Linea d'ombra - anno XII - n. 96 - settembre 1994

VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE 63 L'AMICOGALILEIANO RICORDODIBERNARDORT GeorgeBanu traduzionedi Bruna Filippi Bernard Oort ( 1929-1994) è stato uno dei critici teatrali e degli storici del teatro, soprattutto del Novecento, più noti in Franc.ia e in Europa, sempre presente con saggi e interventi sulle riviste di settore e nella collana "Voix de la création théatrale". Due suoi libri hanno avuto ampia diffusione: Lecture de Brecht (1960) e Théatre publique ( 1967); in Italia è uscito nella raccolta curata da M.G. Gregori, Il signore della scena (Feltrinelli 1979) il suo saggio Attori in prima persona. Di Brecht, Bemard Oort amava soprattutto il Galileo. Si sentiva vicino alla chiarezza galileiana e provava simpatia per chi non ha nessuna attitudine eroica? Non c'è dubbio. La morte ci autorizza a cercare la nota biografica anche dove, con più pudore, non dovremmo vedere che un'opzione culturale. Bernard parteggiava per la mente ma amava il corpo. Questo lo rendeva tanto intransigente quanto vulnerabile, e la sua umanità - come in Galileo - era il risultato matematico di questa contraddizione. Oort aveva imposto non solamente la sua figura, con quella sua andatura leggermente maldestra, ma anche le sue abitudini, i gesti e perfino i suoi riti personali. Riti che ci erano preziosi, perché riti di consumazione e mai di conservazione. Lui non praticava certo una gestione prudente della sua persona. A forza di riflettere e di gioire, Bernard si era costruito un personaggio: supremo adempimento per chi si definiva semplicemente uno "spettatore interessato". Una sera, quando mi capitò per la prima volta di accompagnarlo a teatro, Kantor distribuiva dei mantelli neri ad alcuni spettatori per integrarli nel suo spettacolo-happening Les mignons et !es guenons. Bernard ci prese dentro i piedi ed inciampò goffamente, creando quel piccolo evento che Kantor cercava. Fu anche Tretiakov, l'amico di Brecht, in Les apprentis sorciers di Lars Kleberg ad Avignone. Lì, aggiunse un segno "politico": fumava ininterrottamente. Ma soprattutto recitò il duca inAs you like ite lo si riconosceva davvero uguale a se stesso quando, col sorriso sulle labbra, con le braccia aperte e la sua voce più calda rivolgeva ai commensali e al pubblico in sala l'invito: "Venite apranzare!". Tutta la sua gioiosa socialità in una sola parola! Era un insegnante.Un insegnamento mai dogmatico o statico, un modo di insegnare libero nel quale entravano continuamente le sue letture e i suoi ricordi. Bemard sapeva essere personale senza mai diventare invadente. Era sempre presente, contento di dare e di ricevere, giacché insegnare, diceva, "è anche dialogare", e il suo parlare non aveva nulla del monologo. Una volta ai suoi allievi del Conservatorio ha dedicato un articolo su Comeille per ringraziarli del lavoro fatto insieme; un'altra volta ha raccolto in un libro i saggi dei suoi studenti di Censier. Ha accettato perfino di insegnare in quella scuola, diversa da tutte le altre, che era poi quella di Antoine Vitez aivry. È stato professore a Lovanio, a Roma e a Rio, ma senza mai adottare i tic dell'accademia: insegnare era per lui un invito allo scambio di idee e un'occasione per pensare concretamente il teatro. In Africa c'è un bel proverbio che dice "quando un vecchio saggio muore, una biblioteca brucia". Per il teatro, così vicino alla cultura orale africana, la morte di Bemard acquista il senso di un identico disastro. I suoi scritti non potranno mai compensarci dei suoi racconti, dove le meraviglie della scena e le sorprese del viaggio si confondevano, come durante quella traversata della Germania negli anni Cinquanta quando, messosi alla ricerca di uno spettacolo, si ritrovò nel chiarore del mattino in una stazione con il cartello che diceva Dachau. Con la morte di Bemard se ne va in fumo (e vista la sua passione "brechtiana" per i sigari l'espressione è appropriata) un lembo di storia vissuta del teatro: l'esasperazione di Grassi per i continui rinvii della prima del Galileo e la preoccupazione maniacale di Strehler per un riflettore, le notti berlinesi e le avventure veneziane, le battaglie per il teatro sempre indissociabili dai piaceri della vita. Invece di aspettare che lui scrivesse il suo diario, perché nessuno ha avuto l'idea di farglielo "dire"? Bernard era un gran narratore. Nel teatro, arte della presenza, attori e spettatori invecchiano insieme. Appartenere al teatro vuol dire pagare questo prezzo. E Bernard, malgrado i reiterati propositi di ogni inizio di stagione, non riusciva mai a diradare le sue uscite, ad economizzare il suo tempo, a moderare i suoi spostamenti. Spendeva senza precauzioni le sue energie. Anche se di tanto in tanto sonnecchiava un po', ma il sonno non è anch'esso un piacere che non ci si può negare? "Il peggior spettacolo è quello che ti impedisce di dormire", abbiamo concluso un giorno dopo aver condiviso un'esperienza terribile. Sì, Bemard per ben quarant'anni ha risposto presente. In Francia come altrove. Non ha forse circolato instancabile in quel triangolo della messa in scena fatto dalla Germania, la Francia e l'Italia? Oort fu un grande spettatore europeo. Certo, ha preso degli abbagli così come ha avuto delle illuminazioni, dato che per scoprire Brecht può darsi che ci si lasci sfuggire Beckett, così come alla rivelazione di Strehler hanno corrisposto il silenzio su Brook e le sue riserve su Wilson. Più tardi, pur modulando e correggendò le sue scelte, Bemard non ha mai rinnegato i suoi primi amori. Non ha sconfessato la sua giovinezza sull'altare degli antichi valori da sacrificare. Durante le sue lezioni ripeteva spesso che lui sarebbe restato sempre "sartriano", e ancora all'inizio degli anni Ottanta rispose a un regista particolarmente aggressivo: "Brecht? Io lo amo". E non ci sembrava allora né un cristo crocefisso né un giuda, né violentemente ostinato né disertore. Bemard ha partecipato al corso del tempo senza procedere a quegli autodafé spettacolari ai quali abbiamo assistito per tutto il decennio scorso. Non si è sentito colpevole e non ha chiesto perdono. Al terzo canto del gallo, non ha tradito nessuno ... Nella sua ultima conferenza all'università, presentando un libro sintomatico, Brecht, après la chute, fu più loquace del solito nel farsi carico del passato e nel rallegrarsi per il suo ritorno ... Bernard ha rappresentato per noi un'istanza morale, ma senza niente di dispotico. Non ha mai posato da asceta né ha mai agito da avvocato. C'è sempre stato in lui un qualcosa di galileiano. Dialettico, socratico o brechtiano, poco importa. Bernard si piazzava sempre nel mezzo delle contraddizioni. Questa indeci-

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