66 STORIE/ VERONESI quella, di cui avevo sempre parlato con Mario, e mai con lui. Andrea era semplicemente scosso dalla coincidenza. "E perché hanno telefonato a te?" gli chiesi, con un filo di voce. "Volevano sapere come regolarsi perché, beh, loro sono convinti che il responsabile sia il loro ragazzo." "E tu che hai detto?" "Di andare alla Polizia e dire a loro quello che ha detto a me. Ma che potrebbero anche sbagliarsi. Ci sono tante Golf bianche targate in quel modo ..." "Quanti anni ha il ragazzo?" "'Ventuno. E proprio ieri sera avevano litigato per non so che cosa, una ragazza ..." Curiosamente, quella seconda tragedia a me così estranea mi alleggerì un poco, se così posso dire, del peso causato dalla morte della Delfa. Invece di sommarcisi, ecco, è come se vi si fosse sottratta, e io potei accompagnare mio marito alla porta, baciarlo e dargli appuntamento per la sera senza scoppiare a piangere di nuovo. Ma appena fui rimasta sola corsi al telefono e chiamai mia madre, senza ricordare, lì per lì, che lei e il babbo erano a Ischia a fare le cure dei fanghi. Mi venne in mente d'improvviso mentre il telefono continuava a squillare a vuoto: erano a Ischia per tutta la settimana, a fare le cure dei fanghi. Dell'albergo dov'erano andati non trovai il numero (dovevo averlo, da qualche parte, ma non saltò fuori); di mio fratello ormai era impossibile avere un recapito, da quando aveva vintQ il concorso per steward di bordo sui voli intercontinentali dell' Alitalia; eppure io dovevo parlare con qualcuno della Delfa, qualcuno che l'avesse conosciuta e che sapesse quanto le volevo bene. Qualcuno che appena gli avessi dato la notizia della sua morte si sentisse colpito dal lutto com'era capitato a me, o che perlomeno lo capisse. Non c'era che Mario, a quel punto. Provai a chiamarlo in fabbrica, ma non era ancora arrivato. Allora chiamai il numero del suo telefono cellulare, sebbene fossimo d'accordo che dovevo farlo solo in casi d'emergenza (proprio una volta in cui gli avevo parlato dei lividi con cui veniva a lavorare la Delfa mi aveva detto, scherzando: "Ecco, se Andrea un giorno scopre tutto, e ti picchia, e tenta di strozzarti, e tu riesci a chiuderti in camera e lui comincia a sfondare la porta con un'accetta, in quel caso fallo); ma il cellulare era staccato. Pensai anche di chiamarlo a casa, dove probabilmente avrebbe risposto sua moglie, che mi conosceva, o suo figlio Vittorio che a tre anni - Mario ne era molto orgoglioso- già rispondeva al telefono e diceva: "Resti in linea, prego"; ma poi decisi che sarei andata direttamente a l trovarlo al lanificio, e posai il telefono. : Lasciai passare un'ora, durante la quale arrivò la filippinaavevamo una filippina, adesso, sorridente, pia e senza lividi - 1 che mi raccontò di un suo parente, a Manila, che aveva vinto una grande somma a una lotteria. Poi presi la macchina e raggiunsi il lanificio di Mario. Mario era in fabbrica, ma non in ufficio. Ormai che c'ero trovai il coraggio di chiedere alla sua segretaria di farlo chiamare con gli altoparlanti, e di restarmene seduta ad aspettarlo, come se nulla fosse, leggendo una rivista. Dopo qualche minuto Mario arrivò, e vedendomi s'irrigidì. Era seguito da un codazzo di persone, dipendenti, fornitori, e lo vidi precipitare nell'imbarazzo quando fu costretto a congedarli per rimanere solo con me. Aveva il viso stanco, tirato, doveva essere davvero una brutta mattinata, quella, come del resto mi aveva pronosticato il giorno prima, ragion per cui avevamo deciso che non ci saremmo visti. Appena chiusa la porta dietro le spalle, tuttavia, cominciò a protestare in modo molto brusco, direi quasi violento, se non