VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE 27 antiche capitali dell'età coloniale con 50.000 abitanti sono ora diventate metropoli a sviluppo selvaggio con un milione, un milione e mezzo di abitanti - fino agli oltre tre milioni di Lagos e l(jnshasa. Dai 130milioni di africani che attualmente vivono nei centri urbani si passerà ai 500 milioni del 2020. Nonostante l'urbanizzazione la popolazione delle campagne è comunque cresciuta costantemente (più di 300 milioni nel 1990), con conseguenze disastrose. Se le enormi periferie urbane sono ai nostri occhi un inferno, è pur vero che dalle città (non fosse altro che per la disponibilità di cereali importati che vi giungono "naturalmente", essendo le città situate sulle principali vie di comunicazione, per acqua o per terra) è almeno possibile attingere un po' di cibo per sopravvivere. Nelle campagne, lontane e spesso difficilmente raggiungibili, per cui il trasporto di medicinali e di derrate èdi difficile attuazione, imperversano le malattie e la fame. Si ha dunque una popolazione in crescita vertiginosa, che aumenta del l 00% mentre lerisorse alimentari crescono, forse, del 50%: e cioè, in presenza di un miglioramento delle condizioni produttive si ha un peggioramento della situazione, destinata ulteriormente ad aggravarsi. La bomba demografica è una minaccia micidiale per il futuro dell'Africa. Eppure non mancano gli intellettuali, in particolare quelli africani che vivono comodamente nelle università americane, che accusano di imperialismo anti-demografico gli occidentali: la denuncia della gravità della situazione e della necessità di provvedervi non sarebbe altro che propaganda dettata dal timore dei bianchi di essere tra breve meno numerosi dei neri. In realtà sulla necessità del controllo demografico è necessario insistere con la massima determinazione (come, finalmente, sembra essere parso chiaro a molti nel corso del recente convegno tenutosi al Cairo), anche perché le abitudini culturali e le convinzioni religiose, animistiche, musulmane e cristiane (basti pensare ai famigerati appelli del Papa) vanno esattamente nella direzione opposta. L'opinione democratica spesso sbanda e si ritrae di fronte al sovvertimento dell'approccio ideologico che l'ha guidata rispetto al che fare (o anche soltanto al che pensare) a proposito della situazione del continente africano. Come in altri settori, anche qui la retorica e la demagogia non hanno procurato che illusioni, inducendo a difendere l'indifendibile e a ignorare larealtà. Quando si sa che è solo riconoscendola, con tutti i suoi errori, che è possibile intervenire per modificarla. Un libro assai istruttivo sull'argomento, da cui derivano molte delle osservazioni sopra esposte, è quello di Roland Oliver, The African Experience (Weiden Seld & Nicolson 1992), che, per quanto possa avere dei limiti, dovrebbe diventare lettura obbligatoria per i molti che si pronunciano sulla situazione africana sostanzialmente in base ai buoni sentimenti. Oliver fa notare come, anche e soprattutto a causa della sovrappopolazione, il livello di povertà dei paesi africani sia decisamente drammatico, con soltanto due paesi, Sud Africa e Gabon, con un reddito pro capite superiore ai 1000 dollari all'anno e con quasi tutti gli altri, compresi paesi ricchi di risorse come la Nigeria, il Ghana e il Kenya, con un reddito inferiore ai 500 dollari all'anno. Questo stato di arretratezza è affrontato da una classe politica spesso impreparata e inefficiente - anche per le caratteristiche del passaggio all'indipendenza, che non ha consentito la formazione di quad1i politici e amministrativi - ed è aggravata dalle conseguenze delle politiche economiche attuate dopo l'indipendenza. Nessuno può negare che gravissimi furono i danni causati dai giochi condotti da Usa e Urss per aumentare la loro sfera di influenza e dal loro coinvolgimento militare nelle guerre civili e nei conflitti tra Stati; e che altrettanto dannosa è stata ed è tuttora la politica di sfruttamento delle potenze ex coloniali, mentre assai discutibile è il ruolo esercitato dalla Banca Mondiale, che opera attraverso il Fondo Monetario Internazionale, con la pretesa di agire super partes in base a valutazioni economiche spacciate come assolutamente "oggettive". Ma è pur vero, osserva con amaro realismo Roland Oliver, che altrettanto dannoso è stato il cosiddetto socialismo africano, il quale attuò una politica protezionistica che di fatto, con l' intenzione di proteggere le nascenti industrie locali, bloccò gli scambi internazionali (mentre il controllo dei prezzi sui prodotti agricoli fece declinare l'agricoltura locale incoraggiando l'importazione dall'estero di derrate a basso costo); e altrettanto nocive si rivelarono le misure finanziarie dirette a bloccare la fuga di capitali, che insieme alle nazionalizzazioni attuate con compensazioni iITisorie, scoraggiarono gli investimenti stranieri. E fu così che i provvedimenti escogitati per difendere l'economia dei paesi poveri si rivelarono, in ultima istanza, un boomerang economico che servì soltanto a mantenerli in condizione di povertà. Qualunque proposta sui possibili sviluppi delle società africane dovrebbe partire dall'accettazione di queste realtà e dal riconoscimento di questi fallimenti. ALLARICERCA DI BUONERAGIONI UNANUOVARIVISTA ErmannoVitale "Vicende troppo note per dover essere richiamate rendono attuale ed urgente la discussione sui valori": "Ragion pratica", il nuovo semestrale edito da Anabasi e diretto da Paolo Comanducci, Letizia Gianformaggio, Riccardo Guastini e Francesco Viola, non poteva scegliersi biglietto da visita migliore. Di fronte a quanto è successo nella vita pubblica italiana nel recente passato, ma, ancor più, a quanto sta accadendo nel presente e a ciò che sembra promettere il prossimo futuro - un nuovo e più sofisticato tentativo di mistificazione ed aggiramento dei principi della convivenza democratica basato proprio sull'oscuramento del dialogo a colpi di suggestioni miracolistiche e di incantesimi multimediali - il richiamo a prendere sul serio i valori sottesi alla prassi morale, giuridica, politica ed economica, ad argomentarli, a confrontarli criticamente, a considerarli con coerenza vincoli al ragionamento e quindi all'azione, non può che essere il benvenuto. Cercare di definire la "linea" di una rivista scientifica seria e programmaticamente aperta al dialogo e al confronto approfondito delle ragioni che dovrebbero soggiacere alle nostre scelte pratiche significa probabilmente farle un imperdonabile torto. Tuttavia, l'intenzione di definire un punto di vista preferenziale, o perlomeno
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