Linea d'ombra - anno XII - n. 96 - settembre 1994

28 VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE che hanno funzionato meglio di altri nel di dare una serie di indicazioni di metodo e di merito, è evidente fin dal titoloe siarticola nei contributi raccolti nella sezione "Cos'è laragion pratica" che apre il primo numero. Viola, nell'articolo dedicato all'analisi dei rapporti possibili fra ragion pratica e giusnaturalismo, la definisce come "I' uso della ragione in tutti quegli orientamenti di pensiero che privilegiano il problema della giustificazione su quello della fondazione, la prassi alla teoria, l'azione alla norma, il problema della scelta e della decisione su quello RAGION PRATICA 2 promuovere l'evoluzione dell'uomo. Non c'è una ragione ultima per punire i criminali o credere nei diritti dell'uomo. Viola ritiene invece che la ragion pratica debba ammettere "l'esistenza e la conoscibilità di alcuni valori basilari della vita pratica", ossia una so1ta di precettistica giusnaturalistica, e che sia suo compito specifico promuoverli e difenderli nell'ambito del diritto positivo, pur considerando le contingenze storico-geografiche. E dal Immigrazione e xenofobia Nazionalismo, razzismo e odi interetnici Multiculturalismo e diritti delle minoranze dell'analisi concettuale e meramente descrittiva" (p. 61). Con "ragion pratica" si fa riferimento genericamente alla filosofia morale, al ragionamento intorno ali' etica: ma, >'( fatto che sul paniere di questi valori primari ed iffinunciabili, che si cerca di fomrnlare in positivo in quei p1incipi e norme chiamati diritti dell'uomo, la discussione resti sempre aperta, non ne può conseguire l'inesistenza: "ad esempio, la libertà è senza dubbio un valore basilare, perché è implicita in più specificamente, a quelle teorie morali che, aristotelicamente, distinguono lo status della razionalità pratica da quello della razionalità ANABASI ogni progetto razionale di vita, che Aristotele chiamava la 'vita buona'" (p. 73). Ma, si potrebbe subito chiedere, scientifica, rivendicandone la reciproca autonomia. Vi si legge insomma un riferimento abbastanza chiaro a quel complesso e variegato filone filosofico che va sotto il nome di "Riabilitazione della filosofia pratica". L'insistenza sulla ragione come giustificazione della prassi - anziché come fondazione ontologica dei valori che dovrebbero ispirare la vita morale, propria di un'etica intellettualistica - può avere (se mi è consentita una notevole dose di semplificazione) due esiti fondamentali: in un caso si perviene ad una soluzione debole, che circoscrive la razionalità a cercare soltanto giustificazioni parziali e relative di ciò che costituisce la realtà storica di una forma del diritto, dell'economia o della politica, sostenendo che ogni passo ulteriore significherebbe ricadere nell' en-orediuna fondazione assoluta; nell'altro si tenta di individuare comunque un nucleo forte di valori, una sorta di universalismo etico a posteriori, ricavato per induzione dalla prassi e da riversare su quest'ultima per con-eggeme gli aspetti perversi. Il primo orientamento è prevalente, mi pare, nei saggi di Maurizio Barberis e di Eugenio Lecaldano; il secondo in quelli del già citato Viola e di Stefano Zamagni. Lecaldano sostiene, a proposito della differenza fra chi assume come giusto e razionale rispettare sempre i patti sottoscritti e chi invece, come lo Sciocco razionale di Hobbes o il Furfante scaltro di Hume, ritiene più utile praticare il.free riding : "Che si accetti o si rifiuti di condun-e la vita dello sciocco razionale o del furfante scaltro dipenderà dal provare o meno sentimenti o inclinazioni a favore dello stile di vita etica. Questa preferenza -ovvero un ce1to sentimento di approvazione che riteniamo ragionevole - non si può produn-e con un ragionamento, o causare con una mossa decisiva" (p. 31). In modo parzialmente analogo, Barberis, al tenni ne di un sintetico quanto chiaro excursus storico-filosofico sul problema della giustificazione delle regole, afferma nettamente: "La riflessione, che pur procede dalla prassi, inclina in-esistibilmente a rimuovere le proprie origini pratiche; per chi entra nel gioco della fondazione razionale, così, diventa facile dimenticare che ciò di cui si tratta sono pur sempre pratiche e credenze affermatesi lungo una storia e dentro una cultura particolari" (p. I 8). L'autorità della ragione occidentale è dovuta soltanto all'aver prodotto strumenti quale libertà? La libertà di chi? Di fareche?Echecos'èmai la vita buona? Ad Aristotele si richiama anche Zamagni in conclusione del contributo inteso a mostrare l'inadeguatezza di una scienza economica "autarchica", che non si voglia confrontare con ragioni e scelte etiche, a spiegare il proprio oggetto medesimo, la realtà socio-economica: "Il vero finedella ricerca etica, diceva Aristotele, non è 'conoscere che cos'è la virtù; è diventare buoni, giacché altrimenti nulla sarebbe la sua utilità'. Una proposta etica che non incida nel comportamento degli individui fallisce il suo compito. Invero, un'etica senza una finalizzazione di senso, priva di una ricerca sui valori tende a trasformarsi in un insieme di regole per rendere meno conflittuale il vivere comune e nulla più" (p. 102). Le etiche neocontrattualiste sarebbero dunque inutili, o perlomeno insufficienti: io, per parte mia, sarei soddisfatto se si riuscisse a rendere "meno conflittuale il vivere comune e nulla più". Non si tratta di difendere tout court il neocontrattualismo (declinato e declinabile, fra l'altro, in mille diverse maniere), né di predicare le virtù del consenso ottenuto attraverso una "comunicazione razionale" non certo scevra da aporie. Credo però che - prima di ammettere una sostanziale impotenza etica, richiamandosi all'assoluto relativismo dei valori o limitandosi ad un sommesso consiglio (la vita etica dovrebbe renderti più soddisfatto di te stesso, ma non posso garantirlo) o riaffermare la necessità di "noccioli duri" etici che presumono una coesione sociale, un complesso di credenze comuni (una Gemeinschaft, insomma) fuori dall'orizzonte della modernità - la "via dell'accordo" meriti ancora qualche attenzione. In ogni caso",si impone innanzitutto un enorme lavoro di chiarificazione concettuale: le parole-chiave del vasto mondo della filosofia pratica - indichino esse valori, fatti, relazioni o situazioni - vanno oggi più che mai analizzate nelle loro molteplici articolazioni e accezioni. Solo così sarà possibile distinguere poi le ragioni dei diversi interlocutori ed obbligarli a dichiarare (o a... tradire) lereali opzioni etiche, il sistema di valori cui fanno riferimento nella prassi. E forse costringerli, con la forza dell'evidenza, almeno àd una maggiore coerenza.

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