5 NUOVI DIZIONARI GARZANTI OLTRE 300.000 VOCI RAGIONATE PRATICI E IMMEDIATI NELLA CONSULTAZIONE SINONIMI E CONTRARI OLTRE 340.000 SINONIMI, CON UNA RICCA ESEM PLI FICAZION E E LA SPECIFICAZIONE DEL CONTESTO D'USO DEI TERMINI. 992 PAGINE, L. 40.000 ITALIANO TUTTO IL LESSICO CORRENTE, I NEOLOGISMI, LE PAROLE STRANIERE IN USO, I TERMINI SCIENTIFICI E LETTERARI: OLTRE 65.000 VOCI, CON LE REGOLE DELLA GRAMMATICA. 1528 PAGINE, L. 40.000 I HZI<l'.\'.\l{I < ;.\l{Z.\'.\'TI TEDESCO IL DIZIONARIO DI TEDESCO PIU' NUOVO E ATTUALE, CON LE VARIANTI USATE IN AUSTRIA E SVIZZERA E LE PAROLE COMPOSTE MESSE A LEMMA. 75.000 VOCI. 1600 PAGINE, L 42.000 2 (\jiji j,1 ; \iA-"\ J; j ,. .. '"· 1'!/9 r-~ ' LESE •.::( OOOVOCI ·• • PREN1!ÌVE / DELL ~~~ t-JENG LI SH, LA PRONUNCIA TRASCRITTA CON L'ALFABETO FONETICO INTERNAZIONALE E LE STRUTTURE COMPARATIVE ITALIANO-INGLESE 1472 PAGINE, L. 40.000 FRANCESE LA LINGUA DI OGGI CON LE VARIANTI DI SVIZZERA, CANADA E AFRICA. IN 75.000 VOCI. TAVOLE DI FRASEOLOGIA E INSERTI DI GRAMMATICA COMPARATIVA. 1408 PAGINE, L 40.000 TUTTO E MOLTO PIÙ DI QUEL CHE SERVE PER GLI STUDI SONO OPERA DELLE REDAZIONI GARZANTI, CHE HANNO ACCOLTO E DIVULGATO IL MEGLIO DELLA CULTURA L'ENCICLOPEDIA ITALIANA E STRANIERA GRANDI REALIZZANDO DIZIONARI E LE FAMOSE EUROPEA, "GARZANTI N E".
,, I LANARRATIVA DICE LVIIIITÀ INUN'IPOCA IN1211LEPlRIONE A CUI ÈDEMANDATO IDIRLA INVENTANO STillll POLITICI, IMEDIA, _ ~---,INVENTANO S O- RIE. _EDOVERE DELLOSCRlmRE DIFINZIONI COMINCIARE A ~~\AIJ, IIBLIOTEC G1N0BIANC * Abbonarsi è unasceltacheassicura l'indipendenzaLinead'ombrae ai lettori stessi. Eperchisiabbonaentro il31dicembre è ancheunasceltaconveniente: IIU.1111 AIC8.TA CarmeloBene ABOCCAPERTA LuisBunuel SÌ,sottoscrivo unabb namento annuale111numeri)aLinead'ombraperunimportototaledi L. 85.000. IFIGLIDELIAVIOLENZA HeinrichBòll LEZIONI FRANCOFORTESI GuntherAnders IMORTI.DISCORSOULLE TREGUERRE MONDIALI ArnoSchmidt ILLEVIATANO seguitoda TINAODELIAIMMORTAUTA' IVANTMII I.Risparmio di L 20.000sull'attualeprezzodicopertina. 2.Bloccodelprezzodicopertina. 3. Scontodel20%suinumeriarretrati. 4.Scontodel20%suivolumidellacollana "Aperture·,EdizioniL nead'ombra. 5. Tremesidiabbonamento gratuito:se infatticisegnalate ilnomediunamicogli manderemounacopiaomaggiodella rivista.Sesiabbonaprolungheremo di3 mesiilvostroabbonamento. Scelgo o ABOCCAPERTA (salvo o IFIGLIDELlAVIOLENZA esaurito) o LEZIONI FRANCOFORTESI inomaggio o IMORTI.DISCORSOULLETRE il volume: GUERRE MONDIALI o ILLEVIATANO seguitoda TINAODELlAIMMORTAUTA' Segnalo unamicointeressatoaricevere unacopiaomaggiodi Linead'ombra (incasodirispostaffermativaprolungherete di 3 mesiilmioabbonamento). NOME_________ _ COGNOME ________ _ INDIRIZZO ________ _ CITTÀ__________ _ LINEAD'OMBRA,VIAGAFFURIO4, 20124MILANO. NOME________________ _ COGNOME _______________ _ INDIRIZZO _______________ _ CITTÀ________________ _ Indico lamodalitàdipagamento(senzaggiuntadispesepostali). o Assegno(bancarioopostalen. __________ _ banca______________ inbustachiusa) o Awenutoversamento sulc/cpostalen.54140207intestatoaLinead'ombra o Viautorizzoadaddebitarmi lacifradi L. 85.000sucartadicredito o CartaSì o Visa o Mastercard o Eurocard I I I I I I I I I I I I I I I I I I I I I I N. SCAD.
