36 POST-MODERNI/ COOVER Robert Coover LOSCENARIOFUTURIBILE Incontrocon Andrea Carosso Ali' orizzonte della fiction internazionale si sta facendo strada una nuova frontiera, che coniugp la scrittura con talune potenzialità avan~ate degli elaboratori elettronici~ la hyperfiction, o narrativa ipermediale. E su questo terreno che una nuova schiera di (in prevalenza) giovani autori sta definendo le ccrordinate dell'arte del romanzo per il ventunesimo secolo. Nella hyperfiction il romanzo incontra il computer, ma ben al di là del primitivo uso che di questo strumento fanno abitualmente autori letterari e umanisti in genere: la hyperfiction sfrutta le potenzialità ipertestuali del mezzo informatico, la sua capacità insomma di superare i limiti di un'organizzazione lineare del discorso in favore di una struttura ad accesso casuale che consente infinite possibilità di organizzazione dei dati a disposizione. Uno dei laboratori all'avanguardia nella ricerca sugli ipermedia (termine-contenitore con il quale si definisce il tentativo su base informatica di far convergere e consentire nuova potenzialità di accesso a testi, immagini e suoni, e di cui la hyperfiction è una delle branche) è, sin dall'inizio degli anni Ottanta, lo Institute for Research and Informati on in Scholarship (IRIS) della Brown University di Providence, Rhod"Island. (È recentemente stato tradotto in Italia uno dei lavori sugli Ipermedia a cura di uno dei fondatori dello IRIS: George Landow, Ipertesto. Il futuro della scrittura, Bologna, Baskerville 1993.) In un recente intervento sull'autorevole "New York Times Review of Books" (29 agosto 1993), il romanziere postmoderno americano Robert Coover ha fatto il punto su quella che potrebbe essere una rivoluzione nella scrittura letteraria. Benché non impegnato in prima persona nellahyperfiction, Coover-che da dodici anni insegna "scrittura creativa" proprio alla Brown University- ha affrontato negli ultimi anni la questione della hyperfiction insieme agli studenti dei suoi corsi universitari, nel tentativo di capire potenzialità e debolezze degli ipermedia e di "consegnare" di prima mano il calamo elettronico agli autori di domani. Coover è scettico circa le possibilità per uno scrittore "tradizionale" di "convertire" il proprio modo di scrivere al mezzo ipermediale; crede invece che ci siano più possibilità di successo nel tentare di formare sin dall'inizio scrittori ipermediali, con la speranza di formare una nuova generazione di autori di hyperfiction. Nell'intervista che segue, svoltasi alla fine dell'estate 1993 alla Brown University, Coover ripercorre le tappe principali della sua esperienza con la hyperfiction, discute del destino del libro e tenta di tracciare definire le coordinate di questa nuova Art of Fiction. Di Robert Coover, in Italia sono apparsi, tra gli altri: La Babysitter, trad. L. Schenoni, Guanda 1982; La festa di Gerald, trad. P.F. Paolini, Feltrinelli 1988; Sculacciando lacameriera, trad. L. Spagnol, Guanda 1987; Una serata al cinema, trad. Luigi Schenoni, Feltrinelli 1992. Il suo romanzo più recente, Pinocchio in Venice, non è ancora stato tradotto. Ci parli dei suoi seminari di "creative writing" alla Brown University. Insegno alla Brown da molto prima che arrivassero i computer, esattamente da 12 anni. J.Jnanno circa dopo il mio arrivo qui i primi umanisti stavano incominciando ad usare gli elaboratori, che a quei tempi erano solamente mainframe, grandi macchine centralizzate ben poco flessibili alle nec.essità dei singoli fruitori; i persona! computer non esistevano ancora. Fu proprio uno studente che mi insegnò ad usare il mainframe dell'università, con il quale imparai a scrivere. Quando, alcuni anni dopo, venne fondato lo IRIS, la Brown University finanziò losviluppo di un software per lacreazione di ipertesti denominato Intermedia. Guardai sindall'inizio