22 MESSICO/FUENTES México: il Pedregal. Muto testimone di cataclismi che nessuno ha documentato, il terreno nero vigilato dai vulcani spenti è una Pompei invisibile. Migliaia di anni fa, la lava inondò la notte di bolle incandescenti; nessuno sa chi sia morto qui e chi sia fuggito da qui. Alcuni, come me, ritengono che non si sarebbe mai dovuto infrangere quel perfetto silenzio che sembrava un calendario della creazione. Molte volte, da bambino, quando vivevamo ancora alla Colonia Roma e mia mamma era viva, passai di lì andando a visitare la piramide di Copilco, pietra corona della pietra. Ricordo che tutti, istintivamente, rimanevamo in silenzio guardando quel paesaggio morto, padrone di un crepuscolo proprio che le mattine (allora) luminose della nostra valle non avrebbero mai dissipato, si ricorda nonno? È la prima cosa che io ricordo. Ci andavamo a fare le scampagnate, perché allora la campagna era molto vicina alla città. Viaggiavo sempre sulle ginocchia della ragazza di servizio, era la mia tata? Si chiamava Manuelita. Adesso mentre tornavo a casa al Pedregal con mio nonno umiliato e ubriaco, ricordai come furono costruiti gli edifici della Città Universitaria e come fu fatto il trucco alla roccia vulcanica, il Pedregal si mise occhiali di vetro verde, toga di cemento, si dipinse le labbra di acrilite, si incrostò le guance di mosaici e sconfisse il nero della terra con un'ombra di fumo ancora più nera. Il silenzio fu rotto. Dall'altro lato del vasto parcheggio dell'università, si lottizzarono iGiardini del Pedregal. Si definì uno stileche uniformasse le costruzioni e il paesaggio del nuovo quartiere residenziale. Muri alti, bianchi, azzurri indaco, rossicci, gialli. Gli accesi colori messicani della festa, nonno, e la maestosa tradizione spagnola, mi sente? La roccia venne seminata con piante drammatiche, nude, senza altro ornamento che qualche fiore aggressivo. Porte chiuse come cinture di castità, nonno, e fiori aperti come ferite genitali, come la figa della puttana Judith, che lei non ha potuto fottere e io sì e per che cosa, nonno. Stiamo arrivando vicino ai Giardini del Pedregal, alle case lussuose che dovevano essere tutte uguali, al di là dei muri, Giappone spacciato per Bauhaus, moderne, a un solo piano, tetti bassi, ampie vetrate, piscine e giardini di roccia. Si ricorda, nonno? Tutto il complesso fu circondato da mura e gli accessi limitati a un certo numero di cancelli arancioni costuditi da guardie. Che penoso tentativo di castità urbana in una capitale come la nostra, si svegli, nonno, laguardi di notte,Messico, città volontariamente incancrenita, affamata di estensione anarchica, ingannatrice di qualsiasi tipo di stile, città che confonde la democrazia col possesso, ma anche l'ugualitarismo con la volgarità: la guardi adesso, nonno, come la vedemmo la notte in cui andammo a puttane con i mariachis, laguardi adesso che lei è già morto e io ho passato la trentina, stretta dai suoi vastissimi cinturoni di mise1ia, legioni di disoccupati, immigranti dalla campagna e milioni di bambini concepiti, nonno, fra un mugolio e un sospiro: la nostra città, nonno, permetterà una scarsa esistenza alle oasi di esclusività. Mantenere i Giardini del Pedregal era come curarsi le unghie mentre il corpo andava in cancrena. Sono cadute le reti, se ne sono andate le guardie, il capriccio delle costruzioni ha rotto per sempre la quarantena del nostro elegante lebrosario e mio nonno aveva lafaccia grigia come i muri di cemento della tangenziale. Si addormentò e quando arrivammo a casa dovetti prenderlo in braccio per tirarlo giù dall'auto, come un bambino. Che leggero, ossuto, pelle attaccata allo scheletro, che strana espressione di oblio sulla sua faccia così carica di ricordi. Lo misi a letto e mio papà mi aspettava sulla porta. Mio padre il laureato mi fece un gesto perché lo seguissi attraverso le varie sale fino in biblioteca. Aprì l'armadietto pieno di cristalleria, specchi e bottiglie. Mi offrì un cognac e gli dissi di no con la testa. Lo pregai di non chiedermi dove fossimo stati, cosa