Aldo Palazzeschi DUE IMPERI ... MANCATI. Una dura requisitoria contro la guerra, da parte di un poeta reduce dalla prima guerra mondiale. pp. 192, Lire 15.000 Diane Weill-Ménard VITA E TEMPI DI GIOVANNI PIRELLI ·La biografia di un intellettuale atipico: i suoi dilemmi e le sue scelte politiche e culturali. pp. 192, Lire 15.000 Gaetano Salvemini I PARTITI POLITICI MILANESI NEL SECOLO XIX. I saggi e gli interventi di un grande storico su un passato che può contribuire a spiegare il nostro presente. pp. 224, Lire 15.000 GLI ARATORI DEL VULCANO Razzismo e antisemitismo, a cura di Alberto Cavaglion Saggi e interventi di: Anders, Calvino, Cases, Cavaglion, Debenedetti, Flaiano, Forster, Giacchè, Leo Levi, Pasquali, Pea, Pera, Saba, Enzo Sereni, Vidal-Naquet. pp. 208, Lire 15.000 Piero Calamandrei UOMINI E CITTÀ DELLA RESISTENZA La Resistenza come lotta di liberazione e lotta di popolo, nei discorsi e nelle commemorazioni di un grande giurista. pp. 238, Lire 15.000 Riccardo Bauer LA GUERRA NON HA FUTURO Saggi di educazione alla pace: le tattiche e le strategie, le tecniche e gli strumenti per costruire insieme un mondo meno intollerante. A cura di Arturo Colombo e Franco Mereghetti. pp.128, Lire 12.000 Salman Rushdie ILMAGODIOZ Un grande scrittore analizza e discute un classico del cinema musicale e fiabesco. pp. 96, Lire 12.000 Soren Kierkegaard BREVIARIO L'etico, l'estetico, il religioso: alle origini dell'esistenzialismo. A cura di Max Bense. pp. 96, Lire 12.000 PER ELSA MORANTE La narrativa, la poesia e le idee di uno dei maggiori scrittori del '900. Parlano: Agamben, Berardinelli, Bettin, Bompiani, D'Angeli, Ferroni, Garbali, Leonelli, Lollesgaard, Magrini, Onofri, Pontremoli, Ramondino, Rosa, Scarpa, Serpa, Sinibaldi. pp. 272, Lire 15.000 SCRITTORI PER UN SECOLO 151 fotoritratti e 104 fotografie di contesto storico e biografico a cura di Goffredo Fofi e Giovanni Giovannetti. pp. 338, Lire 18.000 ------------------------------------ I volumi sono distribuiti nelle migliori librerie dalla Giunti di Firenze. Per riceverli a casa inviare (anche per fax al n. 02-6691299) questa cedola compilata in tutte le sue parti COGNOME---------------- INDIRIZZO NOME------------------- CAP -------- CITTÀ PROFESSIONE ________________________ _ ETÀ VOGLIATE INVIARE I SEGUENTI VOLUMI--------------------------- Indico le modalità di pagamento (senza aggiunta di spese postali) O Assegno (bancario o postale n. _________ _ banca--------- in busta chiusa) O Avvenuto pagamento su c/c postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra in data ___________ _ O Vi autorizzo ad addebitarmi la cifra di L._____ su carta di credito n. _________ scad. __ _ O Carta O Sì O Visa O Mastercard O Eurocard intestata a --------------------- Firma L--------------------------------------~
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Progetto grafico: Andrea Rauch/Graphiti Redazione: Lieselotte Longato Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Pinuccia Ferrari Produzione: Emanuela Re Amministrazione e abbonamenti: Patrizia Brogi Hanno contribuito alla preparazione di questo numero: Mario Bracciali, Giovanna Busacca, Paola Concari, Barbara Galla, Michele Neri, Claudio Poeta, Marco Antonio Sannella, Nicola Savarese, Barbara Verduci, la casa deditrice e/o, le agenzie fotografiche Contrasto, Effigie e Grazia Neri. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl - Via Gaffurio 4 20 I24 Milano Tel. 02/6691132. Fax: 6691299 Distrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Tel. 02/8467545-8464950 Distrib. librerie PDE- Viale Manfredo Fanti 91, 50137 Firenze -Tel. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Rossini 30 Trezzano SIN - Tel. 02/48403085 LINEA D'OMBRA Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo III/70%-Numero96-Lire9.000 UNEDA'OMBRA anno XII settembre 1994 numero 96 IL CONTESTO 4 5 8 9 Il Goffredo Fofi Marino Sinibaldi Goffredo Fofi Luigi Bobbio Saverio Esposito STORIE I2 Carlos Fuentes CONFRONTI ----~- 24 Pietro Polito 26 Paolo Bertinetti 27 Ermanno Vitale 29 Roberto Koch 56 Alfonso Berardinelli 61 Filippo La Porta 63 George Banu 64 Alberto Saibene 66 Marisa Caramella INCONTRI Paolo Volponi e la fine del mondo Italia '94: scene da un patrimonio I molti re nudi di una repubblica in mutande Identità e diversità. Su un libro di Levi Della Torre Messico '94: un sistema in crisi La festa della mamma con una nota di Fabio Rodr{guez Amaya L'obiezione di coscienza. Storia e problemi Africa, senza mito Una nuova rivista: "Ragion pratica" Mario Leone, fotografo della memoria Francesco Orlando e l'inconscio della teoria Geno Pampaloni, inaffidabile e malinconico L'amico galileiano. Ricordo di Bernard Dort Sport e letteratura. Leggere Gianni Brera ·L'Italia di Fiorello, l'Italia di Berlusconi --------------------------------~ 32 Francesco Biamonti 5I William Least Heat-Moon POST-MODERNIUSA 35 Filippo La Porta 36 Robert Coover 38 loseph McElroy 40 44 Bruce Sterling 46 Daniela Daniele 49 Bruno Falcetto Un bilancio tra cielo e mare a cura di Erminio Ferrari Traversate ed esplorazioni a cura di Marisa Caramella Letteratura e nuove tecnologie Lo scenario futuribile Incontro con Andrea Carosso Cervelli in orbita Incontro con Daniela Daniele Anima notturna. Un racconto Il computer e la riproduzione Incontro con Filippo La Porta Universo elettronico Gibson, dopo la trilogia PRAGAAL TEMPODI STALIN 67 68 70 72 75 76 Dario Massimi Bohumil Hrabal Egon Bondy Vladim{r Boudn{k Ivo Vodseddlek ------------------~-~ I figli di Svejk In birreria A J.V. Stalin e altre poesie Plastic people e fratelli invalidi Incontro con Andrea Ferrario e Bruno Ventavoli La nave Il ritorno La copertina di questo numero è di Franco Matticchio. Abbonamento annuale: ITALIA L. 85.000, ESTERO L. 100.000 a mezzo assegno bancario o c/c postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra o tramite carta di credito SI. I manoscritti non vengono restituiti. Si pubblicano poesie solo su richiesta. Dei testi di cui non siamo in grado di rintracciare gli aventi diritto, ci dichiariamo pronti a ottemperare agli obblighi relativi.
