ITALIARICCA ITALIA'94: SCENEDA UN PATRIMONIO MarinoSinibaldi Al di là delle apparenze, nel corso di questi mesi in Italia sta progredendo a passi da gigante la formazione, attorno al governo Berlusconi, di una compiuta cultura di destra, dalle notevoli capacità egemoniche e con una coerenza e una compattezza che la rendono fin d'ora una potenziale cultura di regime. Efficace, solida, duratura. Le apparenze oltre le quali bisogna andare per afferrare questo processo sono rappresentate dalle turbolenze politiche, dalle divisioni e le risse interne alla nuova maggioranza. Segnali significativi del la bassa qualità delle forze e dei personaggi che stanno governando I'!tal ia, ma strategicamente poco 1ilevanti. Oltre alle contingenze e le convenienze che obbligano i partner della maggioranza a convivere, bisogna tener presente che, a differenza delle sinistre, la destra ha infinitamente meno problemi di coerenza tra valori di fondo e comportamenti politici, tra affermazioni "ideali" e scelte di governo. Non patisce, cioè, quella radicale contraddizione che ha reso, lungo tutto questo secolo, la sinistra debole e incerta anche dove ha vinto, più o meno provvisoriamente, più o meno gloriosamente. Benché schematica, questa constatazione può aiutare a non dare troppo peso ai contrasti interni al polo di governo. Del resto essi sono in un certo senso proprio le prove dell'esistenza della destra e del fatto che questa apprutenenza segna una divisione decisiva: cosa terrebbe altrimenti insieme nazionalisti e ultrafederalisti, statalisti e localisti, laicie bigotti, intregalisti e secolarizzati, supermodemizzat01i e conservatori, reazionari e populisti? Benché amare, le recenti vicende italiane hanno almeno il merito di rendere bruscamente e definitivamente superflue tante perplessità e tante controversie sulla attuale permanenza delle antiche dicotomie politico-culturali. È proprio in quel campo che in questi mesi si sta compiendo il passaggio da una aggregazione di forze e interessi differenti, animati da una specie di spontanea combinazione di demagogia populista e continuità trasformista, a qualcosa di diverso, di più stabile e radicato. Questa parabola comporta la diffusione di una nuova cultura, i cui elementi principali si possono già intravedere. Un primo passaggio di questo processo consiste nell'abile gestione di una preziosa eredità. In questi mesi sono infatti tornati vistosamente a galla - rivalutati, rivendicati e, per così dire, nobilitati dall'alto - tendenze e valori che si erano affermati nell'Italia degli anni Ottanta: la rivincita privatista, le varie forme di deregulation legislativa ed etica, l'egotismo individualista e corporativo, la spettacolarizzazione consumista, insomma, tutta quella subcultura craxiana che per un breve illusorio momento abbiamo creduta scompaginata all'inizio degli anni Novanta. In realtà già qualche tempo prima delle elezioni (v. "Linea d'ombra" n. 91) era facile prevedere come quella eredità potesse costituire una solida base di consenso per la coalizione di destra. E solo l'euforica superficialità progressista impediva di comprendere come molti elementi di quella cultura resistessero a Tangentopoli, fino a uscirne per certi versi rivitalizzati, dimostrando proprio in quella tempesta etico-giuridica la loro inestirpabilità: saldano infatti atteggiamenti e umori storicamente sedimentati nel carattere nazionale degli italiani con spregiudicati comportamenti postmoderni, limpidamente economici e "produttivi". La rivendicazione berlusconiana di quei valori è manifesta e ripetuta, fonda le principali iniziative della nuova maggioranza (il condono edilizio e quello fiscale, il declino della legislazione antiinquinamentoe lo smantellamento delle regole sugli appalti), ha il sapore di una forte affermazione ideologica. Comporta naturalmente qualche rischio, come nel caso del decreto Biondi, che però ha messo in luce un elemento per nulla secondario di un nuovo stile culturale: una sorta di sbrigativa arroganza che rimanda a una conclamata intenzione politica (farla finita col "consociativismo", parola-chiave che nella interpretazione prevalente coincide praticamente con l'accettazione dei principi della democrazia parlamentare) ma ancora di più a un importante tratto psicologico: una bramosia di rivincita che è curiosamente germogliata in ceti e gruppi mai sconfitti, ma a tal punto scandalizzati dal rischio di esserlo da elaborare, con una sorta di perversa buona fede, questa singolare sindrome. Ma è insomma per aver sfidato una memoria troppo recente, toccando ferite ancora aperte, che il decreto Biondi ha avuto il destino che sappiamo: l'errore è stata la pretesa di affrettare i tempi fisiologici dei mutamenti di opinione e di sensibilità. Non c'è dubbio che se la progressione di una cultura di destra di massa continuerà, si affermerà anche quell'elemento ideologico che stava dietro quel tentativo, ossia la depenalizzazione di comportamenti scorretti dal punto di vista economico e corrotti socialmente. Esso rappresenta infatti un fattoredecisivodellaculturadi destra in ascesa, che percepisce i legami collettivi e la lealtà pubblica come obblighi fastidiosi e inutili. Questo vale naturalmente per molte delle dimensioni solidali della vita associata, ma ancora più direttamente per tutti quei vincoli che condizionano l'iniziativa privata e i suoi movimenti, che la costringono a compatibilità e limiti di vario tipo, da quelli epocali e planetari dell'ambiente in giù. Allo spirito di destra appare insomma irragionevole e illegittimo che la legge·e la morale pubblica colpiscano quelli che appaiono come comportamenti economicamente produttivi, cioè in grado di accrescere la ricchezza. Vecchio pregiudizio liberista, munito però oggi di una nuova forza ideologica e pratica, di una capacità di attirare e motivare il consenso di massa. Una società che economicamente non concepisce altri obiettivi che l'aumento dei beni e dei consumi, che culturalmente celebra la sacralità del denaro e del successo, che esistenzialmente non concepisce altre forme di Fotodi De Pasquale/ Carino/ Contrasto.
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