Linea d'ombra - anno XII - n. 96 - settembre 1994

VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE 61 enciclopedista e classificatore. È anche sacerdote e sciamano che cerca di far nascere la vita dalla morte. Ma non cerca di resuscitare i defunti eroi che stanno alle spalle del nostro presente contemplando gli oggetti che essi hanno lasciato, le case e i luoghi incui vissero le loro vite. Come ho detto, Orlando è prudente e consapevole. Né come saggista né come studioso si abbandonerebbe mai a pratiche spiritiche. Si rifiuta di fare il medium: pochi sono veri, quasi tutti sono degli impostori. Orlando è un illuminista che ora però ci fa vedere, materializzandola sotto i nostri occhi, la sua idea di letteratura quale si presenta allo studioso. Ci mostra la materia abnorme, debordante e caotica da cui si forma un museo. Ogni museo presuppone distruzioni, rovine, rapine che sono anche devote raccolte. Lo studioso è un distruttore attratto dalle rovine, è un testimone escluso, secondario, che si tiene sulla soglia, è un collezionista di rarità e di reliquie di cui ricostruisce un senso parziale che nel!' insieme gli resta precluso, è un lettore che sente la semplice lettura come atto illegittimo e gratuito, e che dunque trasforma la lettura oziosa e dilettantesca in lavoro produttivo di concetti e di citazioni: in studio. Tutto questo si vede nel libro: molte cose che prima, in altri libri, si potevano indurre, ma non erano altrettanto visibili. Leggiamo, e constatiamo che il libro ci porta per mano verso molte acquisizioni di conoscenza a proposito di molte opere e di molti autori. Ma poi ci accorgiamo che il libro ci sta soprattutto offrendo una visione d'insieme di una storia culturale e letteraria lunga, minacciata da nuove catastrofi di interruzione e perdita di senso. Ci fa vedere in azione il teorico che teorizza la letteratura come veicolo del ritorno del represso. Ma ci fa anche vedere la stessa letteratura come corpo avvolgente, come caotico e infestato luogo di rovine, folla di revenants, pioggia di macerie e di tesori da cui lo studioso si difende a stento con l'analisi e la classificazione. Non la teoria, ma la rappresentazione della teoria come atto di religio illuministica (riscatto magico e legale attraverso formule classificatorie) ora rappresenta non la letteratura in sé, quanto il rapporto fra teoria e letteratura, fra lo studioso e il suo oggetto indomabile. Come veniamo a sapere in conclusione, Orlando ci ha raccontato una storia "senza fine" perché, in verità, nella sua storia critica non c'è ulteriore possibile progresso. Era la Teoria l'ultimo ritrovato del Progresso, e questa ha trasformato la letteratura in oggetto, ha prodotto la letteratura come oggetto desueto e come rovina. Un'ultima osservazione, da sviluppare. Proprio in queste caratteristiche di malinconica immobilità analitica e allegorica, il libro di Orlando è un libro italiano. Dice qualcosa di essenziale sull'Italia e sul suo rapporto con il proprio passato: paese di antiquari e di rovine, dove le due serie di categorie orlandiane sono arrivate ali' ultima stazione: il desolato-sconnesso e il pretenziosofittizio. Perché (è questo che volevo dire fin dall'inizio e che rende questo libro un prodotto artificioso e non ufficiale) Orlando, nonostante il suo cosmopolitismo mentale, ha un inconscio culturale italiano. E questo inconscio gli sta dicendo una verità: che la Storia da queste parti è finita, qui non nascono più personaggi degni di avere una storia e di abitare ville nobiliari e antichi palazzi. Siamo circondati (suggestionati e soffocati) da oggetti con i quali il genere umano di oggi non sa più bene che cosa fare. Anche della letteratura, noi che la studiamo, pur studiandola, non sempre sappiamo bene, al di fuori dello studio, che uso fare. GENO PAMPALONI, INAFFIDABILEMALINCONICO Filippo La Porta I giorni infuga di Geno Pampaloni (Garzanti 1994, pp. 143, lire 18.000) si presenta come un "diario in pubblico" che comprende articoli, annotazioni, ricordi personali, raccolte di proverbi, citazioni di autori cari, corsivi e commenti scritti in varie occasioni (e perlopiù pubblicati), oltre ad alcune pagine più meditate ed esplicitamente autobiografiche che formano il capitolo conclusivo. Benché si tratti di cose scritte in periodi diversi, direi che il "movente" di questo libretto, la sua ispirazione più profonda è legata al drammatico ricovero in ospedale del!' autore, durante il '91, causato da una "tempestosa emorragia interna" ("sono stato 60 ore più di là che di qua"), con il corollario di quell'episodio grottesco della falsa notizia della morte e conseguente resurrezione. Rispetto al precedente Fedele alle amicizie (uno dei testi più belli di questi anni)/ giorni infuga ha una minore carica affabulatoria e tensione stilistica, ma, proprio per la sua particolare natura composita, illumina in modo ancora più vivido la verità più segreta e disarmata del suo autore. È ormai un luogo comune quello di affermare la presenza della letteraturafuori della letteratura stessa, fuori dellafiction pura (pensiamo solo, per l'anno trascorso, al memorabile saggio autobiografico che apre l' autoantologia adelphiana di Giovanni Macchia). Un luogo comune spesso destinato ad alimentare pigrizia e mancanza di curiosità verso i nuovi narratori. Eppure la narratività del critico Pampaloni affiora e si disperde incontenibile in mille rivoli, seppure in modi antiromanzeschi, come concentrati. Ritratti lampeggianti di persone e di destini, descrizioni affettuose di luoghi, microstorie domestiche e album di famiglia, aneddoti e apologhi. E, anche se scorrono in queste pagine profili noti di scrittori, di intellettuali (Debenedetti, Landolfi, Bo, Marino Moretti, Piccioni, Vittorini) ho l'impressione che l'immaginazione dell'autore sia attratta soprattutto dalla gente comune, dalle persone semplici, più distanti e insieme più vicine (il "ragazzo Guzzon" all'esame finale dell'officina-ferro, i compagni di camerata nell'ospedale, la bella e prepotente Vittorina di Anghiari, la maga romana di mezz'età con i capelli nerissimi e la scriminatura centrale, i professori di greco, i compagni di scuola, tra cui P., "introverso e ricco di fantasie avventurose, salgariane", e tanti altri). Liberamente discorrendo della vitae della morte, del tempo e della memoria, della poesia e della giovinezza perduta, come in una conversazione tra amici, Pampaloni può risultare a volte banale, o non abbastanza sottile. Personalmente apprezzo però il fatto che non ci si vergogni di enunciare delle verità

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