4 MEMORIA PAOLOVOLPONI ELAFINEDELMONDO GoffredoFofi La letteratura italiana del '900 è stata una grande letteratura. Ha dato autori e opere grandissimi, seconda in Europa solo alla russa e ali' inglese. , Molti suoi rappresentanti sono scomparsi nell'ultimo decennio; il numero dei grandi si è assottigliato rapidamente, e via via sta esaurendosi. Ci restavano due o tre grandi narratori, e alcuni poeti. Ora che anche Volponi se ne è andato, ci sentiamo davvero orfani di una grande stagione, che ha dato figure umane diversissime tra Foto di Giovanni Giovannetti. loro, diverse anche nel modo di intendere la letteratura, la scrittura, e diversamente coinvolte nei conflitti che hanno segnato la nostra storia. Paolo Volponi era davvero un uomo non comune. Urbinate, grande intenditore d'arte (soprattutto del Seicento, il secolo in cui, diceva, il romanzo dell'Italia è stato la pittura, e mai pittura è stata più narrativa di quella), la sua "strada per Roma" fu subito una strada più complessa di quella di tante altre biografie del suo tempo, e fu una strada "italiana". Essa lo portò dapprima a dedicarsi al "lavoro sociale" nel Sud (e mi capitò a non molti anni di distanza di ripercorrere, dedito a imprese simili, molte delle sue tracce, sentendo storie del suo passaggio da persone che l'avevano conosciuto) e poi, tramite la conoscenza e l'amicizia di Adriano 01 ivetti -eccezionale individuatore di talenti e suscitatore di energie-, al Nord dell' industria. In entrambi i casi lo muoveva una tensione utopica che sembrava però saldamente radicata in ideali di misura e di armonia, che nascevano dalla sua Urbino, e dal suo Rinascimento. Quando !'Olivetti aveva in uso di stampare bellissimi calendari "pubblicitari", con riproduzioni ogni anno di un pittore diverso, scelti tra quelli- sospetto -più amati da Adriano, il primo di cui ho memoria fu pieno delle nitide scene senesi del Buongoverno di Lorenzetti. In quante case di piccoli e grandi "riformatori" di allora mi capitò di vederle, e in quanti centri sociali o luoghi pubblici "nostri" spesso ritagliate e incollate su tavolette di compensato! Ecco, nella tensione positiva come nella furia da delusione di Volponi, c'era il sogno (I' utopia) del buongoverno. Lui che non era stato comunista, credette di doverlo diventare da vecchio, e si spinse fino a elogiare il governo brezneviano, certamente pessimo, si spinse fino ad aderire aRifondazione, una forza cettamente nostalgica di qualcosa che non c'è mai stato o che ha dato di sé pessime prove. Effetto di delusione. La sua opera racconta, in definitiva, l'Italia che avrebbe potuto entrare nella razionalità di un nuovo rapporto tra campagna e industria, di un nuovo modello di "città", e non lo ha fatto, non ha voluto farlo. Non ha voluto farlo, in prima istanza, la sua borghesia, per la quale, di conseguenza, Volponi covò una sacrosanta aggressività. Volponi parlava spesso del modo in cui la Confindustria aveva, nel pieno del boom, quando una congiuntura economica estremamente favorevole avrebbe permesso le riforme più ardite, silurato Olivetti, eletto transitoriamente e brevemente alla sua testa. La fabbrica aperta, la fabbrica illuminata, e la conseguente polis di cui doveva essere il fulcro e il motore, fu un'utopia in cui non fu solo Volponi a credere, ma in nessuno scrittore italiano la caduta di quel sogno fu altrettanto lucidamente avvertita. Corporale, nel '74, fu il romanzo affascinante e fluviale, barocco e esplosivo, sensuale e violento, incontrollato e grandioso che meglio di ogni altro ha raccontato quel crollo, nel contesto bensì mondiale dei massimi problemi che la inquieta coscienza dell'epoca poneva- tra povertà e benessere, tra paura atomica e mutazione antropologica. Quindici anni dopo, Le mosche del capitale riusciva solo in parte a render conto di cosa era ancora accaduto, benché formidabile nella partecipazione dolorosa o alienata di elementi non umani all'immane disastro. Grandi romanzi Volponi ne ha scritti anche altri: Memoriale, o della nevrosi di un operaio; La macchina mondiale, o della "nevrosi" di un contadino visionario, fuori dall'ordine del moderno; Il sipario ducale, o del '68 in provincia; Il pianeta irritabile, o del mondo dopo la fine del mondo, che torna al primitivo e all'animale per salvarsi e ricominciare; eccetera. Il tema della fine del mondo, è lui ad averlo affrontato, in Italia, con più esplosiva coerenza di qualsiasi altro scrittore. Fine del mondo, o fine del proprio mondo: per una o due generazione di scrittori italiani, questo tema è diventato centrale con la radicale trasformazione del boom, quando l'Italia ca!'Ilbiòcosì çlrasticamente da risultare, per chi era cresciuto nell'altra e aveva sognato ben altra modernità, irriconoscibile. Non è un caso che sia stato Pasolini - che con Volponi ebbe un rapporto fraterno, un sodalizio almeno altrettanto intenso di quello con la Morante - a denunciare questa mutazione con la testarda coscienza di una irrimediabile rovina. Ma anche Fellini (da La dolce vita a La vocedellaluna),Zanzotto, Casso la e Bianciardi, e tanti altri "in contemporanea", e infine anche la Morante (Aracoeli), la Ortese (Il cardillo ), perfino il Calvino ultimo (Palomar) che aveva voluto difendere la razionalità dello sguardo e della riflessione contro ogni sospetto di turgore passionale e viscerale (e, va detto, Volponi non amava Calvino, e forse Calvino non amava Volponi) hanno raccontato "la fine del mondo", un'apocalisse nostra, italica, che diventava rapidamente del globo, del mondo. Volponi vi metteva di suo un sordo risentimento, una visionaria insoddisfazione. La sua prosa scivola spesso nel fantastico (Il pianeta irritabile è anche una specie di grande fumetto postmoderno, colorato ed estroso, è un libro di fantascienza proprio insolito per le nostre lettere e la loro centralità dell'umano), è visionaria, è violenta, ma con squarci di sublime misura, nostalgica o immaginosa descrizione della possibile compenetrazione del reale, dell'incontro tra uomo e natura, tra natura e civiltà. È una prosa che scivola facilmente nella poesia, dotata di un ritmo da antica declamazione civile; ma la sua poesia, allo stesso modo, scivola facilmente nella prosa, è dotata di una interna esigenza narrativa. Tra armonia e disordine. Tra sogno, utopia, nostalgia e dolore, rabbia, rivolta. Uomo scontento e irrequieto, Volponi era "irritabile" come il suo pianeta: ma l'irritabilità, spiega il romanzo, è un carattere fisico invidiabile, è la reattività agli elementi, ed era in lui la reazione alla deturpazione del mondo e dell'uomo, e del paese Italia, perseguita da un potere osceno e irrazionale, distruttivo e criminale.