con molto interesse a quel progetto, ma solo nel 1991 riuscii a convincere l'università ad affidarmi un collaboratore, con il quale decidemmo, quasi alla cieca, di partire con l'insegnamento di questo nuovo tipo di corso che, proprio sulla piattaforma di Intermedia, tentava di trasporre la scrittura narrativa agli elaboratori. Quel semestre lavorammo allo sviluppo di uno spazio denominato "Hotel", uno spazio narrativo aperto e senza regole; chiunque poteva scrivere, cancellare e leggere il lavoro proprio e di tutti gli altri. In "Hotel", chiunque poteva sedersi davanti al computer e visitare i vari spazi a proprio piacimento: le stanze, l'ingresso, il bar- luogo ideale per incontrare altri individui. Ogni studente poteva aggiungere materiale proprio e addirittura sabotare parte del lavoro altrui, ad esempio stravolgendo i legami precedentemente creati. All'inizio era tutto molto fluido. Ognuno inseriva qualche cosa nel contenitore, senza ben sapere che cosa sarebbe accaduto in un secondo momento. Alla fine del semestre tutti gli studenti erano affascinati da quello spazio narrativo. Tutto si svolgeva su un unico terminale e i partecipanti all'esperimento entravano in continua competizione sul da farsi, con molto entusiasmo, tutti presi dal nuovo gioco virtuale. Ben presto ci rendemmo conto che "Hotel" richiedeva un'organizzazione maggiormente strutturata. Il bar, ad esempio, che fu il primo spazio a venire aperto, generò la produzione di numerose storie "da bar", incentrate sulla figura del barman. A quel punto si dovette decidere che cosa fare di tutte quelle storie, quasi sempre discordanti le une dalle altre. La soluzione fu la creazione di un legarne con una stanza 666, nella quale era rinchiuso un mostro alieno che su richiesta dava la luce a barmen finzionali, risolvendo una volta per tutte la questione della discordanza delle storie sul barman. Intermedia consentiva anche la creazione di cartelline elettroniche individuali, manipolabili soltanto dai loro legittimi proprietari ma leggibili da tutti. Era in questo spazio che venivano svolti i progetti individuali di settimana in settimana, solitamente incentrati sulla lettura e discussione del lavoro di uno degli altri studenti. Anche qui è interessante far rilevare la dinamica di quegli interventi: gli studenti assistevano alla "creazione" del testo qa parte del suo autore. Nel corso della settimana tutti leggevano testi in evoluzione, la cui stesurafinaleeraadisposizionesoltantopochi istantiprirnadell'inizio della lezione. Si sviluppò in questo modo una complessa esperienza didattica, con ritmi di lavoro e regole proprie, che decisi di perseguire nel semestre successivo. Ma poiché le strutture informatiche dell'università erano state aggiornate a una nuova generazione di computer, non era più possibile servirsi di Intermedia. Cercammo allora una possibile alternativa e la scelta cadde su un software per Macintosh denominato Storyspace, che molti autori stavano già adoperando. Per affinare il lavoro, continuai il corso per un ulteriore semestre, lo scorso anno, nel corso del quale fui finalmente in grado di gestire un seminario di hyperfiction efficiente e ben strutturato. Uno dei miei studenti di quel corso, che ora è un dottorando, insegnerà quel corso il prossimo semestre e - se tutto va bene - un altro dottorando farà la stessa cosa il semestre seguente. Spero così di dare avvio a una nuova generazione di scrittori di hyperficition -cosa che io non sono affatto. Benché mi interessi moltò insegnare questa tecnica e leggerehyperfiction, è questo un tipo di scrittura che io non ho mai affrontato in prima persona. Nell'articolo sulla hyperfiction recentemente apparso sul "New YorkTimesBookReview",leiesprimenumeroseriserveneiconfronti di questa nuova frontiera della scrittura.
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