lutti, persino i miei nonni erano tutti ancora vivi, e pareva che il compito di tenere desta in me la consapevolezza che al mondo esistono le sciagure continuasse ad essere svolto solo da quella povera donna: così come da viva m'aveva insegnato a soffrire per i vivi, da morta, ora, m'insegnava a piangere un morto. Pensai addirittura di telefonare ai miei nonni, nella speranza che qualcuno di loro si ricordasse di lei, dal momento che di lei, all'epoca, s'era parlato molto in famiglia. Ma non lo feci, e trascorsi il resto della mattinata seduta in poltrona, a pensare e a guardare il giardino condominiale. La filippina preparò da mangiare e se ne andò. Andrea aveva udienza fino a tardi e avrebbe pranzato fuori. Mi alzai dalla poltrona solo quando squillò il telefono , per rispondere. "Mi scusi, c'è l'avvocato?" una voce debole di donna, rotta e come trattenuta. "No. Non rientra a pranzo, oggi." "Lei è la moglie?" sempre più rotta, la voce. "Sì." "Posso lasciare un messaggio per lui?" "Aveva udienze in tribunale, credo. Ce1to, dica pure a me." Seguì un lungo silenzio, tanto che credetti fosse caduta la linea. Ma poi la voce, se possibile ancora più debole, riprese: "Stamattina presto" sussurrò "gli avevo telefonato per una certa cosa ma ..." Di nuovo silenzio. Poi, nel fruscio della linea disturbata, avvertii come dei singhiozzi, ma deboli, anche quelli, deboli e trattenuti. " ...volevo avvertirlo che non c'è più bisogno, ormai ..." Infine il pianto straripò, e feci in tempo a udirne lo scoppio prima che la donna interrompesse la comunicazione. In quel momento tutto mi parve chiaro: definitivamente, ferocemente chiaro. Avevo studiato medicina per tre anni, prima di abbandonare. Avevo fatto in tempo a dare l'esame di medicina legale, uno dei più facili. Ricordavo bene che i morti di morte violenta vengono tenuti in obitorio per qualche tempo, prima di essere restituiti alle famiglie. Raggiunsi in fretta l'ospedale, e poi seguì un bailamme di svolte, informazioni sbagliate e ritorni indietro - nemmeno un breve ricovero, o una piccola operazione, nella mia vita: perciò non ero pratica - prima che potessi trovare il reparto giusto, che poi era Anatomia Patologica. Proprio su quell'esame, per inciso, mi ero arresa all'Università. La porta che dava accesso al reparto era socchiusa, io la spinsi ed entrai. Nessuno mi disse nulla. Camminai spedita perun corridoio, incrociando qualche persona incamice chem'ignorò, semplicemente, poi cominciarono le porte. Ne aprii una, due, tre di fila, subito dopo richiudendole perché vedevo nella stanza apparecchi elettronici spenti o persone chine a un microscopio. Alle mie spalle partì uno "Scusi, signora!" che io ignorai, continuando ad avanzare e aprire e chiudere porte, finché non trovai quello che cercavo: una fila di tavoli di marmo, tutti vuoti tranne gli ultimi due, sui quali erano stesi due corpi ricoperti da due lenzuoli bianchi. "Signora! Non si può entrare lì!" la voce era maschile, bella, già molto più vicina. Comparve un uomo che avrebbe potuto essere mio fratello: anzi, gli somigliava. Aveva i I camice addosso, gli occhiali con lamontatura di metallo, i capelli ricci, gli avambracci scoperti e robusti. "Signora ..." mi disse, ma subito dopo che mi ebbe guardata il suo tono, inizialmente energico, si raddolcì di colpo. "Signora, si sente male?" disse, cingendomi alla vita "si appoggi ame ..." Fece per pilotarmi fuori, ma io m'irrigidii, e lui smise di fare forza e continuò semplicemente a sorreggermi. Cercai di sorridergli. "Sotto quei lenzuoli" dissi "ci sono una donna e un ragazzo, vero?" STORIE/ VERONESI 67 L'uomo profumava, di sapone. "Signora, è meglio se viene con me. Lei si deve sdraiare ..." "Mi può prendere in braccio?" gli chiesi "la prego ..." L'uomo esitò un istante, - non se l'aspettava-poi respirò, e mi prese in braccio senza fatica. Io gli cinsi il collo. "Un ragazzo giovane morto sotto un treno e una donna anziana uccisa da una macchina bisbigliai. "Vero?" L'uomo mi trasportò fuori dall'obitorio, di nuovo nel corridoio, senza dir nulla. Mi sentivo leggera, un nulla, come non capitava da quando mio fratello mi prendeva in braccio, da bambina. "Ed è stato il ragazzo a mettere sotto la donna, vero? Non l'ha soccorsa ma poi, per il rimorso, si è buttato sotto al treno ..." Mi portò in una stanza e mi distese delicatamente su un lettino. "No" dissi "La prego. Mi tenga in braccio ancora un po' ..." Ricordo delle voci, forse erano sopraggiunte altre persone, non saprei dirlo con certezza: i miei sensi se ne stavano andando chissà dove, e io lottavo per non perderli completamente. Tutto ciò di cui sono certa è che l'uomo mi riprese in braccio, e sembrava davvero mio fratello, che in quel momento volava nei cieli. "Grazie" dissi "È così? È come ho detto io?" "Sì, signora, ma lei adesso deve ..." "Sa, questo è un lutto che mi riguarda molto da vicino" lo interruppi. • L'uomo mi guardò negli occhi, vicinissimo com'era. Pareva preoccupato, ma cercava di sorridere, e soprattutto continuava a tenermi in braccio, teneramente, come desideravo io. "Son'o la sorella" gli confidai. "Oh, Dio" trasalì. "Lei è la sorella del ragazzo?" Ora era certo, c'era qualcun altro nella stanza, vicino a noi, ma non faceva differenza, stavo svenendo. "Di tutti e due" feci in tempo a dire "E anche la sua." Copyright Sandro Veronesi 1994. école Labellascuola. Mensile di idee per l'educazione Abbonamento annuale (9 numeri) L. 40.000 ccp. 26441105 intestato a SCHOLÉ FUTURO Via S.Francesco d'Assisi, 3 Torino Te!.011.545567 Fax 011.6602136 Copie saggio su richiesta Distribuzione in libreria: POE
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