Linea d'ombra - anno XII - n. 96 - settembre 1994

58 VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE Qui le ragioni della teoria vacillano, mi pare, più che in altri libri di Orlando, e si impone di più la presenza dei testi: i quali, dove dovrebbero incontrare le categorie che Jj annunciano (come nel teatro brechtiano), invece disubbiiliscono, mostrano se stessi, prendono la parola alle spalle delle categorie che dovrebbero redimerli dal caos controllandone e spiegandone l'apparizione. Il che, d'altra parte, si potrebbe leggere anche come una bernssima parabola dei rapporti fra Letteratura e Teoria della letteratura: partner che si guardano e si girano intorno più che fondersi in una simbiosi.L'albero sematico si può leggere di per sé: e non a caso viene stampato aparte. Come in una mappa, i segni convenzionali ci dicono che lì c'è la cosa (collina, fiume, città, mopte, lago). Ma naturalmente i segni non sono la cosa. Le categorie ci aiutano a identificare i testi, ma non esauriscono ciò che i testi dicono (o almeno così non dovrebbe essere). Il rischio immanente dei procedimenti strutturalistici in senso lato è infatti questo: che siano le griglie teoriche e i reticoli analitici, in quanto autorizzati e riconosciuti utili (cioè legittimi rappresentanti del principio di realtà nell'ordine istituzionale degli studi) a trasformare la letteratura in un cumulo di oggetti desueti proprio nel momento in cui si propongono di redimerla concettualmente. La teoria dovrebbe rendere accettabili agli occhi della comunità scientifica di oggi degli oggetti di dubbia utilità e funzionalità sociale come i testi letterari. È come se la letteratura dovesse pagare la dogana della teoria per essere ammessa nel territorio abitato da chi detiene, oggi, il senso della lettura dei testi letterari. Compiendo le sue operazioni di frontiera, Orlando, in questo libro, mi pare che svolga un duplice ruolo, e tenga un comportamento ambivalente. Paga correttamente, fino ali' ultimocentesimo, la dogana della teoria, preparando per i testi che ci presenta delle ingegnosissime carte d'identità (ogni gruppo di individui testuali ha un suo nome e cognome, e perfino, potremmo dire, un ruolo nell'organigramma dell'albero semantico). Ma, dopo aver pagato il suo prezzo, fa entrare anche dei clandestini: facendo capire, e anzi teorizzando, che tutta la letteratura è, per natura o per vocazione, soprattutto clandestina, a-sociale, o anti-sociale, "trasgressiva", complice di tutto ciò che è oggettivamente (oggettualmente) eslege, disfunzionale, non riconosciuto, rimosso. Sulla soglia in cui ilRimosso ritorna, e torna in grande quantità la letteratura come sempre minacciata di rimozione, ecco, su quella soglia o confine in cui il passaggio sta per avvenire, Orlando si preoccupa della legalità teorica, analitica, terminologica: perché vuole che venga ammesso e riconosciuto istituzionalmente ciò che per sua stessa definizione teorica, invece, non è né ammesso né riconosciuto, ma appunto messo da parte, occultato, represso. È in quel punto di passaggio dall'illegale al legale, però, che le operazioni legali della teoria non fanno altro che riprodurre e rispecchiare (potenziare su un altro piano e nella dimensione di un metalinguaggio) le operazioni di formalizzazione "conformistica" compiute già prima dal linguaggio letterario in proprio. Il compromesso fra un contenuto rimosso e una legalità formale è infatti per Orlando ciò che rende possibili le opere letterarie. Anche gli scrittori hanno dovuto legalizzare, rispettando certe regole e convenzioni stilistiche, l'inaccettabile contenuto di esperienza che immettevano nelle loro opere. Ma ora, sembra, dal momento ~he ogni società e ogni comunità culturale ha le sue leggi, i linguaggi parlati direttamente dalle opere letterarie devono essere di nuovo legalizzati passando per procedimenti, Fotodi Alberto Cristofari/Grazia Neri. terminologie e problemi stabiliti e accettati nelle nostre istituzioni scientifico-accademiche. La differenza di punto di vista, credo, con Orlando potrebbe essere questa: che Orlando attribuisce alle sue categorie un valore genuinamente conoscitivo, mentre io tenderei a considerare piuttosto il loro valore pragmatico e legale. Per Orlando le categorie fanno conoscere qualità e senso oggettivo dei testi, per me li fanno accettare a lettori che altrimenti potrebbero restare incerti sul loro senso e sul loro uso in rapporto alla propria cultura professionale. (Come ci si salva dal dilettantismo nel rapporto con la letteratura? La prima risposta potrebbe essere: senza dilettantismo estetico il rappo1to con la letteratura non può sperare di entrare nell'impegno etico - un matrimonio senza piacere è senza speranza. La seconda risposta è che l'intensità dell'attenzione prestata alle opere d'arte non sempre e non necessariamente deve tradursi in lavoro di analisi e in sistemazione teorica. Accenno a questo tra parentesi. Il discorso sarebbe lungo. Ma credo che il lavoro di Orlando epiù in generale il lavoro scientifico-accademico sulla letteratura e sulle arti porti ad una discussione su questi temi.) Dunque Orlando, traviato dalla letteratura, recita bene, da professionista, con impeccabile, eroica correttezza la sua parte nel mondo (nel mondo di oggi). E non si limita a rispettare le regole, ne inventa di altre, crea sistemi tutti suoi per il trattamento e la mediazione di quegli oggetti culturali sempre un po' dubbi, ambigui e pericolosi che sono le opere letterarie che ci vengono incontro se contempliamo la distesa dei secoli, dal più lontano passato e fino a ieri. (Anche Giacomo Debenedetti, per citare il

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==