Limo.Fotodi Ivo Soglietti/Controsto. sentire qualcosa nel labirinto notturno della selva. Avrei voluto che mi rispondesse che mi sbagliavo, che un rivoluzionario non si comporta così; per lo meno che mi mandasse al diavolo. Invece non rispose e quando mi girai a guardarlo, mi accorsi che si era addormentato con la bocca aperta. Al mattino fummo svegliati dal freddo prima che dai riflessi dellalucedel sole.Gli uccelli stavano già giocherellando disputandosi i rami più alti degli alberi. Orlando non voleva cercare la gente; gli abitanti di queste parti erano imprevedibili. "E se sono di Sendero? Loro hanno delle basi a Suncho." "Solo qualcuna" precisai. Comunque continuammo a camminare indirezione del villaggio. C'era qualche possibilità di incontrare gente amica nei dintorni, ma nessuno andava più verso quelle quattro case dai mesi delle piogge. I coltivatori di coca di Suncho non andavano molto d'accordo con la guerriglia. Procedemmo per ore senza pronunciare una frase, solo monosillabi e maledizioni ogni volta che ci si presentava una difficoltà. A mezzogiorno Orlando aveva capito che non saremmo mai arrivati a Suncho: il rumore ritmico delle eliche che tagliavano il cielo, gli uccelli che fuggivano dalla tormenta provocata da quel divoratore di uomini, i colpi incessanti come di un gigantesco boa. Irnpall idimrno. "Quel maledetto si sta avvicinando" dissi, cercando di dominare una tachicardia improvvisa. Orlando stava fermo, con l'indice rivolto verso l'alto e gli occhi fuori dalle orbite guardando da tutte le parti. "Fermo. Non ti muovere" ordinò. Lo disse con lo stesso tono imperativo del giorno prima quando proprio questa frase ci aveva STORIE/CASTRO 93 salvato la vita. Gli altri avevano cercato rifugio fra i tronchi più spessi oppure si erano gettati ventre a terra. Ci eravamo salvati solo noi due perché eravamo rimasti fermi come statue. L'elicottero si andava avvicinando, padrone della situazione e di tutto il tempo che voleva. Frenesia di piccoli animali, uccelli in preda al panico e forti raffiche di vento. Foglie strappate di netto cadevano ai nostri piedi. Era troppo tardi per cercare di fare qualcosa, eppure feci scivolare una mano con le dita tremanti verso la fondina dell'unica pistola. "Fermo, cazzo!" bisbigliò Orlando a denti stretti. L'elicottero aveva fermato il suo corso proprio sulle nostre teste. Al principio una cometa grigioverde sospesa per aria; la sua ombra oscurò all'improvviso il mezzogiorno. Eccolo lì sospeso per aria senza fretta che cominciava a scendere lentamente. Orlando, abbandonando il suo atteggiamento di animale in trappola, mi stava guardando con un sorriso triste. Stava ancora immobile, così come lo aveva sorpreso il trac-trac-trac delle eliche, con l'indice 1ivolto al cielo. La rassegnazione dipinta sulla sua faccia mi fece Iicordare repentinamente da quante settimane stavamo vagando insieme, combattendo la farne e le pallottole, camminando quasi senza parlare. Non c'era molto da fare e volli gridargli qualche parola di addio, ma il rumore l'avrebbe resa impercettibile.C'erano orecchi solo per il tocotoco incessante, infernale, prima della distruzione fugace che ci era stata riservata. Orlando con l'indice rivolto verso la libellula artigliata, si azzardò a stendere l'altro dito. Mormorò qualcosa che io seppi capire e gli risposi automaticamente. Poi chiudemmo gli occhi e non saprei dire se lo facemmo per aspettare la morte imminente o per il polverone e la tempesta di foglie che avvolgevano tutto e ci impedivano di vedere il finale. Ma il tocotoco cominciò ad alzarsi a poco a poco, a guadagnare
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