Linea d'ombra - anno XII - n. 95 - lug./ago. 1994

94 STORIE/RABIE in altezza, di nuovo al di sopra delle grandi chiome che ci proteggevano. Quel rumore assordante si andava allontanando lento, solenne. Aprii gli occhi. Orlando lo aveva già fatto e mi guardava con una gioia infanti le negli occhi. Continuava ad indicare il cielo con le due dita separate, come se si trattasse di uno scongiuro per allontanare i demoni. Il tocotoco aveva ripreso la sua rotta incerta, perdendosi fra le nuvole. Quando tutto fu silenzio, pianto di colombe e picchiettio di uccelli, vidi che Orlando recuperava la sua abituale alterigia. "Rimetti la pistola nella fondina, Santos. La strada è lunga." disse. "Che è successo? Non siamo morti?" chiesi raggiungendolo. "Ci hanno annusato, ma non ci hanno visto." I battiti del cuore andavano recuperando il loro ritmo normale e la respirazione affannosa si trasformava in un lungo respiro. In quel momento seppi di aver goduto dell'unico gesto umano di Orlando durante tutta la campagna. La debolezza umana di tutti i valorosi di fronte alla morte. Di quelli che erano morti il giorno prima, posso dire che non ebbero il tempo di riconciliarsi con la vita. Cioè di assaporare opportunamente la propria morte. Copyright Dante Castro 1993. Jan Rabie ' SICCITA traduzionedi BeatriceLusa Jan Rabie, afrikaner, è nato a Città del Capo nel 1920 e ancora vi risiede, dopo avere a lungo soggiornato a Parigi e a Creta. Critico, autore di romanzi e racconti, si è impegnato, insieme agli scrittori del gruppo Sestrigers, nelrilanciodella prosa in linguaafrikaans. lnoltre, proponendo traduzioni in inglese delle sue opere, ha portato la letteratura afrikaans sulla scena internazionale. Siccità è trattodalla raccolta The Penguin Book ofSouthern African Stories, a cura di Stephen Gray. Colonne di polvere si innalzano vorticosamente dalla bruna superficie della terra. Tremanti, le radici d'erba riarsa attendono la pioggia; assetata di verde amore, la vasta, arida pianura migra senza sosta verso il suo orizzonte. Un binario rettilineo corre veloce dalla luce abbagliante del sole verso una notte fresca di velluto e di stelle. Lo scenario è quello della siccità. Minuscoli come due granelli di sabbia, un bianco e un nero costruiscono un muro. Quattro mura. Poi un tetto. Una casa. Il nero trasporta i blocchi di pietra e il bianco li mette in posa. Il bianco sta all'interno dove c'è un poco d'ombra. Dice: "Tu devi lavorare all'esterno. Hai la pelle nera, puoi resistere al sole meglio di me". Il nero ride dei propri muscoli che risplendono al sole.Cent'anni fa i suoi antenati mietevano con le loro assegais il bruno raccolto, e la danza Ngoma, come i bastoni che trebbiano il grano, scrollava dalle loro membra la febbre del ole nero. Il nero ride ora, mentre comincia a incupirsi. "Perché parli sempre della mia pelle nera?" chiede. "Siete maledetti" dice il bianco. "Tanto tempo fa il mio Dio vi maledisse con le tenebre." "Il tuo Dio è bianco" risponde il nero con rabbia. "Il tuo Dio mente! Io amo il sole e temo il buio". Con aria sognante, il bianco prosegue: "Tanto tempo fa, giunsero dal mare i miei padri. Da lontano venivano, a bordo di bianchi vascelli alti come alberi e, a terra, si costruirono dei carri e li coprirono con le vele dei loro vascelli. Viaggiarono e viaggiarono e sparsero le ceneri dei loro falò su questa vasta terra barbara. Ma adesso i loro figli sono stanchi, vogliamo costruire case e insegnare a voi neri come vivere in pace con noi. È giunta l'ora, anche se la vostra pelle sarà sempre nera ...". Il nero con orgoglio ribatte: "E i miei antenati hanno affondato le loro assegais nel sangue dei tuoi padri e hanno visto che era rosso come il sangue. Rosso come il sangue dell'impala che i nostri giovani rincorrono nella caccia tra i due rossi soli delle colline!". "Diavolo! Dimentica una buona volta il passato", dice il bianco con tristezta. "Dai, devi imparare a lavorare con me. Dobbiamo costruire questa casa." "Tu vieni a insegnarmi che Dio è bianco. Che dovrei costruire una casa per i bianchi". Il nero rimane fermo a braccia conserte. "Negro di merda!" urla il bianco, "niente, non capirai mai niente! Fai quello che ti dico!" "Sì, Baas" mormora il nero. Il nero trasporta i blocchi di pietra e il bianco li mette in posa. Costruisce solidi muri. Il sole guarda giù col suo occhio torvo e terribile. Lontano, unico albero in quella terra riarsa, una colonna di polvere percorre il tremulo orizzonte. "Aldiavoloquestocaldo!" mormora il bianco, "se solo piovesse". Con un gesto irritato si asciu&a il sudore dalla fronte prima di dire: "I tuoi antenati sono morti. E ora che tu li dimentichi". Il nero loguarda in silenzio con questa risposta negli occhi: I tuoi antenati, anche loro sono morti. Siamo soli qui. Soli nella piana arida e vuota il bianco e il nero costruiscono una casa. Non parlano tra di loro. Costruiscono i quattro muri e poi il tetto. Il nero lavora fuori al sole, il bianco dentro all'ombra. Adesso il nero riesce a vedere solo la testa del bianco. Posano il tetto. "Baas" chiede infine il nero, "perché la tua casa non ha né porte né finestre?" Il bianco si è fatto molto triste. "Anche questo non lo puoi capire" dice. "Tanto tempo fa, in un altro paese, i miei padri costruivano muri per non lasciare entrare il mare. Spessi muri a tenuta stagna. Ecco perché la mia casa non ha né porte né finestre." "Ma qui non c'è grande acqua!" esclama il nero, "la sabbia è secca come un teschio!" Sei tu il mare, pensa il bianco, ma è troppo triste da spiegare. Posano il tetto. Inchiodano l'ultima asse, l'ultima lamiera ondulata, il nero fuori e il bianco dentro. Il nero non riesce più a vedere il bianco. "Baas!" chiama, ma non riceve risposta. L' lnkoos non può più uscire, pensa spaventato, non può vedere il cielo e capire se è giorno o se è notte. L'lnkoos morirà nella sua casa! [I nero picchia coi pugni sul muro e chiama: "Ma Baas, qui non verrà mai grande acqua! Qui non pioverà mai per quaranta giorni e quaranta notti come dice il Libro del tuo Dio bianco!". Non riceve risposta e urla "Vieni fuori, Baas!". Non riceve risposta. Con i pugni ancora levati come per bussare un'altra volta, il nero alza con sgomento gli occhi al cielo completamente sgombro di nubi, si guarda attorno e fissa l'orizzonte dove incandescenti colonne di polvere danzano la terribile Ngoma della siccità. Solo e impaurito, il nero balbetta: "Vieni fuori,Baas ... Vieni fuori dame ...". Copyright Jan Rabie 1985.

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