avessimo fatto, perché avrei dovuto rispondergli con una di quelle cose che lui non capiva e questo, l'avevo già detto, faceva più male a me che a lui. Rifiutai il suo cognac come avrei rifiutato le sue domande. Era la notte della mia libertà e non l'avrei persa accettando che mio padre potesse farmi delle domande. Avevo già la pappa pronta, no?, perché cercavo di scoprire, ancora, solo per me, che cos'era l'amore, essere coraggiosi, essere liberi. "Che cosa mi rimproveri, Plutarco?" "Che mi abbia tenuto lontano da tutto, perfino dal dolore." Mi fece pena mio padre quando gli risposi così. Si alzò e andò camminando fino alla vetrata che dava sul cortile interno circondato da cristalli e con una fontana di marmo nel mezzo. Scostò le tende con un gesto melodrammatico nello stesso momento in cui Nicomedes fece scorrere l'acqua, come se avesse fatto prima le prove. Mi fece pena: erano gesti che aveva imparato al cinema. Tutto quello che faceva lo aveva imparato al cinema. Tutto quello che faceva era appreso e pomposo. Lo comparai con il casino spontaneo che sapeva mettere in piedi mio nonno. Da anni frequentava gringos miiionari emarchesi dal titolo inventato. La suapersonale attestazione di nobiltà era apparire fotografato sulle cronache mondane dei giornali, coi baffi all'inglese, pettinato all'insù, capelli brizzolati, abito discreto, grigio, un fazzoletto vistoso che gli usciva dal taschino, come i fiori delle piante secche del Pedregal. Come per molti ricconi messicani della sua generazione, il modello era il Duca di Windsor, la cravatta col nodo grosso, ma non incontrarono mai la loro signora Simpson. Poveretti: bazzicavano il texano volgare che era venuto a comprarsi un hotel ad Acapulco o il venditore di sardine spagnolo che si era comprato il titolo nobiliare da Franco, cose di questo tipo. Era un uomo molto occupato. Si allontanò dalla tendaedissechedi sicuro i suoi argomenti non mi avrebbero impressionato, mia mamma non si era mai presa cura di me, l'aveva abbagliata la vita mondana, era l'epoca in cui arrivarono gli emigrati europei, il re Caro! e madame Lupescu con valletti e pechinesi, era la prima volta che Città del Messico si sentiva una capitale cosmopolita, eccitante, non un villaggio di indios e di golpes militari. Come poteva non rimanerne abbacinata Evangelina, una piccola provinciale bella che aveva un dente d'oro quando lui la conobbe, una di quelle femmine della costa di Sinaloa che diventano donne presto, alte, bianche, con gli occhi di seta, e lunghi capelli ne1i,che portano in corpo il giorno e la notte allo stesso tempo, Plutarco, che brillano insieme nei lorocorpi, tutte le promesse, tutte, Plutarco. Andò al carnevale di Mazatlan con degli amici, giovani avvocati come lui e lei era la reginetta. La portavano in giro lungo il molo di Olas Altas in una macchina aperta piena di gladioli, tutti la corteggiavano, le orchestre suonavano Amor chiquito acabado de nacer, lo preferì agli altri, lei lo scelse, la felicità con lui, la vita con lui, lui non la forzò, non le offrì niente più degli altri, come invece il generale con nonna Clotilde che non poté far altro che accettare la protezione di un uomo potente e valoroso. Evangelina no. Evangelina lo baciò per la prima volta una notte, sulla spiaggia, tu mi piaci, tu sei il più dolce, le tue mani sono belle. Io ero il più dolce, lo ero davvero, Plutarco, volevo amare. Il mare era tanto giovane come lei, entrambi erano appena nati, Evangelina tua mamma e il. mare, senza nessun debito con nessuno, senza obblighi come tua nonna Clotilde. Non dovetti forzarla, non dovetti insegnarle a volermi bene, come tuo nonno. Questo il generale nel suo cuore lo sapeva, e ne soffriva, Plutarco, la sua venerazione per mia mamma Clotilde, Iui era come dice il proverbio, non perdeva mai e se perdeva faceva prigionieri, mia madre era parte del suo bottino di guerra, per quanto cercasse di nasconderlo, lei non lo amava ma arrivò ad amarlo, invece Evangelina mi aveva scelto, io volevo amare, il
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