;' VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE S9 primo fra i critici italiani interessati a Freud, faceva equilibrismi per tenere insieme le regole del discorso critico, la sua "sociabilità", e le verità spesso terribili, spesso socialmente "inutili" o pericolose che l'arte ci comunica.) Ma in questo ultimo libro di Orlando, la teoria generale e la classificazione analitica, accurata e proba più che mai, vacilla sotto il peso degli oggetti (dei suoi oggetti, i testi). Questi testi, con i I carico di oggetti che a loro volta contengono, piovono e franano sulle strutture teoriche, le invadono e le assediano, anche quando lo stratega, il collezionista, il classificatore Orlando più si applica a trovare un ordine, a mettere a punto la sua mappa per orientarsi e orientare il lettore dentro un luogo così imbarazzante, perché rovinoso, disordinato, desolato, abbandonato. Ogni testo citato è un pozzo senza fondo, è una porta, un corridoio lungo e buio verso un'altra visione ancora. Ma in tutto questo enorme, labirintico, funebre Palazzo della Letteratura, non si vede più anima viva. Nella grande casa orlandiana della letteratura gli abitanti più veri e legittimi, i veri padroni, non ci sono più. Sono morti, spariti, andati via. La suppellettile viene catalogata. Noi siamo solo degli incuriositi, ipnotizzati eredi: non del tutto degni e legittimi, però, perché venuti dopo, troppo tardi, e senza pieno diritto di abitare lì. (Questo diritto può essere riconquistato secondo Orlando col duro lavoro del teorico e dello studioso.) Il critico, o più precisamente lo studioso di letteratura, - figura nella quale certo Orlando si sente più a suo agio, e che sembra aver scelto come più adeguata ai tempi, al nostro rapporto con la letteratura in quanto tradizione e difficile eredità, - il critico-studioso si vieta il facile giudizio, il semplice edonistico accesso alle opere. Studia, analizza, descrive, teorizza qualcosa a cui non può più naturalmente e legittimamente accedere. Il critico letterario, figura culturale inestinzione, doveva avere un rapporto di affinità e quasi di parità, di prossimità consanguinea; con gli scrittori del presente e del passato: il critico ha sempre trattato gli scrittori come contemporanei, e i contemporanei come classici potenziali. Lo studioso invece vive da devoto e da escluso il suo rapporto con le opere letterarie. Il suo amore, la sua passione per i testi diventa una lunga indagine a vicenda conclusa, a cose fatte: quando i protagonisti sono spariti, e ci si può solo aggirare nel le stanze, fra gli arredi, in mezzo agli oggetti che furono d'uso, ora desueti, inutili. Eloquenti e mute tracce di qualcuno che lì, proprio lì visse, e ora è assente. Così, mi pare, lo studioso, lo schedatore e il teorico della letteratura, se è cosciente e ispirato come Orlando (se ha vissuto la vicenda culturale di questi decenni cogliendone aspetti essenziali e non di superficie), è una figura di conoscitore melanconico e di erede ansioso: così corretto nell'uso delle carte e delle guide, degli schedari e dei concetti, perché appunto semi-legittimo, un po' clandestino, in parte escluso, e certamente arrivato dopo e tardi. Di fronte a quell'aristocrazia di opere che è la grande letteratura, lui resta a rispettosa distanza e ci fa intendere che noi tutti, per onestà, dobbiamo restare a rispettosa distanza. In questo libro, il vero statuto conoscitivo, o meglio la situazione storica e morale della Teoria letterruia si rivela, credo, più chiaramente che altrove. Quella teoria che d'altra parte in Orlando non ha mai avuto la cieca prepotenza di chi amministra concetti, smista autori e opere, pretende di dare ordine e ordini ali' intera letteratura in nome di una superiorità conoscitiva di tipo più modernamente scientifico. In Orlando la teoria è piuttosto una funzione, un'espressione della cura, del rispetto, della devozione dovuta alle opere, alle testimonianze del passato. E, come viene detto, le opere letterarie non sono documenti storici come gli altri: la vita in esse testimoniata vive ancora, non è del tutto sparita. Su questo punto ho l'impressione che potrebbe nascere una discussione fra noi. Sì, la teoria, gli scherni analitici che mettono in ordine i tanti, troppi reperti, sono la cura ma anche la distanza, sono la devozione, ma anche un ordine che noi diamo e imponiamo aqualcosa che potrebbe preci pitare nel caos, nell'insensatezza. Fra i testi che vengono citati e il lettore voluto da Orlando c'è la rete protettiva dell'albero semantico, della classificazione di ogni tipo di oggetti che compaiono nei testi della letteratura. Noi siamo al di qua di quella rete protettiva, e questo Orlando ce lo ricorda sempre. Ma devo dire che anche la tentazione di andare al di là della rete categoriale e di fare a meno dello schermo protettivo è una tentazione conoscitiva degna. La letteratura precipiterebbe davvero nel caos e nell'insensato se ci parlasse fuori dell'intelaiatura teorica e delle categorie analitiche? Teoria e metodo traducono devozione e cura dello studioso, ma sanciscono anche esclusione e protezione reciproca: quasi che se toccassimo i testi senza la protesi delle categorie potessimo ferirci o bruciarci le mani. Siamo troppo in basso, né adeguati né degni per entrare in maggiore confidenza e familiarità con la letteratura, e quindi ci teniamo a distanza come semplici e corretti studiosi. Ma siamo anche noi che lasciamo soli con se stessi, in una lugubre desolazione, i capolavori: volevano parlarci di tutto, e noi li teniamo diligentemente a bada trasformandoli in oggetti di studio. Davvero non abbiamo altro da fare con loro, né loro con noi? Il linguaggio nel quale li traduciamo, non li tradisce un po' troppo? Questo per quanto riguarda la prassi deontologicamente inappuntabile del teorico e dello studioso. Ma, come dicevo, il libro di Orlando illumina lateralmente le operazioni della teoria, e perfino il personaggio del teorico e del ricercatore. Per questa ragione è vero quello che Orlando stesso vuole precisare fin dall'inizio, seppure in nota: e cioè che questo libro è un "saggio" piuttosto che uno "studio". Ed è anche precisamente la ragione per la quale il libro mi sembra qualcosa come un illuminante romanzo critico, o meglio un'allegoria senza personaggi e senza sviluppo da cui possiamo imparare qualcosa: ( l) sul problema di che cosa facciamo quando ci occupiamo di letteratura, (2) su che cos'è la letteratura oggi per noi in quanto studiosi e docenti, (3) sull'ambiente morale, simbolico e storico nel quale questo rapporto viene stabilito e vissuto. Stabilito e yissuto: stabilito sì, ma vissuto come? È possibile oggi, con le opere del passato letterario (con la tradizione, con una tradizione) stabilire un rapporto come studiosi e insieme viverlo? Il libro di Orlando è un saggio e non uno studio, un saggio che prende la forma di studio. Non ci esibisce solo i frutti e i risultati di una ricerca: ci mostra il ricercatore in azione, che fa qualcosa, ma non sa subito che cosa precisamente sta facendo, né perché lo fa, né dove quello che fa lo sta portando. Questa incertezza, il senso del!' andare sempre a visitare certi luoghi letterari e non altri, il senso del rigirarsi fra le mani quegli oggetti e non altri, con l'occhio lucido e analitico del classificatore, del conoscitore, ma anche con l'occhio inquieto e ipnotizzato di chi cerca e trova in quei luoghi e in quegli oggetti qualcosa d'altro (se stesso? il senso delle proprie ricerche?). Questa presenza, dietro il ricercatore di scherni, di un ricercatore di essenze:
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