Linea d'ombra - anno XII - n. 95 - lug./ago. 1994

Pigri fiori battuti di là dell'asfalto noi pura vecchiezza mescolando ogni fraterna opinione poi la terra brucia la terra tira non bastano soldi non bastano ali e tu racconta della nostra giustizia, della vita fulminante. Il mio dormitorio era una quercia nel deserto, la gloria una frenesia di buchi e abbiamo aspettato: diplomi, prodezze, ma certo, va bene, ma sì, il cranio dolorante, il martirio di ogni aurora, infermo mio paradiso! Non so come si fa a perdonarsi, diciottenne eroina delle carceri, non so come si fa tardi, ma la sera affonda, non si agghinda e presto arriveremo. Questa è la giustizia degli uomini: avere figli - dagli quella giacca ora sei grande ora parlami della legge· umana essenza pura - ora ho imparato anch'io a tacere proprio così come sul treno aspettando che passi, siamo tra le macerie ora così ingannati si sta bene. Ottobre-Dicembre 1993 Marina Mariani QUANDO PARLAVAMO Quando parlavamo - e intorno scorreva il nastro filmato del mondo - e noi parlavamo, pur se _conqualche inciampo in fin dei conti era un dialogo; 10 ero 11 tuo orecchio, e ti raccontavo quello che udivo, le voci diverse e modulate, il canto degli uccelli. Tu murato nella sordità, chiuso al rumore del mondo, volevi che lo penetrassi io - questo rumore e poi la sordità - e ti riportassi (magari un poco frantumata) quell'esperienza, quella notizia dal MONDO (una parola, per due bambini, rotonda e non poi così densa di significato). Per me era normale, quell'andirivieni, quella faticosa scalata del muro due volte: il muro del mondo e il muro della tua sordità. Se non intendevi cercavo un segno nuovo, cambiavo la parola per aiutarti: allora il dialogo c'era, il futuro piano piano si costruiva, sulla rovina della casa vecchia, per mezzo dei razzi che si incrociano in alto tra i continenti: io mi facevo, ero, ambasciatriavi e insieme io stessa notizia. Io mi ricordo del tempo che ancora un poco di voce ti giungeva dal mondo tra i ronzii e i boati - c'era la guerra - la musica, il canto della soprano, la diva, gli acuti, gli applausi. (T'aiutavi con i libretti dell'opera, e dopo ricordavi così precise le parole, ma sbagliavi l'aria ...) Per un po' tenesti vivo nell'animo, da solo, questo filo di voce tutto tuo. Ma s'affievoliva: e incaricasti me. S'ingarbugliava la matassa frequentemente, e dipanare non era agevole, ridurre a poche comuni parole il frastuono che intorno andava montando, cresceva. Cercavo esempi magari nel gioco, nei vecchi giochi, o ritirando fuori le figurine 'dei calciatori e delle dive, e nell'odore di cioccolato stantìo m'affannavo a confrontare > , a ridurre, a paragonare. Ora mi chiedo cosa ti giungeva di tutto questo lavorìo. Richiamo con forza alla memoria quel dialogo, evoco il nastro filmato intorno a noi, ma so che l'andirivieni che ripeto per perversa abitudine non ha approdo. Nicola Miglino DUEPOESIE D'inverno,le foglie Mentre mia madre muore e i nipotini raccolgono la crema sul fondo del piattino, io nella mia stanzetta spiritata ti parlo basso, accendo la stufa, spruzzo colonia e chiudo l'invetriata. Perché sei venuto d'inverno, quando le narici crepano di gelo, i testicoli s'immeschiniscono, i vecchi rifondono carbonella nei bracieri, ma sotto le ascelle soffiano i desideri come foglie sempreverdi sotto la neve e mi hai regalato come un orientale POESIA 69 1986

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