50 POST-MODERNI/FALCETTO "neuromantico", più ironico (in qualche misura ironico, mi pare, è anche l' happy-end, dove chi vince davvero è la televisione, non Rydell, che - come già una volta nel corso del libro - dopo una parentesi di celebrità può subito ritrovarsi nell'anonimato). E allora, in questo futuro visto dai piani bassi, la manipolazione/ personalizzazione del corpo non avviene tanto grazie a costose protesi biotecnologiche, quanto con strumenti più poveri come i tatuaggi (e borchie, anelli, sfere metalliche). E ancora: l'onnipresenza della tecnologia e la sua pressione sulle coscienze non è certo minore di quanto avvenisse negli altri libri. Il mezzo è meno sofisticato, ma non meno efficente: la televisione mostra una straordinaria forza di "copertura" delle esperienze individuali e collettive. Quella che ci descrive Gibson è una realtà di videosette per le quali la TV è il canàle di comunicazione eletto da Dio "e il video stesso una specie di roveto perennemente in fiamme" (p. 13); un posto dove l'immaginario filmico diffuso capillarmente dalla televisione consente di creare una efficacissima tecnica di identificazione di persone scomparse basata sulla loro somiglianza con le celebrità (quasi che l'influenza dei media sia giunta così a fondo nei corpi da creare "una specie di lobo delle stelle del cinema", p. 73); un posto dove una carriera nelle forze dell'ordine comincia (anche? soprattutto?) da una lunga militanza fra le file degli affezionati spettatori di Poliziotti nei guai. Come dicono gli stessi omaggi espliciti, Luce virtuale è un romanzo piuttosto cronenberghiano (Sublett, unico amico leale di Rydell, nella setta televisiva del reverendo Fellon è accusato di apostasia perché guarda Videodrome). Pur nelle diversità su cui si è insistito, i personaggi di questo romanzo rispetto ai precedenti hanno dei tratti in comune. "Qualche volta, quando correva forte, quando riusciva veramente a concentrarsi sui pedali, Chevette si sentiva libera da tutto: la città, il suo corpo, perfino il tempo. Era come un'intossicazione, per imessaggeri, école Labellascuola. Mensile di idee per l'educazione Abbonamento annuale (9 numeri) L. 40.000 ccp. 26441105 intestato a SCHOLÉ FUTURO Via S.Francesco d'Assisi, 3 Torino Tel. O11.545567 Fax O11.6602136 Copie saggio su richiesta Distribuzione in libreria: POE lo sapeva, e anche se dava la sensazione della libertà, in effetti era il sentirsi parte di qualche cosa a farla scattare. [...] Lei diventava interamente parte della città, allora, un folle punto di energia e di materia, che compiva le sue mille scelte, istante per istante, a seconda dei flussi di traffico, di come la pioggia scintillava sulle tracce lasciate dalle macchine, di come icapelli color mogano di una segretaria ricadevano con grazia esausta sulle spalle del cappotto di loden" (p. 100). La città, il mondo, pesa sui personaggi di Gibson. È il peso, da un lato, di un senso di estraneità rispetto alla vita (di una partecipazione solo superficiale, inautentica, da oggetto di consumo, suppellettile.), la fatica, dall' aitro, di sostenere una realtà che si offre solo come continuo flusso di merci e di messaggi. Numero e velocità delle sollecitazioni esterne costringono l'uomo rappresentato da Gibson a subire una sorta di tirannia della percezione: l'incalzare di sensazioni e informazioni rende difficoltoso l'inquadramento razionale dei dati dell'esperienza, problematico l'orientarsi. Preso tra fatica e seduzione del percepire, a volte l'individuo cerca di guadagnarsi una posizione più attiva fra le cose, essenzialmente in due forme diverse. Quasi immedesimandosi nel flusso della realtà: proprio come accade a Chevette nel passo citato, e come accadeva a Chase e a tanti altri frequentatori del ciberspazio. Oppure abbandonando quel flusso, ritirandosene ai margini: come fa il vecchio Skinner, che ormai non esce più dalla sua singolare stanza sospesa in cima a una delle torri del grande ponte caduto. Skinner è pressoché l'unico personaggio ad avere lucida consapevolezza dei limiti della postmodemità tecnologica in cui vive: di una continua perdita di memoria ed esperienza ("Skinner aveva questo chiodo fisso della storia. Che stava diventando una cosa di plastica", p. 214) dietro un'ostinata il lusionedi onnipotenza("Oh lo so. Lo so che voi tutti credete di vivere in tutti i tempi contemporaneamente, con tutto quanto registrato, tutto pronto per essere riprodotto. Digitale. Ma è solo questo: una riproduzione. Non potete ricordare che sensazione ti dava", p. 211). Emblema di un ingenuo ottimismo conoscitivo è la figura dell'antropologo Yamazaki, convinto che dietro la disordinata architettura della baraccopoli sospesa sul relitto del Golden Gate si celi un "significato fondamentale", un "nuovo programma" (p. 56) da svelare. Ma non si tratta di spiegare: il ponte e la comunità che lo abita sono qualcosa che è successo, senza progetti e senza programmi. Si può comprenderli solo rinunciando a ricondurli a progetti e programmi, poiché valgono prima di tutto come gesto che si nega ali' abbraccio della razionalità tecnico-economica. In questo Golden Gate abbandonato e "riletto" si ripropone il motivo caro a Gibson di un recupero e di una risemantizzazione degli scarti, dei rifiuti, degli oggetti che hanno terminato il ciclo del consumo. Si tratta della fiducia nella possibilità di ridare loro valore d'uso e spessore di memoria. Skinner, a modo suo, come Rubin in Mercato d'inverno, come il Fabbricante di scatole in Giù nel ciberspazio, è un "maestro dei rifiuti" ("sapeva da dove venivano le cose vecchie, a cosa servivano, e sapeva indovinare quando qualcuno le voleva", p. 112). Il lavoro sugli scarti diventa così segnale di una possibile diversa relazione con le cose. Nel ponte di Luce virtuale questo tema acquisisce una notevole forza figurativa e insieme sembra assumere i connotati di una piccola utopia sociale. Un'utopia peraltro nient' affatto priva di ambiguità, nella quale si avverte più di un'ombra di bucolismo postmoderno. D'altronde, le ambiguità dei personaggi sono quelle del narratore, che -come sempre in Gibson - se non nasconde durezza, inautenticità del mondo di cui parla, altrettanto se ne mostra affascinato e sedotto. L'immagine di futuro un po' abbassata, più "realistica" e ironica, che il libro propone è, mi pare, l'aspetto più nuovo e interessante di Luce virtuale, per quanto la saldatura di questo diverso registro con le componenti utopiche e visionarie non sia del tutto risolta.
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