Linea d'ombra - anno XII - n. 95 - lug./ago. 1994

era capace di pronunciare una sola parola, fare un movimento, anche se avrebbe preferito scappare urlando. Quella sera mentì per la prima volta a Vojtech, qualcosa circa il compleanno di Martin che non poteva avere luogo senza la sua presenza. Poi gli mentì per tutt'e due le settimane, scusandosi di dover mettere inordine la casa, pulire, cucinare, fare la spesa, perché durante la sua assenza i ragazzi avessero tutto quello cui erano abituati. A casa in verita sgobbava, lustrava i pavimenti, lavava le finestre, sbatteva i tappeti, ma non osava accennare a nessuno che sarebbe partita per una settimana. Non appena si ricordava di Vojtech s'inventava un altro lavoro, per non dover pensare, per non doversi immedesimare nel momento in cui avrebbe dovuto spiegare, ma spiegare cosa? Che non lo amava più? Ma non era vero. Che tutto era stato soltanto un capriccio di una donna sposata, madre di due figli, che voleva ancora, per l'ultima volta, godersi la vita? Ma neanche questo era vero. Adesso Vojtech se ne stava seduto tutte le sere nella mescita, conferiva imbarazzato con gli ospiti, la guardava supplichevole, s'illuminava se gli sorrideva, o se gli riusciva di baciarle la mano oppure, addirittura, di porle qualche domanda circa la loro partenza. Antonie acconsentiva senza convinzione per poi svicolare rapidamenteed evitare una risposta esauriente. Sapeva però che il momento in cui non avrebbe più potuto ricorrere ai sotterfugi s'avvicinava irrevocabilmente e lei sperava in un miracolo che le avrebbe risparmiato quel momento, che l'avrebbe magari resa invisibile, o addirittura in una catastrofe naturale; si rivolgeva a Dio, dopo così tanti anni, come faceva sua madre, diventava superstiziosa, prestava ascolto ad ogni scricchiolio dentro la casa e da casa usciva col piede destro. I giorni scorrevano senza pietà e Dio non fece nulla per la sua salvezza. Giovedì, appena passato mezzogiorno, quando era ancora da sola nel locale, Yojtech apparve d'improvviso nella mescita. Si lasciò abbracciare e lo condusse in cucina. Giunse i I momento della verità, Antonie non sperava più in nulla e per la gran paura si sentì male tanto che dovette sedersi. Yojtech le mise davanti il biglietto per Sopota. Lo osservò a lungo come se si fosse trattato di un oggetto proveniente da un altro pianeta immensamente lontano, abitato da gente con un destino completamente diverso. "Vojtech", disse. "Non ti ho mai chiesto nulla. Vero che non ti ho mai chiesto nulla?" "No" disse lui. "Allora adesso ti chiedo di partire da solo. Non partirò mai con te, da nessuna paite." Si appoggiò al tavolo. "Perché non paitirai?" "Ho un marito e dei figli. Devi capirlo. Io ti voglio bene, moltissimo, te ne vorrò fino alla morte, ma non verrò con te." Si aspettava dei 1improveri e li approvava in anticipo. Per un attimo pensò che avrebbe potuto fai· all'amore, e che tutto sarebbe tornato come prima. Lo desiderava con tutto il cuore. Il signor Jasiczek s'inchinò su di lei, le baciò la mano e se ne andò. Sentì che saliva le scale per la sua stanza. Prese il biglietto e lo mise sotto il fermacaite con la testa della regina Nefertiti, rimasto lì dal tempo in cui vi regnava ancora la signora Hortova. Aveva voglia di correre da Vojtech e spiegargli, spiegargli che lei non era affatto così, che non smentiva niente di quello che gli aveva detto e fatto insieme a lui, che loamava, che avrebbe fatto tutto per lui, tutto, ma che non le chiedesse di abbandonare per lui il suo destino. TIpome1iggio si trascinava interminabile. Antonie serviva gli avventori ma con l'orecchio teso a quel che succedeva dentro la casa, le sembrava di sentire i passi di Yojtech, ogni rumore della porta la spaventava, poi invece tremava d'angoscia quando non STORIE/TREFULKA63 sentiva più i suoi passi. Quando sopra nella stanza c'era un silenzio ingombrante più di una volta avrebbe voluto co1Tereda lui e dirgli che malgrado tutto sarebbe paitita, succeda quel che succeda, che verrà con lui, ma che sia molto lontano, oltre il mare, i monti, affinché la lontananza le faccia dimenticai·e, ed eriga un muro impenetrabile, impassibile, fra lei e la sua casa. Un attimo perfino salì nell'anticamera ma, sconfitta, ridiscese si agitava, si metteva in ascolto, si aspettava che Yojtech scendesse giù, desiderava che venisse, e desiderava che non venisse. Si era fatto buio, tirò le tende e accese la luce, decise di correre di sopra e di restituirgli il biglietto, dieci volte lo prese in mano, poi lo lasciò di nuovo, alla fine lo gettò nella stufa, e lo guardò bruciai·e. Quando dalla cucina ritornò nella mescita, Yojtech era seduto con il signor Ondrusek e ordinò un doppio fernet. Lei glielo portò e, quando Vojtech alzò lo sguardo, la signora Katonova vide il suo volto trasformato, cinereo, invecchiato di dieci anni. Se in quell'attimo fossero stati soli, gli avrebbe promesso qualunque cosa. Il signor Jasiczek svuotò il bicchiere d'un sorso e ne ordinò un'altra. Antonie non riconosceva né la sua voce né i suoi gesti. Il signor Ondrusek sbevucchiava la sua birra e la signora Katonova desiderava che continuasse a sbevucchiare il più a lungo possibile, fino all'ora della chiusura. Lo costrinse ad ordinarne un'altra, insisteva per farlo rimanere, tanto non doveva correre da nessuna paite, poteva dunque spillare la bin-a adesso, era uguale che lo ,facesse oggi o domani. Andando in cantina si rigirò e il volto di Vojtech le apparve bianco come gli stucchi del castello. Disperata Antonie scese cautamente la scala scivolosa in cantina, e deéise di trattenersi il più a lungo possibile, non però tanto da permettere al signor Ondrusek di andarsene. Aveva bisogno di GIUNTI

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