Linea d'ombra - anno XII - n. 95 - lug./ago. 1994

principali che erano chiuse. Altri ancora li vedevi inpiedi: guardavano dalla parte degli spettatori del piano superiore che, a loro volta, si osservavano intorno e sbirciavano qua e là, magari nella speranza di conoscere le cause di quell'imprevisto. In seguito la scena cambiò. La sola cosa che aveva unito tutta la sala per qualche minuto era il tentativo di capire i motivi di quel ritardo ma, dal momento che nessuno ci era riuscito, quel vincolo si era sciolto ed ecco che sopravvenivano le reazioni più disparate: alcuni si diressero verso i gabinetti per i loro bisogni e per evitare, così, di doversi alzare durante la proiezione. Quelli che avevano con sé una rivista o un giornale si immersero nella lettura, o si misero a sfogliare le pagine. Due si impegnarono in una discussione sul numero delle poltrone al piano superiore e di quelle al piano inferiore. Venne aperto un gran numero di sacchetti di bruscolini e furono in molti a dedicarsi esclusivamente a questa occupazione. Alcune ragazze si disposero a cerchio e, avvicinando le teste, si misero a bisbigliare delle cose con evidente entusiasmo, poi una si scostò dal gruppetto per rifarsi il trucco, guardandosi in uno specchietto che stringeva in mano. Chi si era poi stufato di aspettare e pensava di chiedere spiegazioni su quella anomala situazione - come, per esempio, l'uomo seduto accanto a me-non si limitava semplicemente a rivolgersi a un vicino ancora più ignaro di lui, ma lo vedevi, per una qualche ragione, bisbigliare sottovoce, come se temesse di essere colto in flagrante con domande del tipo: "Che sarà successo, vicino? Perché mai questo ritardo?". Trascorse così più di mezz'ora: né la direzione, come si fa di solito in molte sale cinematografiche, incaricò uno dei dipendenti di salire sul palco per scusarsi o, perlomeno, scusarsi e basta, senza nemmeno spiegare l'imprevisto che aveva provocato un tale ritardo per l'inizio della proiezione ma, al contrario, decise di spedire in sala un plotone di persone con ogni tipo di bevande e di dolciumi che si misero a girare per le file, decantando ad altissima voce la loro merce, come se fosse l'intervallo tra il primo e il secondo tempo di una partita di calcio ... e né tantomeno il pubblico manifestò in modo espUcito e franco alcun segno di fastidio, di obiezione o di protesta, come se fosse andato al cinema soltanto per concentrarsi sulle fasce di luce che con forza gli si riversavano addosso da ogni angolo e da ogni lato. Ad un tratto suonò un campanello, si spensero le luci, mentre il raggio di un riflettore puntato sullo schermo da cui era stata spostata la tenda, fendette lospazio della sala. Alcuni dei presenti si affrettarono a raggiungere il loro posto mentre lo schiamazzo si affievoliva e con l'inizio della proiezione prevaleva un silenzio pesante, particolare, quel tipo di silenzio carico di respiri e di calore umano dei corpi, che ti fa riconoscere quelli che ti stanno intorno perfino senza vederli. Tutto avrebbe potuto svolgersi seguendo il suo solito corso indolente, se non fosse stato per quell'attimo di buio totale. Verso la metà del film, la pellicola iniziò a vibrare, poi saltò definitivamente. Esattamente in quell'attimo, essendosi spento l'ultimo raggio di luce che veniva proiettato sullo schermo, la sala fu inghiottita da un buio così fitto che impediva di vedere, al punto che ci si poteva immaginare di essere scivolati nel ventre robusto di una balena. È difficile dire quanto tempo sia durato quel buio, forse un minuto, forse di più, solo che la sala, in quell'intervallo di buio cupo, si scatenò fino alle ultime poltrone. In un attimo il pubblico esplose come se fosse una bomba a orologeria e non esseri umani. Non appena si trovarono tutti in quel luogo chiuso, avvolto nelle tenebre, ecco che in un istante si trasformarono in altri esseri, di versi da quelJi che erano prima. All'iniziorisuonòchiaraedesplicitaunamaledizione:"Accidenti a voi, maledetti!". Immediatamente seguita da un grido che non fu STORIE/ SAMUEL 75 meno sonoro: " ... e alla sorella di vostro padre!". Subito dopo si sentì un urlo dalle prime file: "Possiate diventare ciechi! Perfino qui ci togliete la corrente!". Una voce stentorea echeggiò dal fondo della sala: "Se fosse solo la corrente che viene tolta, sarebbe niente!". "Attenti a non toglierci anche la vita!", gli fece eco una voce appassionata. Le risate esplosero, poi ondeggiarono e si sovrapposero. In quell'intervallo che sembrò un mare di tempo e di oscurità, si sentirono commenti e grida, insulti espliciti, ammonimenti, finti sospiri, vennero anche evocati gli organi sessuali, si sentirono fischi, grida dei venditori e richieste di aiuto. Era impossibile distinguere chiaramente quelle voci che sembravano, per la violenza della loro foga, colombi spuntati dalle profondità più remote e infuocate della terra. In un batter d'occhio si riaccesero le luci, si disperse l'ultimo bisbiglio. A parte le occhiate indolenti e indagatrici di alcuni volti, niente lasciava indovinare da dove fossero arrivate quelle appena spente. La sala, con tutti quelU che si trovavano dentro, appariva di nuovo composta, rilassata sotto i potenti raggi di luce, come se le urla e i commenti, esplosi poco prima, fossero venuti fuori da un gigante il cui borbottio avesse squarciato il buio cupo con la stessa rapidità con cui era stata avvolta da una luce improvvisa. Questa volta la calma non durò a lungo. Non appena in sala si spensero per la seconda volta le luci e il raggio tornò a rovesciarsi sullo schermo, venne ripresa la proiezione. Ma nel momento in cui i I sipario si stava aprendo sullo schermo, gli spettatori si alzarono per uscire dal cinema. Alcuni si misero a saltare sulle poltrone, altri a saltare cti una fila all'altra per attraversare il corridoio a suon di gomitate su chi era rimasto ordinatamente in fila. Non ce ne fu uno che non cercasse di conquistare al più presto la via d'uscita, servendosi di qualunque sistema pur di svignarsela al più presto da quel cinema. Sélim Nassib FRADONNE traduzionedi AnnaAlbertano Copyright Ibrahim Samuel 1992 Di Sélim Nassib, nato a Beirut nel 1946 (dal 1969 vive a Parigi) è già uscito un racconto nel n. 79 di "Linea d'ombra", febbraio 1993. Questa mattina mi sono svegliata, i miei capelli erano bianchi, non ho più ventisei anni. È orribile, non uscirò più di casa, non voglio che mi vedano, mai più. I miei passi mi riportano di continuo allo specchio del bagno, ho ancora la paura negli occhi, che mi è successo, com'è possibile che una sola notte mi abbia ridotta così. È cominciato tutto ieri mattina, o forse tre anni fa, quando sono arrivata in questo quartiere con mio marito. Lui è un militante sindacale, io insegno in una scuola, storia-geografia. Sono la sola cristiana del vicolo, parlavo del diritto delle donne, combattevo il velo, non mi prendevano sul serio, me ne rendevo conto. Tra le vicine mi sono fatta tre amiche, Dina, Nada, Soha,

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==