente l' indi viduo che ne è portatore ma, al contrario, possano essere considerati come due "capitali" familiari che le famiglie stesse scelgono di investire nella società (come teorizza Bourdieu in un suo bel saggio sulla "critica sociale del gusto"6 ), si sono costruiti due indici sintetici (il "capitale culturale", a partire dai titoli di studio e dalle età dei componenti del nucleo familiare, e il "capitale professionale", che considera la posizione nella professione dei componenti in età lavorativa) da mettere in relazione con la diffusione della povertà. Considerando il rapporto esistente tra cultura e professione, l'analisi ha messo in evidenza che al livello della deprivazione culturale corrisponde in maniera automatica una collocazione sulla gerarchia bassa delle professioni, mentre sul livello alto del capitale culturale si registra la presenza significativa di valori che stanno ad indicare la presenza di disoccupazione intellettuale e la difficoltà di investire sul mercato il patrimonio di studi accumulato, fenomeno che attesta come il generale innalzamento del livello medio culturale riscontrabile tra 1'81 e il '91 si coniughi con le difficoltà che il mercato presenta (per saturazione, per selettività o per tutti e due i fattori) rispetto ai meccanismi di assorbimento. Il capitale culturale di livello medio viene infatti pesantemente penalizzato: nell'arco di dieci anni la collocazione delle famiglie di questo livello culturale sulla gerarchia delle professioni regi-
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