ITALIARICCA ITALIA'94: SCENEDA UN PATRIMONIO MarinoSinibaldi Al di là delle apparenze, nel corso di questi mesi in Italia sta progredendo a passi da gigante la formazione, attorno al governo Berlusconi, di una compiuta cultura di destra, dalle notevoli capacità egemoniche e con una coerenza e una compattezza che la rendono fin d'ora una potenziale cultura di regime. Efficace, solida, duratura. Le apparenze oltre le quali bisogna andare per afferrare questo processo sono rappresentate dalle turbolenze politiche, dalle divisioni e le risse interne alla nuova maggioranza. Segnali significativi del la bassa qualità delle forze e dei personaggi che stanno governando I'!tal ia, ma strategicamente poco 1ilevanti. Oltre alle contingenze e le convenienze che obbligano i partner della maggioranza a convivere, bisogna tener presente che, a differenza delle sinistre, la destra ha infinitamente meno problemi di coerenza tra valori di fondo e comportamenti politici, tra affermazioni "ideali" e scelte di governo. Non patisce, cioè, quella radicale contraddizione che ha reso, lungo tutto questo secolo, la sinistra debole e incerta anche dove ha vinto, più o meno provvisoriamente, più o meno gloriosamente. Benché schematica, questa constatazione può aiutare a non dare troppo peso ai contrasti interni al polo di governo. Del resto essi sono in un certo senso proprio le prove dell'esistenza della destra e del fatto che questa apprutenenza segna una divisione decisiva: cosa terrebbe altrimenti insieme nazionalisti e ultrafederalisti, statalisti e localisti, laicie bigotti, intregalisti e secolarizzati, supermodemizzat01i e conservatori, reazionari e populisti? Benché amare, le recenti vicende italiane hanno almeno il merito di rendere bruscamente e definitivamente superflue tante perplessità e tante controversie sulla attuale permanenza delle antiche dicotomie politico-culturali. È proprio in quel campo che in questi mesi si sta compiendo il passaggio da una aggregazione di forze e interessi differenti, animati da una specie di spontanea combinazione di demagogia populista e continuità trasformista, a qualcosa di diverso, di più stabile e radicato. Questa parabola comporta la diffusione di una nuova cultura, i cui elementi principali si possono già intravedere. Un primo passaggio di questo processo consiste nell'abile gestione di una preziosa eredità. In questi mesi sono infatti tornati vistosamente a galla - rivalutati, rivendicati e, per così dire, nobilitati dall'alto - tendenze e valori che si erano affermati nell'Italia degli anni Ottanta: la rivincita privatista, le varie forme di deregulation legislativa ed etica, l'egotismo individualista e corporativo, la spettacolarizzazione consumista, insomma, tutta quella subcultura craxiana che per un breve illusorio momento abbiamo creduta scompaginata all'inizio degli anni Novanta. In realtà già qualche tempo prima delle elezioni (v. "Linea d'ombra" n. 91) era facile prevedere come quella eredità potesse costituire una solida base di consenso per la coalizione di destra. E solo l'euforica superficialità progressista impediva di comprendere come molti elementi di quella cultura resistessero a Tangentopoli, fino a uscirne per certi versi rivitalizzati, dimostrando proprio in quella tempesta etico-giuridica la loro inestirpabilità: saldano infatti atteggiamenti e umori storicamente sedimentati nel carattere nazionale degli italiani con spregiudicati comportamenti postmoderni, limpidamente economici e "produttivi". La rivendicazione berlusconiana di quei valori è manifesta e ripetuta, fonda le principali iniziative della nuova maggioranza (il condono edilizio e quello fiscale, il declino della legislazione antiinquinamentoe lo smantellamento delle regole sugli appalti), ha il sapore di una forte affermazione ideologica. Comporta naturalmente qualche rischio, come nel caso del decreto Biondi, che però ha messo in luce un elemento per nulla secondario di un nuovo stile culturale: una sorta di sbrigativa arroganza che rimanda a una conclamata intenzione politica (farla finita col "consociativismo", parola-chiave che nella interpretazione prevalente coincide praticamente con l'accettazione dei principi della democrazia parlamentare) ma ancora di più a un importante tratto psicologico: una bramosia di rivincita che è curiosamente germogliata in ceti e gruppi mai sconfitti, ma a tal punto scandalizzati dal rischio di esserlo da elaborare, con una sorta di perversa buona fede, questa singolare sindrome. Ma è insomma per aver sfidato una memoria troppo recente, toccando ferite ancora aperte, che il decreto Biondi ha avuto il destino che sappiamo: l'errore è stata la pretesa di affrettare i tempi fisiologici dei mutamenti di opinione e di sensibilità. Non c'è dubbio che se la progressione di una cultura di destra di massa continuerà, si affermerà anche quell'elemento ideologico che stava dietro quel tentativo, ossia la depenalizzazione di comportamenti scorretti dal punto di vista economico e corrotti socialmente. Esso rappresenta infatti un fattoredecisivodellaculturadi destra in ascesa, che percepisce i legami collettivi e la lealtà pubblica come obblighi fastidiosi e inutili. Questo vale naturalmente per molte delle dimensioni solidali della vita associata, ma ancora più direttamente per tutti quei vincoli che condizionano l'iniziativa privata e i suoi movimenti, che la costringono a compatibilità e limiti di vario tipo, da quelli epocali e planetari dell'ambiente in giù. Allo spirito di destra appare insomma irragionevole e illegittimo che la legge·e la morale pubblica colpiscano quelli che appaiono come comportamenti economicamente produttivi, cioè in grado di accrescere la ricchezza. Vecchio pregiudizio liberista, munito però oggi di una nuova forza ideologica e pratica, di una capacità di attirare e motivare il consenso di massa. Una società che economicamente non concepisce altri obiettivi che l'aumento dei beni e dei consumi, che culturalmente celebra la sacralità del denaro e del successo, che esistenzialmente non concepisce altre forme di Fotodi De Pasquale/ Carino/ Contrasto.
6 Il ALIARICCA felicità pubblica e privata che non consistano nella ricchezza materiale, non può, obiettivamente, accettare rigidi vincoli etici e giuridici. Da questo punto di vista siamo anche in grado di giudicare meglio quanto è accaduto in Italia nel periodo alle nostre spalle; e di liquidare l'idea ingenua di una indolore rivoluzione etica con i giudici di Mani Pulite per avanguardia e la rivolta antipartitocratica come contenuto. Se unarivoluzionec' è stata, è quella antropologica iniziata negli anni Ottanta che dopo le mezze vittorie e le ritirate craxiane, è oggi a un passo dal trionfo. In questo senso, l'esplosione di Tangentopoli non è stato altro che l'accesso di febbre che segnalava la profondità del cambiamento e la reazione di rigetto che non poteva non suscitare in settori della società anche rilevanti ma inevitabilmente minoritari, ossia incapaci di aggregare uno stabile consenso di massa. Esito, credo, non provvisorio. All'appropriazione e all'esaltazione di quella eredità, la destra al governo sta affiancando altri elementi sparsi, disomogenei, a volte improvvisati e più o meno