Francesco Biamonti UN BILANCIOTRACIELOEMARE Incontrocon ErminioFerrari Questa intervista con Francesco Biamonti (San Biagio della Cima, Imperia, 1933) è stata realizzata in occasione della pubblicazione del suo ultimo romanzo,Attesasul mare (Einaudi). Precedentemente l'autore aveva pubblicato, presso lo stesso editore, i romanzi L'angelo di A vrigue (1983) e Vento largo (1991). La frontiera è un elemento costante dei suoi romanzi. Talora è un ostacolo, talora, come in Attesa sul mare, ragione di guerra. I suoi personaggi si muovono tra due mondi, estranei ad entrambi... La frontiera può essere una metafora: l'uomo che deve passare i suoi limiti. L'uomo come l'essere delle lontananze. C'è sempre un confine dentro di noi oltre il quale bisogna andare per scrivere; sorvolare la vita per un punto di vista diverso. C'è sempre la nostalgia dell'altrove negli esseri umani, la tensione verso un viaggio più o meno simbolico. In realtà la frontiera geograficopolitica con la Francia è pressoché inesistente. È solo un viaggio verso un'altra cultura, che assomiglia molto alla nostra; un espatrio verso la luce occitanica, che poi è anche la luce che viene da Cézanne. C'è una luce greca e c'è una luce romanza. È quest'ultima che ha permesso la nascita della pittura di Cézanne e prima ancora della poesia provenzale, quella che mi piace di più. Permette di dare uno sfondo luminoso alle cose. L'elemento luminoso è infatti dominante nelle sue pagine ... È una luce che può essere creaturale oppure cosmica, oscilla a volte tra la cosmicità e la creaturalità. In Attesa sul mare, ma anche in Vento largo, prevalgono i dialoghi notturni, dove la luce è più difficile da decifrare ... La notte è l'ora del ripiegamento su di sé, del maggior dialogo. Ma anche la luce più meridiana porta con sé un'ombra segreta. Dietro questo azzurro violento c'è un'ombra angosciosa che si rivela in tutta la letteratura delle coste mediterranee, da Montale a Valéry, a Camus. Nei primi libri di Camus accanto a questa solarità alligna la forza dell'ombra potente della morte. In fondo è una luce senza illusioni, che porta poi con sé questo sentimento della morte. Nei Cimiteri marini di Valéry c'è il massimo di luccichio di marmi, ori, luminosità marina e insieme il massimo della morte, dell'annullamento totale. C'è il senso di esaurirsi in un compito mortale, accompagnato da questa luce. Poi la quiete della notte seppellisce tutto. La notte è l'ora dell'esame di coscienza e si collega a questa ombra segreta dell'azzurro. Un'ombra che solo i poeti sanno vedere? C'è una cosa di Mallarmé che dice: "Azur, Azur, je l 'entend qui sonne dans la cloche. Oh matière, donne-mo il' oubli". Si sente nell'azzurro questo suono dell'oblio. L'ossessione porta come controcanto quello della materia che dà l'oblio, il disfacimento nel cosmo. Pur in questo oblio, lafisicità del paesaggio è quasi dominante nelle sue pagine ... Ma si accampa contro il cielo su un fondo di morte. Per questo risalta di più. Nel Mito di Sisifo, Camus parla delle tavolette edificanti che i frati mettevano davanti al condannato diretto al patibolo, perché si distraesse dalla morte che lo attendeva. Non ha altra funzione il paesaggio: far sentire il brivido della vita fra due nulla. Fra il nulla da cui veniamo e il nulla a cui andiamo. Per cui la vita comincia in questo punto della disperazione. "La vie commence au delà du désespoir". Credo che la civiltà mediterranea sia questa: dare importanza alla solarità della vita su un fondo senza consolazione. Nei suoi libri precedenti, il niare era guardato e ascoltato dalle montagne. Ora, nell'Attesa sul mare, Edoardo, oltrepassa questo confine fisico tra terraferma emare aperto. È uno sviluppo anche nella sua scrittura? lo ho un universo simbolico dove il mare può rappresentare l'infinito o l'innocenza; ma non si tratta mai di una visione dualistica dove la terra è il male, mentre il mare ne è esente. Oppure che il mare sia l'infinito e la terra il contrario. Un po' si intersecano queste concezioni, ma poi vengono anche smentite, perché anche sul mare vola l'angelo del disordine. E poi il mare ha sempre rappresentato nella letteratura e per gli uomini I' ossessione della libertà, dell'andare, della trascendenza ... E non anche della paura? Paura ... direi lo sgomento dell'infinito, lo stesso che dà il cielo stellato. Si può sentire l'angoscia cosmica, l'uomo si sente come polvere; granello di un cosmo con cui non è perfettamente accordato. Poi sono suggestioni. E l'attesa è sempre così; attesa di qualcosa che non avviene mai, perché l'uomo è progettazione, attesa, oblio, ricordo. La vicenda psichica dell'uomo è tutta lì. Cosa c'è d'altro nel fondamentalmente umano? Non credo al sociopolitico, credo all'ansia cosmica e all'ansia metafisica che si intersecano di continuo. Almeno ... penso di avere intessuto le pagine di questa bipolarità. Le sue figure sembrano sempre sospese tra un essere se stessi e unaforzatura a muoversi nel mondo. Sembra che ne farebbero volentieri a meno. Infatti mi piace il personaggio che- trascinato dentro l' azione - contempla e medita. Penso che la tendenza dell'uomo sia platonica, ma c'è una grande forza che costringe a entrare nella bufera storica, piccola o grande che sia. L'uomo porta in questa bufera un lato contemplativo antico; fa i conti, osserva il sole, il cielo e il mare. Fa un bilancio sulla vita e sulla morte. È un po' l'angelus novus di Benjamin: con le ali aperte e gli occhi sbarrati contempla le rovine sulla terra; e mentre vorrebbe ricomporre l'infranto una tempesta lo trascina lontano. È la concezione tragica del progresso: non può resistere alle correnti che lo trascinano via, però si àncora con lo sguardo alle cose che si vanno distruggendo. Il tempo crea e per creare distrugge: il lato di distruzione insito nella vicenda storica è quello che fa nascere il rimpianto. Baudelaire diceva: "La forme d'une ville change plus vite que le coeur d'un mortel. La vieille Paris n 'est plus, hélas".
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