Linea d'ombra - anno XII - n. 95 - lug./ago. 1994

78 STORIE/SHAVIT tutti ipensieri. Invece striscio in ginocchio, strappando con leunghie le fragole rosse dalle foglie verdi, raccogliendole nel cestino, sollevando nuvole di poi vere, col sudore che scorre. I corvi neri sono già molto più avanti di me. Divorano rapidamente piantina dopo piantina e mi lasciano disteso sul ventre, con la testa per terra, in cerca di protezione contro il sole. Un'ombra cala improvvisamente su di me. Mi volto e vedo due ragazze arabe che incombono sopra di me. I loro piedi strisciano sul terreno e mi toccano quasi il ventre. Sui loro vestiti neri è 1icamato un disegno rosso e argento. Guardano diritto nei miei occhi, una con atteggiamento vacuo e forse arrogante, l'altra con occhi selvaggi, morclendosi le labbra in silenzio. Mi levo in ginocchio, togliendomi la polvere dai vestiti, mi alzo in piedi e resto a guardarle. Che cosa vogliono? Con quale diritto si sono staccate dal1o stormo ormai lontano? O forse non vi appartengono e sono semplicemente spuntate dalla terra? La prima tocca l'altra col gomito e questa sorride apertamente, mostrando denti sparsi e diseguali, emettendo suoni di gola pesanti e spezzati, rovesciando gli occhi in modo bizzarro e sinistro. Poi anche il suo corpo incomincia a vacillare, girando sul proprio asse. La prima continua a bisbigliarle all'orecchio parole di incoraggiamento, sempre con Io sguardo gelido, mentre l'altra ha certamente della cattiveria in cuore. Adesso dovrei girare i tacchi e andarmene via, oppure prenderle a schiaffi e ordinare che SEXAPPELLO È UNAQUESTIONDEISESSOEDIDENARO • • è quello femminile. Ildenaro è quello chemanca noidonne ABBONATEVI 11numedrinoidonne 6numedrilegendaria alprezzboloccadtio50millaire e/e n. 60673001 imestato a Cooperativa Libera Stampa, Via Trinità dei Pellegrini 12, 00186 Roma Per ulteriori informazioni telefonate al n. 06/68643870 tornino al lavoro. Invece non faccio niente, perché quegli occhi folli attirano i miei. La ragazza si tocca il corpo con le dita nere-prima il collo, poi il seno, fino al ventre e alle coscie. Sono due sorelle, capisco improvvisamente, una subnormale e l'altra che le fa la guardia in malizioso silenzio. Adesso le dita scivolano sul bordo della gonna nera e la sollevano sopra la vita. I miei occhi vanno al triangolo di pelo nero. Un dolce dolore si accende nel mio corpo. Lei si agita maniacalmente, col sesso davanti alla mia faccia. Il mio pene si tende. Dovrei avvicinaimi e strapparle le mani dall'orlo della veste sollevata, mandarle via entrambe con un calcio, punirle per la loro impudenza. Ma il dolce dolore fa fremere tutto il mio corpo e resto lì, incapace di muovermi, di parlare, di pensare chiaramente. Esito nella mia decisione di ritirarmi, di correre a casa da Mamma e Yonatan; sento solo il rapido ingrossarsi del mio pene, che mi spinge ad attraversare l'aiola di fragole che mi separa dal paio di sottili gambe nere, scintillanti nel sole, che si aprono per me, in mio onore. E attraverso l'aiola, col sudore che dalle sopracciglia mi scende negli occhi, pauroso e accecante, le mani tese brancolanti a cercare ciò che i miei occhi non riescono a vedere. Papà non mi perdonerebbe mai. In mezzo al suo campo premo il corpo contro il vestito nero e puzzolente di una ragazza araba mentalmente ritardata, sollevando ancora di più il suo vestito e guardando un paio di mammelle acerbe e ferme, attaccandole con labbra umide e avide e succhiando i duri bottoni di cioccolato che crescono e si espandono nella mia bocca, masticandoli fin quasi a sentire il sangue. Papà non mi perdonerebbe mai. Dopo devo andare da Mamma, salutarla, dirle condivido il tuo dolore e cosa direbbe Papà se potesse vedere. Lui odiava le ragazzine arabe dai piedi nudi, con i denti davanti che escono dalle labbra sempre aperte. Ma sotto sotto il suo corpo le desiderava. Anche il suo pene si sollevava attento tutte le volte che si chinavano in avanti o indietro, esponendo una coscia carnosa in grado di ammorbidire perfino i duri muscoli di Eliahu Alter e di addolcire le rughe della sua faccia riarsa. Ma questo non me lo perdonerebbe mai, che in mezzo al suo campo maledetto io slacci uno a uno i bottoni e mi macchi ipantaloni di fragole, con gli occhi semichiusi che corrono dai seni deliziosi al ventre e al profondo ombelico, poi si aprono per aiutare le dita nel loro lavoro, e gocce rosse che cadono senza che io sappia se un coltello ha lacerato la giovane carne tremante, se il sangue sta sgorgando dal suo corpo o se sono fragole che le mie dita brancolanti hanno schiacciato affondando nella carne calda. Com'è doloroso e gonfio il pene, adesso che è libero dagli stretti pantaloni. Improvvisamente una gran voce esplode attraverso il campo gridando "Daniel !Daniel !". È Yonatan Alter che chiama suo fratello. Da lontano giunge co1Tendo,ansimando pesantemente, e si ferma di fianco a noi con gli occhi spalancati, scambiandosi sguardi con la sorella maggiore, i cui occhi brillano di piacere e di odio, guardando con orrore i miei occhi abbassati e l'espressione vacua della ragazzina che suo fratello Daniel stringe fra le braccia e da cui adesso sta ritirandosi. Nel cielo c'è un grande e libidinoso sole d'autunno e Daniel vuole nascondersi da lui, ma neanche una nuvoletta viene in suo aiuto. Yonatan alza con tutt'e due le mani una grossa pietra e prende la mira per tirarmela, gemendo di incredulità, ira e disgusto. Mi riparo, ma Yonatan non intende tirarla. Resta fermo, con la pietra sopra la testa e dice: "Daniel, bisognerebbe rinchiuderti. Meriteresti la morte!". E con grande forza getta la pietra nell'aiola di fragole e degli spruzzi rossi macchiano le gonne delle due sorelle. Copyright Dan Shavit 1986.

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