innovativi, che però costituiscono l'accumulo necessario di messaggi e valori da cui sta già nascendo una nuova cultura di massa. L'idea progressista che tutto questo fosse un deja vu, che si trattasse dell'ultima incarnazione del neoliberismo alla Thatcher o alla Reagan, anacronistica e perciò stesso meno pericolosa, è frutto di un errore e un'illusione. L'illusione sta nel fatto che il neoliberalismo degli anni Ottanta non è una parentesi storica o una reazione effimera, ma è il segno dell'emergere potente di nuovi valori e nuove culture, prodotte da trasformazioni materiali e mentali formidabili, destinate a determinare ilnuovo terreno delle contraddizioni e dei conflitti; ma che da subito spostano nettamente i rapporti di forza tra classi, gruppi, popoli e culture diverse. L'errore più grave è stato nell'incapacità di articolare analisi e risposte al fatto che in Italia avveniva qualcosa di diverso e innovativo rispetto alloscenario neoliberista. Non so se, come è stato scritto fuori d'Italia, "Berlusconi sarà il Kerenskij del nuovo fascismo europeo" (perché Kerenskij, poi, e non direttamente Lenin?). Certo, "il colpo di stato mediatico" (altra definizione nata fuori dai confini nazionali) inaugura un'era nuova che però - secondo uno schema che vale per molti elementi della nuova cultura di destra - è innanzitutto il compimento, la realizzazione di quello che gli anni Ottanta annunciavano. Già Kurt Vonnegut commentava l'elezione di Reagan con una domanda spettacolare: "Chi chiamereste a girare una scena in cui l'eroe guida una slitta sotto una finta tempesta di neve?". Oggi in Italia quel processo si realizza. per così dire materializzandosi; se Reagan era il simulacro dell'America degli anni Ottanta, Berlusconi è la realtà dell'Italia a metà degli anni Novanta. La cultura che incarna può attirare consensi non solo di immagine come a marzo - in quanto esibisce interessi e valori ampiamente diffusi e popolari. Anche perché poco complicati, in grado di determinare facili identificazioni: uno Stato (un pubblico) meno esigente, non solo fiscalmente ma anche dal punto di vista delle leggi e della morale, della richiesta cioè di comportamenti compatibili dal punto di vista collettivo; perbenismo moralista, invece, su alcuni principi, anche per compensare sul terreno dell'ordine quella mancanza di sicurezza prodotta dalla deregulation economica, garanzia forte di ogni dimensione privata e familiare, a cominciare dalla proprietà in senso lato (compresi i figli e la loro educazione, per esempio); nessun arretramento, fin quando è possibile, sul terreno dei consumi e degli standard di vita, comunqi1e, in cambio, profluvio di buoni sentimenti, adeguatamente spettacolarizzati. E così via. Il sogno miracoloso additato da Berlusconi in campagna elettorale non è in fondo molto più di questa miscela, convenzionale e innovativa insieme. Tanto funzionale, comunque, da sembrare ricalcata sulla smarrita Italia di questa fine secolo; al punto che, quando l'epicentro onirico e delirante del messaggio elettorale, il mitico milione di posti di lavoro, lentamente svanirà, le ripercussioni sulla fiducia e l'identificazione di massa non saranno immense. Al cuore di questa miscela c'è un motivo che sintetizza tutti gli altri, che li riassume e li rappresenta simbolicamente: è il nodo del denaro. La centralità di questo valore sembra caratterizzare tutte le proposte e le idee del governo, orienta più o meno visibilmente le sue scelte e spiega le sue iniziative, soprattutto quelle più significative e controverse che si sono già accennate. Ma è anche l'unico tratto culturalmente unificante della nuova classe dirigente (per rendersene conto, basta leggere le biografie degli eletti di Forza Italia, incredibilmente uniformi da un unico punto di vista: quello del censo). Non che questa cultura del denaro sia un'esclusiva del nuovo governo e una novità assoluta nella storia italiana. Nonostante capiti ancora di leggere banalità e deformazioni sulla diffidenza verso la ricchezza materiale delle principali culture italiane, va ricordato che la sinistra ha in realtà sofferto una imbarazzante subalternità a quei valori; dato che spiega il regolare fallimento di ogni esperienza alternativa sul piano economico, produttivo, dei comportamenti e dei consumi, dai grandi progetti sindacali di partecipazion_ee cogestione alla minima esperienza comunitaria. Per quanto riguarda poi la Chiesa Cattolica, si potrebbe sommessamente ricordare che ha affrontato il piùgrandescontroescismadella sua storia per ribadire il proprio diritto a monetizzare il sacro: ma anche restringendo la prospettiva, la storia dei cattolici italiani del dopoguerra, dall'immobiliare allo lor, è tutto un intreccio di politica e affari in nome del potere e del denaro. Anche su questo piano la novità è dunque relativa. Ma questo è un motivo di forza e non di debolezza per la nuova cultura di destra, perché lega l'emergere di nuovi comportamenti alla profondità del carattere e dell'esperienza storica degli italiani. E permette alla discontinuità politica di trarre forza dalla continuità morale e culturale. Consente, per esempio, al motivo della ricchezza di essere oggi così vistosamente esibito. E anche se la novità fosse solo questa - che cioè gli italiani in passato segretamente ossessionati dal possesso di beni e denaro oggi si sentano liberi di manifestare questa inclinazione- il mutamento sarebbe culturalmente decisivo. Così I' assolutamente vecchio e il moderatamente nuovo che senza sforzo convivono nella cultura di destra appaiono egualmente significativi e pericolosi. Può darsi che il futuro economico della nostra società non consenta a tutti gli italiani di esaudire questa aspirazione alla ricchezza, come invece è avvenuto negli anni Ottanta, nei modi diseguali ma diffusi che conosciamo. Ma se verrà davvero il momento delle rotture e dei sacrifici, c'è un altro elemento caratterizzante la nuova cultura di destra che è pronto ad affermarsi come centrale e che già si manifesta nella più volte dichiarata avversione per quell'insieme di pratiche di governo e di consenso che si riassumono nella parola mediazione. Qui la novità culturale e politica sarebbe davvero significativa. In Italia più che altrove, governare ha significato mediare, cercare la composizione tra interessi differenti, conciliare attese e rivendicazioni opposte, garantire la coesistenza di diversi valori. Ora, non solo la cultura autoritaria tradizionale, ma anche quella aziendalista e quella liberalpopulista che convivono nella coalizione di governo sono costituzionalmente aliene da quella pratica - dei cui infelici esiti non importa qui discutere. C'è chi vede nella non volontà a perpetuare questa ambigua virtù un limite e una debolezza della nuova cultura di governo. Ma a parte che la figura di Berlusconi sembra volersi porre proprio come elemento di rassicurazione generale, in una sorta di mediazione
