Linea d'ombra - anno XII - n. 96 - settembre 1994

64 VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE sione, sempre irrisolta - ma con l'amore per il teatro come pulsione principale-spiega senz'altro l'apertura del suo approccio, che non è affatto a senso unico, come certuni hanno lasciato credere, ma è prismatico. Così allo stesso modo s'è dedicato a Brecht e ha adorato l'opera italiana, ha ammirato il naturalismo di Antoine e difeso quella linea di filiazione della teatralità - Marivaux, Pirandello, Genet - che è stato il primo a segnalare. Un denominatore comune può però essere rintracciato: il suo gusto per la costruzione, poiché, come ripeteva, "il teatro non funzione da solo". E neppure il mondo ... L'elaborazione intellettuale gli è sembrata sempre indispensabile: detestava il mito dell'organico che per lui era solo un imbroglio e cercava quella p1ima verità brechtiana che consiste nel riconoscere il teatro nel suo processo produttivo. Bemard ha interrogato e contestato continuamente il teatro immergendovisi dentro. Un giorno, dopo aver vistolphigènie Hotel cl.i Vinavercon la regia di Vitez, mi ha confessato: "Questo mi riconcilia con il teatro. E per me non è cosa facile". Da quel conflitto, Dort ne è uscito vincitore. Il pensiero teatrale di Bernard si è formato nell'impatto con spettacoli e prestazioni carismatiche: la scoperta di Vilar, lo choc di Brecht e la seduzione di Strehler. Sono stati degli spettacoli esemplari a suscitare la parola di Bernard, quella parola positiva che è sbocciata più tardi, quando ha potuto testimoniare il successo delle origini ritrovate, nella Mnouchkine o in Dario Fo, in Grtiber o in Langhoff ... Sempre all'interno dello stesso tJiangolo della messa in scena, Bemard non ha perseguito una coerenza, ma ha cercato di delimitare un campo attJ·aversato dalle forze della storia e agitato dalle correnti individuali. C'è una geografia dortiana, in cui nulla è dato per pacifico. Bernard non si è negato i piaceri dell' amateur, ormai proibiti da quella specializzazione che oggi è così venerata. Questo gli ha permesso di cornn1entare con disinvoltura l'arte di un cuoco sconosciuto o di ricordare l'esibizione di uno straordinario cantante che gli era capitato di ascoltare negli anni Cinquanta. Si aggirava per tutto il territorio delle arti del corpo, così da non perdersi il Woyzeck di Chéreau a Chatelet, ma intanto gustare anche l'ultimo film di Wenders. Ma, se non passava le sue serate in casa, era perché gli piaceva stare in mezzo agli altri. La sua passione per il teatro non era estranea al suo amore per gli incontri sociali e per quell'agitazione che lo inebriava. Per questo aveva difeso l'entracte in nome del sigaro e della conversazione. Per questo, dopo la prima di uno spettacolo, gli piaceva tirar tardi, per meglio profittare di quell'interstizio tra il teatro e la vita, quando, senza più timidezze né precauzioni, il suo discorso critico si faceva più acuto che mai. Bernard adorava la libertà disinvolta di quei passaggi che, sullo sfondo di un'eccitazione collettiva, gli permettevano brillantezza e concisione. Viltù cardinali. Se Bernard amava vedere e raccontare il teatro, non per questo ha mai smesso di invitarci a comprenderlo meglio scrivendone: "Uno spettacolo non lo si coglie mai meglio di quando ci si scrive su". Oltre ai suoi libri, veri capitoli del panorama teatrale europeo, gli appunti con cui farciva interi quaderni non cercavano tanto di colmare i mancamenti viltuali della memoria, quanto di avvicinarsi al segreto del lavoro scenico. Queste radiografie si trovano oggi nei cassetti della sua scrivania, ma non dovrebbero restare nascosti per molto tempo. Tiriamole fuori di lì, al più presto! Il nome di Bernard Dort è diventato inseparabile da quello delle riviste in cui ha lavorato con passione, per portare avanti i progetti del "théatre populaire" e del "théatre public", dei "teatri stabili" e del "tra.va.ilthéatral". Ma in seguito Dort ha pubblicato Le théatre enjeu e quindi La représentation emancipée, perché il suo itinerario l'ha portato progressivamente dalla vocazione pedagogica alla dimensione ludica, dall'esemplarità di alcuni modelli di teatro all'apertura verso una pluralità di pratiche spettacolari. Dopo aver eretto a modello emblematico del teatro degli anni Ottanta Sulla strada maestra di Cechov per la regia di GrUber, l'ho sentito io stesso-negli stessi mesi-fare l'elogio di uno spettacolo che stava agli antipodi e che però gli stava molto a cuore, Le tre sorelle di Langhoff. Lo vide per due volte e, come se dovesse te1minare il suo percorso sotto il segno di Cechov, l'ultima sua serata di teatro fu per li giardino dei ciliegi. L'opera della fine, per la sua propria fine. Un giorno Antoine Vitez m'invitò a pranzo Ìl1 una pizzeria all'angolo di rue des Boulangers, dove Bernard abitava al n. 34, e mi disse 1idendo: "Siamo sulla DortstJ·asse!". Quante volte ci sarò passato. Se ne vanno, gli amici. SPORTELETTERATURA LEGGERE GIANNIBRERA AlbertoSaibene La biografia di Gianni Brera si interseca con le grandi vicende del nostro secolo: le origini contadine, l'educazione fascista, la guerra tra i paracadutisti, il passaggio in Svizzera e la Resistenza combattuta in Val d'Ossola, la ricostruzione osservata dalle pagine della "Gazzetta dello Sport" di cui fu un giovanissimo direttore, il boom economico raccontato sulle colonne de "Il Giorno" e infine gli ultimi vent'anni nell'Italia sempre più incasinata, calcistizzata. A due anni dalla scomparsa non diminuisce l'interesse attorno alla figura e ali' opera di Gianni Brera. Per merito soprattutto della Baldini e Castoldi si raccolgono gli scritti sparsi in oltre cinquant'anni di attività professionale. Sono stati riproposti fino ad ora, con un certo disordine, il romanzo Il mio vescovo e le anùnalesse (il più compiuto secondo Geno Pampa.Ioni), la raccolta di scritti di argomento lombardo Storie dei lombardi, le cronache calcistiche degli incontri tra Milan e Inter Derby, L'Arcimatto 1960-66 che prende il titolo dalla rubrica che Brera tenne sul "Guerin Sportivo" e La leggenda dei mondiali e il mestiere del calciatore. Il libro che però riesce più utile per fare il punto su Brera è Il principe della zolla (Il Saggiatore, pp. 368, lire 32.000), un'antologia degli scritti curata da Gianni Mura, il migliore tra gli epigoni di Brera. Mura sceglie liberamente tra cronache sportive, capitoli di romanzo, scritti di occasione, non ordinando per argomenti, né cronologicamente la materia. Purtroppo l'assenza della data in calce ai diversi pezzi non consente di cogliere l'evoluzione stilistica, così importante per il gioma-

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