carismatica e personalistica che allarga le dimensioni del consenso, c'è un evento più generale che va tenuto presente. La crisi dei grandi sistemi democratici denuncia proprio l'esaurimento dei tradizionali meccanismi di mediazione, il progressivo indebolimento delle sedi e le figure protagoniste di quel processo, a partire dalla classe operaia e dai sindacati. Cosicché il problema della mediazione si sposta dal piano sociale a quello istituzionale, verso ordini e poteri come la magistratura o la Banca d'Italia. Le continue minacce ali' autonomia di queste istituzioni mettono in luce una dimensione della nuova cultura di destra che ancora una volta salda elementi tradizionali (una concezione organicistica e totalitaria, anche quando non centralistica) con inedite spregiudicatezze che rinviano a quella insofferenza di fondo verso i vincoli, i confini, le demarcazioni: verso tutto ciò che insomma pare complicare il modello di riferimento, quello dell'azienda e della proprietà di cui si dispone liberamente e senza limiti. Ma c'è anche un aspetto minimo, saldamente insediato nella microfisica della vita sociale, che mostra come il declino dello spirito di mediazione-che consiste nella consapevolezza dei limiti dei propri privati interessi e nel rispetto per i diritti e gli interessi altrui - sia un tratto culturalmente decisivo di questa fine secolo. In fondo, quella incerta virtù che chiamiamo "buona educazione" consiste soprattutto in una minima, diffusa, istintiva attività di mediazione. La sua scomparsa - lamentata con toni spesso insopportabili, ma che è un fenomeno reale, l'emergere di quella sorta di odio sociale continuo e indiscriminato che alimenta indifferentemente il teppismo negli stadi e la prepotenza nel traffico, i sassi dai cavalcavia e gli incendi dolosi, la violenza xenofoba e la volgarità campanilistica, sono i segnali più attendibili della impopolarità sociale della mediazione. Una nuova cultura di massa nasce proprio dall'incontro tra queste tendenze sociali e una pratica politica che pare condividerne i principi e lo stile. E la nuova destra deriva da questi processi sociali profondi i propri elementi ideologici. In fondo la rivendicazione continuamente agitata del diritto pieno a governare pare definirsi per analogia al potere illimitato di disporre del prop1iodiritto di proprietà, di possedere beni privati e perseguire fini individuali. Concezione anch'essa in grado di attirare consenso per un duplice ordine di motivi, perché gratifica quelle che sono le inclinazione eterne della vita pubblica italiana e perché pare registrare il fallimento della nostra peculiare forma di mediazione sociale, ossia lo Stato assistenziale. Anche qui, dunque, breve periodo e lungo periodo sembrano congiurare nel dare forza e legittimità ai principali elementi costitutivi di una nuova cultura di destra. Il consenso a quei valori privatisti e familisti, di spregiudicatezza individuale e deresponsabilizzazione sociale non è mai mancato, nella storia italiana. Ma la possibilità di esaltarli fino a renderli fondamentali nella costruzione di una nuova cultura di massa deriva da due fattori. Il primo è il processo materiale che ha disintegrato le antiche identità e fedeltà e ne ha create di nuove, che ha prodotto un blocco di interessi, di ceti, di sparse figure sociali che trovano stimolanti o anche solo rassicuranti quei valori - modernissimi, dunque, al di là della loro ancestralità. In secondo luogo, lo smarrimento, il vuoto, l'angoscia per il futuro che dominano oggi gli italiani-di cui lo straordinario declino demografico sembra, anche a non volerlo drammatizzare, la segnalazione più eloquente - quell'incertezza materiale e morale che rende così sfuggente il profilo di questo paese, trova in alcuni di quei valori l'unica nota di speranuiedi conforto. Non èquiil luogo per provare a capire perché valori diversi non sono in grado di raggiungere lo stesso risultato, e nemmeno it:nportadimostrare I' i I lusorietà di quella identificazione. Quello che conta, oggi, è che funziona, ha una sua stabilità e ITALIARICCA 7 razionalità ed è per questo adeguata a costituire il fondamento di una nuova cultura di destra di massa. A proposito della quale va accennata a questo punto un' avvertenza. Si è ragionato fin qui su segnali, indizi, tendenze. Perché si consolidino in una nuova cultura-esattamente come perché dal Buon Governo nasca un regime - occorrono altri fattori, il principale dei quali è il tempo. Non molto, però, e questo lascia spazi ridotti (e responsabilità enormi) a chi vuole combattere quel processo e quei valori. Ci sono, per esempio, i tempi brevi e almeno in parte imprevedibili della politica. Può darsi che su quel nervoso terreno la destra si incagli e registri qualche temporanea difficoltà. Essendo in Italia la politica una dimensione pervasiva e poco autonoma dal resto, questo ostacolerebbe anche il processo più lento e profondo di formazione di una nuova cultura di destra. Ma qui siamo appunto alla superficie oltre la quale bisogna cercare di andare per capire cosa sta davvero accadendo. E allora penso che anche quando il matrimonio politico da cui è nata la nuova destra italiana sembra vacillare, c'è un patrimonio ben più consistente e decisivo che la moti va e che è destinato a compattarla. Quel patrimonio-e possiamo utilmente intendere questa parola nel suo doppio senso, quello più angusto di beni, ricchezze, interessi e quello più ampio, come insieme di idee e valori-è già disponibile: è il frutto della storia italiana più antica e più recente. Nulla di più facile che trasformarlo nella resistente e duratura cultura di un nuovo regime. GIUNTI
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