38 POST-MODERNI/ McELROY il risultato è invariabilmente pessimo. È un po' come usare la fibra ottica per cercare di produrre qualcosa che assomigli a una scultura lignea: è semplicemente impossibile. Tutto diventa assai più interessante quando quegli stessi studenti, accantonato il tentativo di trasposizione, si mettono ex-novo a costruire un racconto di hypeifiction. Roubaud, Pavic o Calvino avrebbero esattamente fatto così: una volta acquistata una certa familiarità con il mezzo, si sarebbero messi a scrivere ex-novo. Magari un testo breve, o magari vi si sarebbero talmente appassionati da decidere di proseguire su quella strada per il resto della loro vita. Gli autori di narrativa tradizionale invece rimarrebbero intimiditi e non avrebbero il coraggio di fare il grande passo. Anche se, quando la grande industria si lancerà nel nuovo mezzo, cercherà di attirare scrittori convenzionali per produrre lavori di largo consumo, che risulteranno inevitabilmente irrilevanti. L'autore, appunto.Malgradolafocaliz.z,azionesulla "leggibilità" della hyperfiction, sembra allora che la "coscienza centrale" svolga anche qui un ruolo determinante. È anche vero però che, data la natura sempre più "globale" anziché "locale" di bits e bytes, nell'era dell'informazione tutti i dati finiscono per entrare nello spazio delle reti informatiche e dunque per venire alienati definitivamente dal controllo del loro autore. Che cosa accade quando la hyperfiction esce dallo spazio finito del floppy-disk (o CD-Rom) che lo contiene per venire catapultato nel villaggio globale dell'Internet, la più grande delle reti informatiche oggi esistenti al mondo? La metafora dell 'Intemete quella dell'Ipertesto non coincidono. È senz'altro possibile collocare sull'Internet brani di hypeifiction che la gente può "scaricare" e leggere, mani polare, e rimettere sulle reti.Ma il "perdersi" nelle reti telematiche dipendedall' imperfezione delle reti stesse. Non è una condizione intrinseca della virtualità. Gli ipertesti sono progettati a partire da un meccanismo di connessione, o legami, che sì consentono di aprire delle effettive nuove possibilità al lettore, ma non lo lasciano perdersi al punto da non sapere più dove andare. È vero, è possibile smarrirsi in talune hypeifiction, ma ciò è un loro limite, non una loro specificità. Un testo dunque, tradizionale o ipermedia/e, è quindi sempre sotto i controllo del suo autore. Non esiste mai la possibilità che le cose sfuggano di mano ? Dipende da autore a autore. Taluni tendono ad essere tanto autoritari in hypeifiction quanto lo sono sulla pagina stampata. Per quanto si possa estremizzare il concetto di "apertura" di un iperteso, bisogna sempre tenere presente che l'ipertesto deve facilitare la lettura. Se il lettore arriva ad avere troppe scelte, è come se non ne avesse alcuna e si ritrova a vagare senza meta. Il recente lts Name was Penelope di Judy Malloy è l'esempio più chiaro di assoluta libertà del lettore. In Penelope basta premere un pulsante per generare una nuova disposizione casuale della storia. Ma pur trattandosi di un meccanismo totalmente liberatorio, ciò potrebbe anche risultare sgradito al lettore. La hypeifiction oggi si interroga su come si faccia a progettare un racconto; ma in fondo è la stessa domanda che ci si pone a proposito della narrativa tradizionale. Benché il lettore sia libero di muoversi, la pianificazione sarà sempre un fattore di rilievo. Secondo me, nella hypeifiction è possibile ricostruire l'esperienza tradizionale della lettura, ammesso che chi legge dedichi un tempo sufficiente a scoprire i vari percorsi disponibili nel testo. Ma la domanda contiene implicitamente un altro quesito: come faccio a sapere quando ho finito di leggere il romanzo? E anche qui, le analogie al testo stampato sono molte. Se un testo è valido, sono molte le sue letture possibili. Era già vero per l'Ulisse di Joyce. Joseph McElroy CERVELLI IN ORBITA IncontroconDanielaDaniele "Postmoderno", si sa, è un termine che non ha mai soddisfatto nessuno. Circolato inflazionisticamente in Italia negli anni Ottanta è stato spesso utilizzato per esprimere il clima disincantato del riflusso, il compiacimento consumistico e i. vizi manieristici di una cultura alla deriva, portando comunque con sé una connotazione sempre superficiale e negativa. Molti, quindi, non ricordano che negli anni Sessanta il critico americano Leslie Fiedler definì con questo termine gli scrittori del dopoguerra (Thomas Pynchon, Donald Barthelme, Robert Coover, John Barth, Kurt Vonnegut) che meglio erano riusciti a coniugare la complessità del romanzo modernista con i nuovi idioletti tecnologici entrati prepotentemente nel linguaggio con lo sviluppo dell'industria culturale. Questa generazione, oggi di mezz'età e nel pieno della sua esperienza artistica, non ha avuto in Italia la fortuna che meritava, pur essendo stata la prima a mescolare in inediti assemblaggi schegge di "alta" letteratura e di cultura pop, i nuovi idioletti dell'elettronica e la consapevolezza formale del romanzo sperimentale novecentesco. È dunque curioso che questi autori attualissimi vengano recuperati come memoria profonda della cultura cyber-punk. E c'è da augurarsi che l'attenzione oggi rivolta a un genere più meccanico come il nuovo romanzo di fantascienza ci dia modo di dissotterrare o quantomeno di ridiscutere una produzione, in molti casi rimasta oggetto di culto presso i cosiddetti addetti ai lavori, ma che sa parlare del nostro presente in un linguaggio tecnologico e insieme raffinato. Forse così Lascena letteraria italiana, per molti versi arenata nelle ruminazioni del moderno, avrà modo di apprezzare Joseph McElroy, prolifico narratore e saggista newyorkese. Che effetto lefa venire in Italia a parlare di romanzo cibernetico con Bruce Sterling? Una simile esperienza mi è già capitata. Mentre parlo, nel mio paese, Larry McCaffery, che conosce bene la mia generazione, sta facendo circolare, contro il nostro parere, un'antologia di racconti cyberpunk in cui figurano, tra le opere dei nuovi narratori, stralci dal mio romanzo Plus e da L'incanto del lotto 49 di Thomas Pynchon. Quello cyberpunk è un movimento provocatorio e anche utile a rappresentare i cambiamenti che stiamo attaversando ma ha lo stesso impatto di un aforisma: rischia di esaurirsi in poche battute. Naturalmente non si può non condividere la sua aspirazione verso il decentramento dell'informazione ma credo che essa debba riflettersi anche nella struttura del racconto e non restare unamera dichiarazione di principio. I grandi cambiamenti a cui assistiamo sono entrati anche nel nostro linguaggio e la letteratura deve riuscire a esprimerlo. Quale è il rapporto tra scrittura e tecnologia? È un rapporto che è sempre esistito perché la tecnologia è degli uomini: ha sempre fatto parte del nostro mondo. Anche Dante aveva un forte senso deUatecnica: quando nel Paradiso si avvicina al Primo Mobile, vede una piccola ruota girare più velocemente di un'altra più grande. Allora si chiede perché, pensando che dovrebbe essere il contrario. La sua è una domanda tecnologica. In Dante c'è un'anima religiosa ma anche un'altra analitica e razionale: non si perde nella contemplazione del divino ma sa guardarsi attorno. Il suo è un
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