carismatica e personalistica che allarga le dimensioni del consenso, c'è un evento più generale che va tenuto presente. La crisi dei grandi sistemi democratici denuncia proprio l'esaurimento dei tradizionali meccanismi di mediazione, il progressivo indebolimento delle sedi e le figure protagoniste di quel processo, a partire dalla classe operaia e dai sindacati. Cosicché il problema della mediazione si sposta dal piano sociale a quello istituzionale, verso ordini e poteri come la magistratura o la Banca d'Italia. Le continue minacce ali' autonomia di queste istituzioni mettono in luce una dimensione della nuova cultura di destra che ancora una volta salda elementi tradizionali (una concezione organicistica e totalitaria, anche quando non centralistica) con inedite spregiudicatezze che rinviano a quella insofferenza di fondo verso i vincoli, i confini, le demarcazioni: verso tutto ciò che insomma pare complicare il modello di riferimento, quello dell'azienda e della proprietà di cui si dispone liberamente e senza limiti. Ma c'è anche un aspetto minimo, saldamente insediato nella microfisica della vita sociale, che mostra come il declino dello spirito di mediazione-che consiste nella consapevolezza dei limiti dei propri privati interessi e nel rispetto per i diritti e gli interessi altrui - sia un tratto culturalmente decisivo di questa fine secolo. In fondo, quella incerta virtù che chiamiamo "buona educazione" consiste soprattutto in una minima, diffusa, istintiva attività di mediazione. La sua scomparsa - lamentata con toni spesso insopportabili, ma che è un fenomeno reale, l'emergere di quella sorta di odio sociale continuo e indiscriminato che alimenta indifferentemente il teppismo negli stadi e la prepotenza nel traffico, i sassi dai cavalcavia e gli incendi dolosi, la violenza xenofoba e la volgarità campanilistica, sono i segnali più attendibili della impopolarità sociale della mediazione. Una nuova cultura di massa nasce proprio dall'incontro tra queste tendenze sociali e una pratica politica che pare condividerne i principi e lo stile. E la nuova destra deriva da questi processi sociali profondi i propri elementi ideologici. In fondo la rivendicazione continuamente agitata del diritto pieno a governare pare definirsi per analogia al potere illimitato di disporre del prop1iodiritto di proprietà, di possedere beni privati e perseguire fini individuali. Concezione anch'essa in grado di attirare consenso per un duplice ordine di motivi, perché gratifica quelle che sono le inclinazione eterne della vita pubblica italiana e perché pare registrare il fallimento della nostra peculiare forma di mediazione sociale, ossia lo Stato assistenziale. Anche qui, dunque, breve periodo e lungo periodo sembrano congiurare nel dare forza e legittimità ai principali elementi costitutivi di una nuova cultura di destra. Il consenso a quei valori privatisti e familisti, di spregiudicatezza individuale e deresponsabilizzazione sociale non è mai mancato, nella storia italiana. Ma la possibilità di esaltarli fino a renderli fondamentali nella costruzione di una nuova cultura di massa deriva da due fattori. Il primo è il processo materiale che ha disintegrato le antiche identità e fedeltà e ne ha create di nuove, che ha prodotto un blocco di interessi, di ceti, di sparse figure sociali che trovano stimolanti o anche solo rassicuranti quei valori - modernissimi, dunque, al di là della loro ancestralità. In secondo luogo, lo smarrimento, il vuoto, l'angoscia per il futuro che dominano oggi gli italiani-di cui lo straordinario declino demografico sembra, anche a non volerlo drammatizzare, la segnalazione più eloquente - quell'incertezza materiale e morale che rende così sfuggente il profilo di questo paese, trova in alcuni di quei valori l'unica nota di speranuiedi conforto. Non èquiil luogo per provare a capire perché valori diversi non sono in grado di raggiungere lo stesso risultato, e nemmeno it:nportadimostrare I' i I lusorietà di quella identificazione. Quello che conta, oggi, è che funziona, ha una sua stabilità e ITALIARICCA 7 razionalità ed è per questo adeguata a costituire il fondamento di una nuova cultura di destra di massa. A proposito della quale va accennata a questo punto un' avvertenza. Si è ragionato fin qui su segnali, indizi, tendenze. Perché si consolidino in una nuova cultura-esattamente come perché dal Buon Governo nasca un regime - occorrono altri fattori, il principale dei quali è il tempo. Non molto, però, e questo lascia spazi ridotti (e responsabilità enormi) a chi vuole combattere quel processo e quei valori. Ci sono, per esempio, i tempi brevi e almeno in parte imprevedibili della politica. Può darsi che su quel nervoso terreno la destra si incagli e registri qualche temporanea difficoltà. Essendo in Italia la politica una dimensione pervasiva e poco autonoma dal resto, questo ostacolerebbe anche il processo più lento e profondo di formazione di una nuova cultura di destra. Ma qui siamo appunto alla superficie oltre la quale bisogna cercare di andare per capire cosa sta davvero accadendo. E allora penso che anche quando il matrimonio politico da cui è nata la nuova destra italiana sembra vacillare, c'è un patrimonio ben più consistente e decisivo che la moti va e che è destinato a compattarla. Quel patrimonio-e possiamo utilmente intendere questa parola nel suo doppio senso, quello più angusto di beni, ricchezze, interessi e quello più ampio, come insieme di idee e valori-è già disponibile: è il frutto della storia italiana più antica e più recente. Nulla di più facile che trasformarlo nella resistente e duratura cultura di un nuovo regime. GIUNTI
8 ITALIA RICCA I MOLTIRENUDI DI UNA REPUBBLICAIN MUTANDE GoffredoFofi Facciamo un piccolo paragone irrispettoso. Tra gli spot antiBerlusconi proposti da alcuni ottimi giovani registi nostri subito prima delle elezioni e il libro di Corrias, Gramellini e Maltese 1994: Colpogrosso (Baldini &CastoIdi, giugno '94, e ladata è_im~~rtante, perché questo pamphlet è uscito quando sembrava che _il Fu:11~vestReich sarebbe stato almeno decennale). Da una parte (1reg1st1,una cultura di sinistra degna e, si pensava, anche smaliziata, dotata di una sua saggezza o esperienza) si gridava al fantasma, lo si agitava spaventati e spaventando; dall'altra (tre giornalisti più o meno della stessa generazione, venienti da una cultura simile, ma dal!' esperienza come dire del cinismo istituzionalizzato che è tipico del nostro gi~malismo ~ronto a tutto e capace di tutto) si è cercato di guardare cosa c'era sotto il lenzuolo. Lasciamo stare che, elettoralmente, è importante indicare afavore di cosa votare, e le ultime elezioni più ancora delle tante precedenti sono state, a sinistra, l'ennesimo invito a votare contro i cattivi ma senza indicare dei buoni convincenti, senza indicare di positivo alcunché, e con i "buoni" più che mai privi di idee e di identità, cioè di analisi e di progetto. Lasciamo anche stare che si è davvero stanchi di soggiacere al ricatto del lupo. Stavolta, per esempio, che il lupo poteva vincere lo avevamo più chiaro e da più tempo noi, miseri viaggiatori di un'Italia "unta e grassa" e fioreIliana portati a osservare il livello della celebre mutazione con più dati e dolore dei sedentari burocrati dei media, della politica e della spiritosa cultura residuale di storia catto-comunista (anche quando spregiudicatissimamente laicizzata nei fatti). La bruciante sconfitta che hari-regalato il paese alla destra, dopo anni d'intruglio e scambio e compromesso tra Dc-Pci e Dc-Psi, ha Foto di Scottolon/ Contrasto avuto se non altro l'effetto positivo di mettere sotto gli occhi di tutti la grande miseria della sinistra - anche se per un breve tempo, ché la sua falsa coscienza ha dalla sua armi invero straordinarie di autocompiacimento e auto-mistificazione. Si sperava e si continua ancora a sperare che la lezione fosse foriera di trasformazioni, di "prese di coscienza", mentre si è assistito a nuovi veloci piani di nuovi consociativismi tra nuove forze mutuate dal disastro delle vecchie, oppure a nuove muscolari manifestazioni da parte di sotto-~orporazioni incazzose, nostalgiche di rosse identità e preoccupate di perdere piccoli privilegi (ma anche, in alcuni casi, grand!)