CULTURA 9 ' ' IDENTITAEDIVERSITA SUUN LIBRODILEVIDELlATORRE LuigiRobbio Foto di Giovonni Giovonnetti Stefano Levi Della Torre è un ebreo arrivato all'ebraismo in età matura. Lo dice lui stesso nelle prime righe del suo libro, Mosaico. Attualità e inattualità degli ebrei (Rosenberg & Sellier, pp.177, lire 25.000): "Per me come per altri della mia generazione diffusamente secolarizzata, nata fortunosamente durante lo sterminio nazista o subito dopo, l'ascendenza ebraica era rimasta sullo sfondo, un blasone di scampato martirio e un insieme di sintomi, di storie e di lessici familiari, un retaggio delegato alla generazione dei padri e delle madri. Ma la loro morte ci ha posto di fronte alla scelta di assumere o noquell'eredità tramandata appena per cenni: ho dovuto mettermi a studiare, partendo da una fondamentale ignoranza. Ma non era solo questione di un'eredità peculiare; si entrava in un clima in cui ci si sentiva orfani delle ideologie e degli schieramenti politici che avevano orientato le identità personali e collettive per quasi un secolo, e il loro collasso spingeva alla ricerca di altri ancoraggi, di paradigmi più duraturi; l'ebraismo rappresentava una strategia culturale della durata" (p. 8). Questo tipo di percorso non è infrequente nella generazione che fu coinvolta nelle lotte politiche e sociali degli anni Sessanta e Settanta. Dopo una così lunga immersione nell'attualità con gli occhi puntati esclusivamente al futuro, a molti sembrò necessario rivolgere lo sguardo verso il passato, verso le radici o, se vogliamo, verso l'inattualità. In Stefano Levi Della Torre quest'operazione non ha alcun sapore consolatorio. Non cerca le radici come si cerca un rifugio, ma puttosto come un saltatore che prende la rincorsa o come un pittore che si allontana dal quadro per osservarlo con maggiore distacco.L'inattualità nonè un'alternativa all'attualità, ma l'unico strumento possibile per non lasciarsela sfuggire. I dieci saggi che sono raccolti in Mosaico propongono al lettore un vertiginoso (e affascinante) andirivieni tra la creazione del mondo e il mondo contemporaneo, tra il Sinai di Mosè e il Sinai del conflitto arabo-israeliano, tra teologia, storia e cronaca. Benché il filo conduttore del libro sia costituito dagli ebrei e dalla loro cultura, sarebbe improprio dire che è un libro "sugli ebrei" o "sull'ebraismo". È piuttosto l'offerta di uno sguardo ebraico sui grandi dilemmi del nostro mondo. Per dare un'idea del metodo e delle soluzioni proposte da Stefano Levi Della Torre mi limito a considerare un unico grappolo di questioni che ritorna frequentemente nel libro: il risorgere delle identità etniche e religiose dopo lo sfaldamento dell'universalismo illuministico occidentale. Devo però avvertire che il libro parla di molti altri argomenti e offre potenti suggestioni inmolte altre direzioni. Mi auguro, con questo breve commento, di invogliare i potenziali lettori ad accostarsi al testo per scoprire idee e percorsi diversi da quello a cui qui accenno. Uno dei temi che ricorre con molta insistenza nelle pagine del libro è ladissoluzionedell 'universalismo di stampo illuministico: la caduta degli imperi, la crisi degli stati nazionali, il fallimento delle élites modernizzanti nei paesi del Terzo Mondo, lo sfaldamento delle ideologie internazionaliste. Di fronte a questi fenomeni assistiamo a due tipi di reazioni: una reazione forte ma spaventosa, e una reazione rassicurante ma fragile. La prima reazione (forte, ma spaventosa) consiste nella rinascita delle identità etnico-religiose, che si accompagna a forme di aperta ostilità ed esclusione verso l'altro. È una risposta direttamente speculare al processo di modernizzazione: alla dilatazione degli spazi indotta dai mercati e dalle comunicazioni planetarie esso contrappone la delimitazione del territorio in nome della purezza e della riappropriazione; alla solidarietà orizzontale (siamo tutti frate! li, o proletari, o cittadini del mondo) contrappone la solidarietà verticale (coni propri antenati e i propri discendenti). La seconda reazione che, adifferenza della prima, è rassicurante ma purtroppo assai fragile, propone di superare l'omologazione uniersalistica attraverso la cultura delle differenze, l'accettazione della complessità e del pluralismo etnico e religioso; di sostituire relazioni reticolari alle tradizionali relazioni gerarchiche; di passare dal monoteismo (egualitario) al politeismo (delle differenze). L'approdo, spesso evocato, è quello della società multietnica in cui diverse tradizioni culturali imparino a convivere, rispettandosi reciprocamente, e a trarre frutto dalle rispettive diversità. La prima reazione tende a superare il vecchio paradigma creando nuovi centri perennemente in lotta gli uni contro gli altri. La seconda pensa piuttosto a una società senza centro, a una sorta di policentrismo armonico che appare tanto saggio quanto poco praticabile e comunicabile. Stefano Levi Della Torre ci propone di indagare questi rovelli
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==