fosse stato che lo faceva sottovoce per non farsi sentire e questa cosa rendeva il suo sfogo molto buffo. Non mi lasciò neanche il tempo di dirgli la ragione della mia visita, ripeté affannosamente che ero una pazza a venirlo a trovare così, e che comunque quella era una mattinata tremenda, che non a\'.eva tempo, che c'erano dei clienti che lo aspettavano, che in più il magazziniere non era venuto e non si trovava il duplicato di certe chiavi che aveva solo lui. Capii che avevo fatto male a sperare inMario, e pensai che dovevamo essere un po' esauriti tutti e due, io per prendere così tragicamente la morte di una vecchia donna di servizio e lui per essere ridotto in quelle condizioni alle dieci di mattina. Ero di nuovo sul punto di scoppiare a piangere quando squillò il telefono sulla sua scrivania. Mario rispose, e mentre ascoltava nella cornetta lo vidi distintamente sbiancare in volto: lo vidi rimanere immobile, livido, a pronunciare a stento delle singole parole ("Sì", "No", "Come?", "Quando?"), e lo vidi riagganciare lentamente la cornetta al telefono, con uno sguardo fisso da ebete. "Oh mio Dio ..." sussurrò. " Che succede?" "Un mio dipendente si è ammazzato" disse" Si è buttato sotto al treno ..." Di nuovo qualche tragedia altrui si sovrapponeva a quella che sentivo il bisogno di piangere io, e di nuovo le toglieva importanza. Mario era veramente scosso, più scosso di me. "Chi è?" gli domandai "Il magazziniere ... Si è legato la cintura dei pantaloni al binario e si è..." S'interruppe e rimase in silenzio, appoggiato con le mani alla scrivania, a respirare profondamente. Poi d'un tratto mi venne davanti e mi abbracciò. "Oh Dio, era solo un ragazzo ... Perché l'ha fatto? Perché succedono queste cose?" Non so se abbia pianto, lui sulla mia spalla, ma riflessa sul vetro della finestra per un po' vidi una scena che era l'esatto contrario di quella che mi aspettavo di vivere: Mario che si abbandonava tra le mie braccia, noncurante del fatto che qualcuno potesse entrare a vederci e io che gli accarezzavo i capelli, il collo. "Stamattina alle cinque ..." sussurrava "Non aveva nemmeno i documenti addosso, aveva solo il tesserino della squadra di calcio della fabbrica, e la polizia ha telefonato qui. I suoi genitori non sanno ancora nulla, come faccio a dirglielo?" "Lascia che li avverta la Polizia" dissi. "Ormai ho accettato di farlo io. Li conosco bene, sono brava gente, amici di mia moglie ... Oh Dio ..." Provai a insistere perché richiamasse la questura e dicesse ai poliziotti di avvertire loro la famiglia del ragazzo, ma Mario si ostinò a non farlo, sostenendo che era troppo complicato mentre invece era semplice. Pensai che in fondo Mario volesse esser lui ad avvertire i genitori, per qualcosa di simile a ciò che aveva spinto me a telefonare a mia madre, a pensare a mio fratello e poi a correre lì pur di avvertire qualcuno della morte della Delfa per sfogarsi. E se quel ragazzo era qualcosa di più, per lui, di un semplice magazziniere, e io non ne sapevo nulla, doveva essere semplicemente perchè quella era una delle cose delle quali Mario parlava con sua moglie e non con me. Perciò lo lasciai andare a svolgere il suo compito, senza dirgli più nulla e soprattutto senza nemmeno accennare - a quel punto come avrei potuto farlo?- alla ragione della mia visita. Tornai a casa, ma già in macchina, durante il tragitto, il ricordo della Delfa e il bisogno di parlare un poco di lei avevano ripreso a farmi star male. Se non fosse assurdo, dato che non la vedevo da così tanto tempo, direi che sentivo la sua mancanza. Io non avevo ancora attraversato dei veri
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