VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE 85 l'intensità quasi delirante dei sentimenti descritti, sono elementi che rinviano al romanzo di Dostoevskij e che Coetzee sembra aver fedelmente riprodotto per ricreare l'atmosfera tipica del romanziere russo. Ma la polifonia del romanzo dostoevskiano cede qui il posto a un unico punto di vista, quello del personaggioDostoevski j, e agli stati morbosi della sua sensibilità attraverso cui è filtrata tutta l'azione del romanzo. Il linguaggio più ricorrente della prosa di Coetzee è infatti quello solipsistico della lettera, del diario o del delirio farneticante. Non è la prima volta che Coetzee sceglie a protagonista uno scrittore realmente esistito: l'aveva fatto con Foe dove episodi della vita di Daniel Defoe, sovrapposti a motivi e personaggi delle sue opere, rendevano l'opera un'interrogazione sui rapporti possibili tra realtà e finzione e allo stesso tempo un omaggio a uno scrittore amato. Dostoevskij è un altro degli scrittori importanti nella formazione di Coetzee (gli ha dedicato anche dei saggi), ma il piano metanarrativo non sembra, nel Maestro di Pietroburgo, essere quello principale. Se i tratti della personalità di Dostoevskij - la crisi epilettica sempre in agguato, la sensibilità esasperata e morbosa, le fantasie oniriche, etc. - rendono il personaggio riconoscibile e plausibile come costruzione letteraria, è vero però che Il Maestro di Pietroburgo non è un romanzo su Dostoevskij quanto piuttosto su un padre che ha perso un figlio. Il senso più profondo del romanzo è nell'elaborazione di questo lutto e nell'anatomia dell'amore paterno, con tutte le sue ambiguità e inadeguatezze; un miscuglio di sentimenti messi a nudo con sconcertante franchezza, nei quali si svela ogni rivalità.competizione, invidia: "Va sempre così fra padri e figli, le battute coprono sempre le peggiori rivalità? Ed è questa la vera ragione per cui è disperato? Perché gli è venuta a mancare la terra sotto i piedi, la competizione con il figlio, e gli ha svuotato la vita? Non è la Vendetta del Popolo, ma la Vendetta dei Figli, è questo il senso che sta sotto alla rivoluzione: l'invidia dei padri per i figli, per le donne dei figli, e le trame dei figli che vogliono rubare gli scrigni dei padri?" (p. 97). Il motivo del figlio perduto non è nuovo nell'opera di Coetzee: anticipato in Dusklands, si incontra poi, con maggiore rilievo, in Foe e in The Age of /ron, i due romanzi che precedono Il Maestro di Pietroburgo e nei quali lo scrittore si concentra in meditazione sul dolore e sulla morte e in una forma di scrittura più introspettiva, più lacerante, più confessionale. Nell'ultimo romanzo, la ricerca dell'altro - del figlio come altro da sé - è un viaggio dapprima reale, poi essenzialmente interiore che diventa ricerca di sé, un modo di capire se stesso e smascherare l'impostura della propria vita. In un gioco di identità scambiate, il lutto del padre per il figlio si trasforma così in un lutto per se stesso nel rimpianto della propria gioventù, espressione della sua ansia di invecchiare e della paura della paralisi della scrittura, che nelle parole di Coetzee è "la paura di perdere l'anima". Per molti aspetti Il Maestro di Pietroburgo sembra indicare una svolta nell'opera dello scrittore sudafricano, finora profondamente radicata nell'esperienza coloniale. Se infatti tutta l'opera di Coetzee, da Aspettando i barbari a The Age of Iron, può leggersi come riflessione sul linguaggio del potere e dell'oppressione di fronte all'impossibilità di espressione da parte dei subalterni, o come allegoria della separazione tra bianchi e neri, riesce difficile, nel caso di questo romanzo, sovrapporre - come pure è stato suggerito - il Sudafrica a Pietroburgo, nonostante il clima prerivoluzionario e la cultura del sospetto e della cospirazione descritti nel romanzo. EBREIN POLONIA LESTORIERACCOLTE DAHANNAKRALL FrancescoM. Cataluccio Hanna Krall è una giornalista polacca che, come il suo famoso connazionale Ryszard Kapuscinski (autore, tra l'altro, di: Il negus. Vita e miserie di un autocrate, Feltrinelli 1984; La prima guerra del football, Serra e Riva 1990, e di Imperium, Feltrinelli 1994), pratica il reportage come una forma letteraria dagli esiti sorprendenti. Una "letteratura di realtà" che esalta le storie degli individui, famosi o sconosciuti, con una scavo pieno di ~partecipazione umana. Grazie alla KraJI, che gli fece una lunga intervista, abbiamo conosciuto la storia e le idee di uno degli eroi della riv9lta del ghetto di Varsa via: MarekEdelman (z.dazycprzed Paniem Bogiem, Arrivare prima di Dio, 1977; trad. it. Il ghetto di Varsavia, Città Nuova 1986). Ipnosi e altre storie (Giuntina, Firenze, pp.230, lire 28. 000) è anch'esso dedicato alla vicende degli ebrei in Polonia durante la seconda guerra mondiale e oggi. E proprio perché non si tratta di un saggio, ma di un mosaico di voci interrogate per capire "cosa è successo veramente e come è stato possibile", questo libretto è quanto di più profondo e toccante si possa leggere sull'argomento ed è una bellissima lettura perché è scritto nello stile poeticamente divagante di certi racconti dei chassidim. Hanna Krall intende, con le storie che racconta, raccolte a giro per il mondo, combattere il rischio descritto dallo scrittore polacco Stanislaw Vincenz: "Le cifre impressionanti dell'orrore e dello sterminio hanno contribuito, fino a questo momento, a creare più indifferenza che memoria. Si può dire quasi che rafforzino l'indifferenza, perché quando uno dice un milione non può immaginarsi niente di più di una cifra. D'altronde non può accordare davvero a un milione di vittime sentimenti di compassione, solidarietà, lutto". E allora bisogna dar voce alla memoria, alle storie di ognuna delle vittime. Constatando che la storia degli ebrei in Polonia (3 milioni prima della guerra: un decimo della popolazione) è una ferita ancora aperta. Gli dice giustamente un israeliano originario di Strzemboszyce Wielkie: "Gli ebrei non sono ancora venuti a capo della loro questione polacca. Di quella tedesca sì, ma era più facile. Si perdona più facilmente chi ci ha dato la morte di chi ci ha umiliato. La questione aperta coi polacchi è una questione di umiliazione e di sentimenti respinti. Niente genera maggiore aggressività e un rancore più tenace di un amore respinto, inutile". La Polonia, per gli ebrei sopravvissuti, è la memoria del rifiuto. Particolarmente drammatici sono i racconti del ritorno dei sopravvissuti dai Lager: trovarono le loro case occupate da gente ostile che li minacciò (ci fu anche chi, per un'ultima beffa del destino, li massacrò, come a Kielce), fece loro capire che non
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