•' ' VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE 25 Fotodi Dino Frocchio/Grozio Neri. coscienza in Italia, si può dire che il gesto di Pietro Pinna non trovò "radici culturali e politiche" nell'Italia di allora, appena uscita dal fascismo. "La sua" -scrive Albesano- "fu un'azione profetica, nata improvvisamente nella realtà sociale italiana, e fu anche una scelta geniale, poiché mise in moto un fermento che non si sarebbe più assopito." Negli anni Cinquanta l'obiezione rimase "un gesto isolato e profetico", per diventare nel decennio successivo "un'azione collettiva", "una lotta di gruppo", sostenuta da una più vasta opinione pubblica. Albesano mette bene in evidenza il diverso clima che si creò attorno agli obiettori che continuavano ad essere arrestati, processati, condannati: dall'ostilità si passò al rispetto e alla simpatia ape,ta, testimoniata in quelli che erano gli anni di don Milani e delle lotte studentesche da manifestazioni significative, come il processo simbolico ali' obiettore organizzato dal Centro valdese di studi religiosi Agape ed il film Non uccidere del regista francese Claude Autant Lara. In quegli anni l'obiezione riuscì ad essere "una sintesi tra l'affermazione di una testimonianza e le necessità di un movimento di lotta" e si configurò come una "lotta organizzata di un intero movimento", che conseguì il grande risultatodell'introduzione per la prima volta nel nostro ordinamento legislativo della possibilità dell'obiezione. Tale possibilità è stata successivamente più ampiamente riconosciuta e tutelata da alcune importanti sentenze della Corte costituzionale ed è auspicabile che non venga più rimessa in discussione. E dopo la legge? Il giudizio di Albesano è segnato da una fondata vena di amarezza: "La storia dell'obiezione", scrive "per gli anni che seguirono il 1972 [...] si esauri quasi del tutto in contenziosi con ilMinistero dellaDifesa e nelle vicendeparlamentari volte ad ottenere una riforma della legge n. 722. Dopo le esperienze iniziali della L.O.C., che coordinò il movimento degli obiettori e che in ogni caso impostò una gestione politica del servizio civile, le lotte attuate dagli antimilitaristi sull'argomento furono quasi esclusivamente volte o al miglior funzionamento della legge esistente o alla sollecitazione di una sua riforma". Ma i I giudizio complessivo dell'autore sulla storiadell'obiezione di coscienza nel nostro paese è positivo. A dire la verità, qua e là dalle pagine del libro sembra trasparire un certo ottimismo di fondo derivante da una precisa interpretazione della natura dell'uomo: "La simpatia della gente" - si legge ancora nell'Introduzione - "verso le scelte di pace è molto spontanea [...] questo dato di fatto dimostra che tutto sommato l'indole umana è spinta verso uno stile di vita pacifico piuttosto che verso desideri di sopraffazione". Forse è questo presupposto metafisico che porta Albesano a dare un giudizio più attento alle luci che alle ombre sugli anni dal '72 in poi: "Negli ultimi vent'anni" - scrive- "si è andata sviluppando una vasta cultura di pace. Siamo ancora molto distanti da una società che abbia fatto proprio lo stile di vita nonviolento, ma dobbiamo ammettere che il pensare comune su determinati problemi, quali quelli della pace e della guerra, si è sviluppato verso le idee pacifiste". Allo stesso modo più cauto dovrebbe essere il giudizio sugli effetti positivi della legge n. 772, che rimane un risultato da difendere e migliorare, ma che non crediamo abbia "modificato nella mentalità comune l'accettazione dell'obiezione di coscienza", né abbia "creato un pensare diverso nei riguardi della pace e della nonviolenza". Uno sguardo sulla società italiana e sulla realtà dell'obiezione di coscienza induce più al pessimismo che all'ottimismo. Quali
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