- . Per fortuna, come sempre, è la grande m1sena della destra (culturalmente non meglio messa della sinistra! e ave~~ealla_base strati sociali molto unificati, gli stessi che reggono le politiche d1tutte le parti) a salvare la sinistra. Ma può davvero la loro pochezza giustificare la nostra? Nel libro dei tre giornalisti de "La Stampa", si assiste a una efficacissima ricostruzione alla "Stranamore", feroce e beffarda, senza buona educazione e senza remissione, e per di più - pregio di onestà rarissimo, che va apprezzato quanto merita - senza miti a sinistra così come non ne ha a destra. Le pagine sulla sinistra non sono meno crudeli di quelle sulla destra e se il "re è nudo" ( ma i re sono sempre nudi, anche quelli repubblicani) anche l'opposizione non scherza, sbracata e paperina, pomposamente spompata, un ceto dirigente di avvilente povertà morale e intellettuale. Se l'estate ci ha regalato l'auto-smontaggio del fenomeno Berlusconi, se perfino i più beoti tra gli italiani che li hanno votati cominciano ad aver dubbi sui loro nuovi rappresentanti e non basta il potere televisivo a reggerne i risibili simulacri, la ramp_ant~meoalomania, la democratica trivialità, ciò che sembra annunc1ars1(una ~uova Dc e un nuovo Pc? magari nuovamente alleati contro il comune nemico?) non pare entusiasmante. Che Berlusconi duri o non duri, a farlo tremolare non sono certo i residui delle vecchie forze di potere che si ricostituiscono o la sinistra che cambia leader (o tantomeno manifestazioni "di massa" e rivolte "operaie"), ma la sua stessa insipienza e la preoccupazione che essa insipienza suscita nei grandi padroni, in quel pantheon dell'economia e della finanza che sa sempre far bene i propri interessi e preferisce da sempre governare per vie indirette, e scegliere, senza preoccuparsi di fedi ma attento al le pratiche, chi meglio corrisponde ai propri interessi e profitti. Sono i "mercati" a mettere in crisi Berlusconi e a mostrare la incapacità del!' armata Brancaleone che l'attornia. Come che vada, si è infine capito che Berlusconi non è demonizzabile più che tanto, un poveraccio con soldi che pensa si possa governare un paese con ! metodi con cui si amminist1-ai10televisioni e si manipolano messaggi pubblicitari. Resta estremamente significativo che lo si sia ~letto,_che sia così piaciuto a un'Italia o ipocrita o mascalzona o 1mbec11le, convinta bensì in tutti i casi della propria astuzia e lungimiranza. La sinistra ha tirato quest'estate un gran respiro di sollievo, e noi con essa, dentro di essa, ma un gran sospiro d'afflizione ci esce dal cuore a pensare alla sinistra, alla sua, di insipienza, alla sua, di malafede, alla sua, di mediocrità, alla sua, di povertà di analisi e incapacità di progetto. Come p1ima delle elezioni, l'unica risorsa che essa sembra avere è quella di legarsi al carro degli esperti e dei padroni, e degli esperti dei padroni; di lasciar loro (Ciampi o Andreatta o Prodi o altri non cambia) la direzione vera del paese, anzi di invocarla. Sarebbe, in ooni caso, il minore dei mali, dicono alcuni amici; mentre altri c~ntinuano, con testarda serietà, a difendere il poco di difendibile, a promuovere il poco di promuovibile, ad agitare coscienze e a costruire esperienze contando su minime forze e sulla capacità di stare nelle cose senza mentirle, e senza perder di vista un quadro d'insieme che sta tra il turpe e il farsesco.
CULTURA 9 ' ' IDENTITAEDIVERSITA SUUN LIBRODILEVIDELlATORRE LuigiRobbio Foto di Giovonni Giovonnetti Stefano Levi Della Torre è un ebreo arrivato all'ebraismo in età matura. Lo dice lui stesso nelle prime righe del suo libro, Mosaico. Attualità e inattualità degli ebrei (Rosenberg & Sellier, pp.177, lire 25.000): "Per me come per altri della mia generazione diffusamente secolarizzata, nata fortunosamente durante lo sterminio nazista o subito dopo, l'ascendenza ebraica era rimasta sullo sfondo, un blasone di scampato martirio e un insieme di sintomi, di storie e di lessici familiari, un retaggio delegato alla generazione dei padri e delle madri. Ma la loro morte ci ha posto di fronte alla scelta di assumere o noquell'eredità tramandata appena per cenni: ho dovuto mettermi a studiare, partendo da una fondamentale ignoranza. Ma non era solo questione di un'eredità peculiare; si entrava in un clima in cui ci si sentiva orfani delle ideologie e degli schieramenti politici che avevano orientato le identità personali e collettive per quasi un secolo, e il loro collasso spingeva alla ricerca di altri ancoraggi, di paradigmi più duraturi; l'ebraismo rappresentava una strategia culturale della durata" (p. 8). Questo tipo di percorso non è infrequente nella generazione che fu coinvolta nelle lotte politiche e sociali degli anni Sessanta e Settanta. Dopo una così lunga immersione nell'attualità con gli occhi puntati esclusivamente al futuro, a molti sembrò necessario rivolgere lo sguardo verso il passato, verso le radici o, se vogliamo, verso l'inattualità. In Stefano Levi Della Torre quest'operazione non ha alcun sapore consolatorio. Non cerca le radici come si cerca un rifugio, ma puttosto come un saltatore che prende la rincorsa o come un pittore che si allontana dal quadro per osservarlo con maggiore distacco.L'inattualità nonè un'alternativa all'attualità, ma l'unico strumento possibile per non lasciarsela sfuggire. I dieci saggi che sono raccolti in Mosaico propongono al lettore un vertiginoso (e affascinante) andirivieni tra la creazione del mondo e il mondo contemporaneo, tra il Sinai di Mosè e il Sinai del conflitto arabo-israeliano, tra teologia, storia e cronaca. Benché il filo conduttore del libro sia costituito dagli ebrei e dalla loro cultura, sarebbe improprio dire che è un libro "sugli ebrei" o "sull'ebraismo". È piuttosto l'offerta di uno sguardo ebraico sui grandi dilemmi del nostro mondo. Per dare un'idea del metodo e delle soluzioni proposte da Stefano Levi Della Torre mi limito a considerare un unico grappolo di questioni che ritorna frequentemente nel libro: il risorgere delle identità etniche e religiose dopo lo sfaldamento dell'universalismo illuministico occidentale. Devo però avvertire che il libro parla di molti altri argomenti e offre potenti suggestioni inmolte altre direzioni. Mi auguro, con questo breve commento, di invogliare i potenziali lettori ad accostarsi al testo per scoprire idee e percorsi diversi da quello a cui qui accenno. Uno dei temi che ricorre con molta insistenza nelle pagine del libro è ladissoluzionedell 'universalismo di stampo