Linea d'ombra - anno XII - n. 96 - settembre 1994

4 MEMORIA PAOLOVOLPONI ELAFINEDELMONDO GoffredoFofi La letteratura italiana del '900 è stata una grande letteratura. Ha dato autori e opere grandissimi, seconda in Europa solo alla russa e ali' inglese. , Molti suoi rappresentanti sono scomparsi nell'ultimo decennio; il numero dei grandi si è assottigliato rapidamente, e via via sta esaurendosi. Ci restavano due o tre grandi narratori, e alcuni poeti. Ora che anche Volponi se ne è andato, ci sentiamo davvero orfani di una grande stagione, che ha dato figure umane diversissime tra Foto di Giovanni Giovannetti. loro, diverse anche nel modo di intendere la letteratura, la scrittura, e diversamente coinvolte nei conflitti che hanno segnato la nostra storia. Paolo Volponi era davvero un uomo non comune. Urbinate, grande intenditore d'arte (soprattutto del Seicento, il secolo in cui, diceva, il romanzo dell'Italia è stato la pittura, e mai pittura è stata più narrativa di quella), la sua "strada per Roma" fu subito una strada più complessa di quella di tante altre biografie del suo tempo, e fu una strada "italiana". Essa lo portò dapprima a dedicarsi al "lavoro sociale" nel Sud (e mi capitò a non molti anni di distanza di ripercorrere, dedito a imprese simili, molte delle sue tracce, sentendo storie del suo passaggio da persone che l'avevano conosciuto) e poi, tramite la conoscenza e l'amicizia di Adriano 01 ivetti -eccezionale individuatore di talenti e suscitatore di energie-, al Nord dell' industria. In entrambi i casi lo muoveva una tensione utopica che sembrava però saldamente radicata in ideali di misura e di armonia, che nascevano dalla sua Urbino, e dal suo Rinascimento. Quando !'Olivetti aveva in uso di stampare bellissimi calendari "pubblicitari", con riproduzioni ogni anno di un pittore diverso, scelti tra quelli- sospetto -più amati da Adriano, il primo di cui ho memoria fu pieno delle nitide scene senesi del Buongoverno di Lorenzetti. In quante case di piccoli e grandi "riformatori" di allora mi capitò di vederle, e in quanti centri sociali o luoghi pubblici "nostri" spesso ritagliate e incollate su tavolette di compensato! Ecco, nella tensione positiva come nella furia da delusione di Volponi, c'era il sogno (I' utopia) del buongoverno. Lui che non era stato comunista, credette di doverlo diventare da vecchio, e si spinse fino a elogiare il governo brezneviano, certamente pessimo, si spinse fino ad aderire aRifondazione, una forza cettamente nostalgica di qualcosa che non c'è mai stato o che ha dato di sé pessime prove. Effetto di delusione. La sua opera racconta, in definitiva, l'Italia che avrebbe potuto entrare nella razionalità di un nuovo rapporto tra campagna e industria, di un nuovo modello di "città", e non lo ha fatto, non ha voluto farlo. Non ha voluto farlo, in prima istanza, la sua borghesia, per la quale, di conseguenza, Volponi covò una sacrosanta aggressività. Volponi parlava spesso del modo in cui la Confindustria aveva, nel pieno del boom, quando una congiuntura economica estremamente favorevole avrebbe permesso le riforme più ardite, silurato Olivetti, eletto transitoriamente e brevemente alla sua testa. La fabbrica aperta, la fabbrica illuminata, e la conseguente polis di cui doveva essere il fulcro e il motore, fu un'utopia in cui non fu solo Volponi a credere, ma in nessuno scrittore italiano la caduta di quel sogno fu altrettanto lucidamente avvertita. Corporale, nel '74, fu il romanzo affascinante e fluviale, barocco e esplosivo, sensuale e violento, incontrollato e grandioso che meglio di ogni altro ha raccontato quel crollo, nel contesto bensì mondiale dei massimi problemi che la inquieta coscienza dell'epoca poneva- tra povertà e benessere, tra paura atomica e mutazione antropologica. Quindici anni dopo, Le mosche del capitale riusciva solo in parte a render conto di cosa era ancora accaduto, benché formidabile nella partecipazione dolorosa o alienata di elementi non umani all'immane disastro. Grandi romanzi Volponi ne ha scritti anche altri: Memoriale, o della nevrosi di un operaio; La macchina mondiale, o della "nevrosi" di un contadino visionario, fuori dall'ordine del moderno; Il sipario ducale, o del '68 in provincia; Il pianeta irritabile, o del mondo dopo la fine del mondo, che torna al primitivo e all'animale per salvarsi e ricominciare; eccetera. Il tema della fine del mondo, è lui ad averlo affrontato, in Italia, con più esplosiva coerenza di qualsiasi altro scrittore. Fine del mondo, o fine del proprio mondo: per una o due generazione di scrittori italiani, questo tema è diventato centrale con la radicale trasformazione del boom, quando l'Italia ca!'Ilbiòcosì çlrasticamente da risultare, per chi era cresciuto nell'altra e aveva sognato ben altra modernità, irriconoscibile. Non è un caso che sia stato Pasolini - che con Volponi ebbe un rapporto fraterno, un sodalizio almeno altrettanto intenso di quello con la Morante - a denunciare questa mutazione con la testarda coscienza di una irrimediabile rovina. Ma anche Fellini (da La dolce vita a La vocedellaluna),Zanzotto, Casso la e Bianciardi, e tanti altri "in contemporanea", e infine anche la Morante (Aracoeli), la Ortese (Il cardillo ), perfino il Calvino ultimo (Palomar) che aveva voluto difendere la razionalità dello sguardo e della riflessione contro ogni sospetto di turgore passionale e viscerale (e, va detto, Volponi non amava Calvino, e forse Calvino non amava Volponi) hanno raccontato "la fine del mondo", un'apocalisse nostra, italica, che diventava rapidamente del globo, del mondo. Volponi vi metteva di suo un sordo risentimento, una visionaria insoddisfazione. La sua prosa scivola spesso nel fantastico (Il pianeta irritabile è anche una specie di grande fumetto postmoderno, colorato ed estroso, è un libro di fantascienza proprio insolito per le nostre lettere e la loro centralità dell'umano), è visionaria, è violenta, ma con squarci di sublime misura, nostalgica o immaginosa descrizione della possibile compenetrazione del reale, dell'incontro tra uomo e natura, tra natura e civiltà. È una prosa che scivola facilmente nella poesia, dotata di un ritmo da antica declamazione civile; ma la sua poesia, allo stesso modo, scivola facilmente nella prosa, è dotata di una interna esigenza narrativa. Tra armonia e disordine. Tra sogno, utopia, nostalgia e dolore, rabbia, rivolta. Uomo scontento e irrequieto, Volponi era "irritabile" come il suo pianeta: ma l'irritabilità, spiega il romanzo, è un carattere fisico invidiabile, è la reattività agli elementi, ed era in lui la reazione alla deturpazione del mondo e dell'uomo, e del paese Italia, perseguita da un potere osceno e irrazionale, distruttivo e criminale.

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