illuministico: la caduta degli imperi, la crisi degli stati nazionali, il fallimento delle élites modernizzanti nei paesi del Terzo Mondo, lo sfaldamento delle ideologie internazionaliste. Di fronte a questi fenomeni assistiamo a due tipi di reazioni: una reazione forte ma spaventosa, e una reazione rassicurante ma fragile. La prima reazione (forte, ma spaventosa) consiste nella rinascita delle identità etnico-religiose, che si accompagna a forme di aperta ostilità ed esclusione verso l'altro. È una risposta direttamente speculare al processo di modernizzazione: alla dilatazione degli spazi indotta dai mercati e dalle comunicazioni planetarie esso contrappone la delimitazione del territorio in nome della purezza e della riappropriazione; alla solidarietà orizzontale (siamo tutti frate! li, o proletari, o cittadini del mondo) contrappone la solidarietà verticale (coni propri antenati e i propri discendenti). La seconda reazione che, adifferenza della prima, è rassicurante ma purtroppo assai fragile, propone di superare l'omologazione uniersalistica attraverso la cultura delle differenze, l'accettazione della complessità e del pluralismo etnico e religioso; di sostituire relazioni reticolari alle tradizionali relazioni gerarchiche; di passare dal monoteismo (egualitario) al politeismo (delle differenze). L'approdo, spesso evocato, è quello della società multietnica in cui diverse tradizioni culturali imparino a convivere, rispettandosi reciprocamente, e a trarre frutto dalle rispettive diversità. La prima reazione tende a superare il vecchio paradigma creando nuovi centri perennemente in lotta gli uni contro gli altri. La seconda pensa piuttosto a una società senza centro, a una sorta di policentrismo armonico che appare tanto saggio quanto poco praticabile e comunicabile. Stefano Levi Della Torre ci propone di indagare questi rovelli
10 CULTURA del nostro tempo con l'occhio plurimillenario dell'ebraismo. La cultura ebraica ha infatti qualcosa di specifico da dire su questi temi. Essenzialmente per due motivi. L'ebraismo è innanzitutto una cultura specializzata nell'identità e nella conservazione della medesima. Può anzi vantare qualche punto in più, su questo specifico aspetto, rispetto ai (troppo) nuovi paladini dell'identità, siano essi serbi o arabi (per non parlare dei lumbard). Ed è quindi in grado di porsi in maggiore sintonia con le solidarietà verticali (o tra generazioni) proclamate dalle nuove identità etnico-religiose. Ma nello stesso tempo, e a differenza di queste ultime, è anche storicamente una cultura di minoranza, in quanto cultura elaborata da minoranze incuneate nel corpo di maggioranze ostili. È il punto di vista degli sconfitti (e non dei sopraffattori) e, insieme, una cultura decentrata elaborata in assenza di un centro, ma in una condizione di massima dispersione (la diaspora). L'ebraismo ha questo di particolare e, in fondo, di prezioso rispetto al nostro tempo: è stata una tradizione culturale abbastanza chiusa da mantenersi e da trasmettersi per millenni malgrado la dispersione, ma abbastanza aperta da adattarsi a contesti storici e geografici diversissimi e da riuscire a stabilire processi osmotici con le maggioranze ospitanti. Stefano Levi Della Torre mostra a questo proposito come esista una netta differenza tra il razzismo e l'antisemitismo (che pure sono accomunati da più di un aspetto). Il razzis_mo è la paura del diverso, dell'altro da noi. L'antisemitismo è viceversa la paura del simile a noi. L'ebreo fa tanta più paura in quanto è spesso indistinguibile da noi, parla la nostra stessa lingua e si rifà alle stesse scritture e allo stesso Dio. Il razzismo considera l'altro come essere inferiore. L'antisemitismo attribuisce viceversa ali' ebreo una straordinaria potenza, che è tanto più temibile in quanto occulta: gli ebrei per definizione non combattono ma complottano, come ben sa il ministro Clemente Mastella. L'antisemitismo in quanto odio per il simile (ma non abbastanza identico) assomiglia piuttosto alla misoginia: sia le donne che gli ebrei rappresentano infatti la frustrazione vivente e permanente della totalità (della società maschia e cristiana). E "spetta forse alle periferie ... rettificare le cose rivelando l'ovvio, cioè che la condizione a cui nessuno sfugge è l'essere parte tra parti" (p.103). La peculiarità dell'ebraismo, che ne ha permesso la sopravvivenza malgrado la diaspora, consiste per Stefano Levi Della Torre nella sua capacità di gravitare costantemente attorno a un centro che però rimane vuoto; che è un campo di forze non una "cosa": un Dio che si ritrae, non pronunciabile per nome e npn rappresentabile per immagine. Quando una "cosa" viene eretta al centro, ossia quando il centro viene riempito, ci troviamo di fronte a un fenomeno di idolatria. Non diverso era il messaggio di Marx che poneva al centro non una cosa (il capitale), ma una relazione di rapporti di produzione. L'elaborazione ebraica ci propone la necessità di un centro, che deve esserci pena il disorientamento, ma che non deve essere riempito pena l'idolatria, ossia il riferimento a un falso sostituto. Da questo punto di vista le nuove correnti etno-centriche hanno troppa fretta di sostituire le vecchie centralità con nuovi idoli, dimenticandosi di essere parte rispetto a un tutto, mentre i teorici della complessità e della differenza finiscono per smarrire il centro gravitazionale attorno a cui una società multietnica può stare in piedi. Le democrazie, osserva Levi Della Torre, "sembrano meno sicure dei regimi autoritari nell'erigere monumenti nelle piazze" (p.163) ma non dovrebbero per questo rinunciare alle piazze (o alle agorà) come luoghi centrali di relazione o punti di riferimento. Destra e sinistra in tutta Europa (e sicuramente in Italia) sono oggi agli antipodi sotto questo aspetto. Le destre tendono avidamente a fabbricare idoli, a personalizzare il potere, a restaurare monarchie decisioniste, a innalzare bandiere. Le sinistre, che in passato non erano state da meno ma che ora appaiono orfane di vecchie centralità smarrite, tendono piuttosto a illudersi sulla possibilità di una complessità reticolare senza centro. Il punto di vista ebraico di Stefano Levi Della Torre ci invita in sostanza a non liquidare troppo facilmente, in nome dei buoni sentimenti, le pulsioni razziste e fondamentaliste che agitano il mondo e a considerarle come spie di problemi che la modernità universalizzante ha lasciato aperti. E nello stesso tempo ci suggerisce di non sbarazzarci in modo troppo sbrigativo dell'idea della centralità, in nome della lotta ai falsi idoli del passato, fossero essi la classe operaia, lo stato o il partito. La lotta contro il fondamentalismo non può essere condotta negando alla radice i suoi presupposti, ma piuttosto mostrando che "lo specifico di ogni identità e di ogni cultura non sta in qualcosa di cristallino e coerente che la distingua dalle altre; sta invece nel peculiare modÒ di combinare, in un groviglio che le è proprio, elementi che sono presenti in ogni altra cultura e identità, perché sono comuni alla condizione umana. E questa più veritiera percezione di sé predispone alla simpatia e alla pace" (p.144).
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